Il Giappone introduce l’educazione affettiva a scuola, e i risultati si vedono
- 7 Luglio 2025
- Welfare
Mentre in Italia si continua a discutere di educazione emotiva senza mai arrivare a una decisione concreta, il Giappone ha già avviato la sperimentazione. Nelle scuole superiori nipponiche è partito MIRaES (Mastery of Interpersonal Relationships and Emotional Skills), un programma annuale che mira a prevenire l’aggravarsi dei sintomi depressivi tra gli adolescenti insegnando a relazionarsi con le proprie emozioni.
La decisione nasce dagli altissimi livelli di stress registrati tra gli studenti delle scuole superiori giapponesi, dove molti giovani superano la soglia clinica per la depressione a causa della elevata competizione studentesca, delle crisi d’identità e delle incertezze sul futuro.
Il Giappone è noto per essere una società iper-competitiva, molte famiglie nipponiche fanno debiti pur di mandare i propri figli nelle migliori scuole e la pressione sugli studenti è altissima, spesso insostenibile. Questo contesto è una delle principali cause del fenomeno degli hikikomori, nato in Giappone da ragazze e ragazzi che si rinchiudono in casa anche per diversi mesi consecutivi pur di non essere soffocati dalle asfissianti pressioni della società.
12 mesi di formazione emotiva
Il programma sviluppato dalla professoressa Akiko Ogata dell’Università di Hiroshima si distingue per durata e contenuti specifici. La formazione prevede 12 incontri distribuiti su un anno scolastico, concentrandosi su quattro aree chiave:
- Assertività: sviluppare la capacità di esprimere i propri bisogni e opinioni in modo rispettoso;
- Ristrutturazione cognitiva: imparare a modificare i pensieri negativi e disfunzionali;
- Gestione della rabbia: acquisire tecniche per controllare e canalizzare le emozioni intense;
- Problem solving: sviluppare strategie efficaci per affrontare i problemi quotidiani
Le lezioni vengono condotte da psicologi clinici in collaborazione con i docenti, favorendo l’applicazione concreta delle competenze nella vita scolastica quotidiana. Il target sono gli studenti delle scuole superiori, la fascia d’età più vulnerabile ai disturbi dell’umore.
I risultati della sperimentazione
I benefici per gli studenti sono stati enormi.
I ricercatori, tra cui Kohei Kambara dell’Università di Doshisha e Yugo Kira dell’Università di Kurume, hanno analizzato l’andamento dei sintomi depressivi confrontando gli studenti con alta frequenza (11+ incontri) con quelli meno presenti.
Il risultato è inequivocabile: nessun peggioramento nei sintomi depressivi per i partecipanti assidui, mentre il gruppo con minore frequenza ha mostrato un netto peggioramento. Dalle testimonianze raccolte emerge che chi ha seguito il programma regolarmente ha integrato le competenze apprese nella vita quotidiana. I risultati sono visibili sulla rivista Children and Youth Services Review dove è stato pubblicato lo studio che ha coinvolto 120 studenti di un liceo giapponese.
L’Italia e le promesse mai mantenute
Il contrasto con la situazione italiana è stridente. Nel nostro Paese si parla di educazione emotiva da anni, ma i risultati concreti sono scarsi. Nel 2022 è stata approvata dalla Camera la Proposta di Legge n. 2782 dal titolo “Disposizioni in materia di insegnamento sperimentale dell’educazione all’intelligenza emotiva nelle scuole di ogni ordine e grado”, ma è rimasta al vaglio del Senato senza mai vedere la luce.
La proposta prevedeva l’avvio di una sperimentazione volontaria nazionale per l’inserimento di attività finalizzate allo sviluppo delle competenze non cognitive, con relative attività formative per i docenti.
Nel 2023, il ministro Valditara ha presentato il piano “Educare alle Relazioni” dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin. Il progetto prevedeva un’ora a settimana nelle scuole superiori per tre mesi all’anno, con un totale di dodici sessioni per introdurre l’educazione sentimentale. Anche in questo caso, però, l’implementazione è rimasta sulla carta.
I benefici scientificamente provati dell’educazione emotiva
La ricerca internazionale conferma l’efficacia dell’educazione emotiva. Come evidenziato dalla Fondazione Patrizio Paoletti, comprendere e gestire le proprie emozioni, nonché riconoscere e rispettare quelle altrui, sono competenze essenziali che influenzano non solo le capacità sociali ma anche le performance accademiche.
Il livello di intelligenza emotiva nelle scuole italiane varia notevolmente: alcune istituzioni hanno integrato programmi come EQ Students, progetto internazionale per il supporto allo sviluppo delle competenze emotive nei bambini in età scolare (6-15 anni), ma molte altre si concentrano ancora esclusivamente sull’acquisizione di competenze accademiche tradizionali.
La mancanza di educazione emotiva ha conseguenze drammatiche. Come evidenziato nel caso del suicidio di Andrea Prospero, i giovani italiani soffrono il fallimento delle reti sociali tradizionali, come la famiglia e la scuola, che dovrebbero rappresentare i pilastri del supporto emotivo. La fragilità degli adolescenti spesso nasce all’interno di dinamiche familiari disfunzionali, mentre esperienze negative come il bullismo o l’emarginazione scolastica contribuiscono al distacco dal mondo reale.
Un modello replicabile
Il Giappone non può essere preso come modello di salute mentale, ma la risposta introdotta negli scorsi mesi è una lezione di cui fare tesoro. Il programma MIRaES, secondo Kambara, può “prevenire l’aggravarsi dei sintomi depressivi” e rappresenta un modello replicabile in altri sistemi educativi.
La sfida ora è capire se l’Italia saprà cogliere questa lezione o continuerà a navigare tra proposte mai realizzate, mentre la società continua a pagare il prezzo di un sistema educativo che forma le menti e dimentica la maturità affettiva.