Giovane nutrizionista colpita dal cancro, quando lo stile di vita non cambia: la storia
- 30/08/2024
- Popolazione
Valentina Alberton non avrebbe mai pensato di ricevere quella diagnosi: cancro a 27 anni. Per lei, nutrizionista e sportiva di Bessica di Loria (Treviso), sempre attenta al corretto stile di vita, “è stato un colpo al cuore, la botta più dura che potessi ricevere”, racconta sui social.
A marzo ha iniziato a percepire sintomi insoliti: gambe pesanti, stanchezza, ritenzione idrica. Le prime visite mediche non hanno fornito risposte soddisfacenti, e Valentina ha continuato a cercare una spiegazione. Il 28 maggio, esasperata, si è recata in pronto soccorso, dove, dopo una serie di esami, tra cui TAC, PET e biopsia, è arrivata la diagnosi: linfoma di Hodgkin al secondo stadio.
Valentina Alberton e il cancro sui social
La prima, cruda, lezione colpisce subito a lei e poi i suoi oltre 5mila follower: lo stile di vita è fondamentale, ma non basta, occorre una costante e attenta prevenzione per contrastare il cancro.
La seconda lezione arriva dalla scelta di Valentina Alberton che, a distanza di tre mesi dalla diagnosi, ha deciso di raccontare la sua situazione pubblicamente. Lei che per professione aiuta i suoi pazienti e i suoi follower ad avere uno stile di vita e una nutrizione sana, ora ha una battaglia più grande da affrontare. Sa che condividere queste sfide è utile per chi ascolta e per chi racconta. “Fin da subito mi è salita la paura e il terrore, ma da una parte ero sollevata perché finalmente potevo dare un nome a tutto”, scrive ancora nel suo post su Instagram.
Visualizza questo post su InstagramUn post condiviso da Dott.ssa Valentina Alberton (@valentinaaalberton)
Attualmente, la giovane nutrizionista è a metà del ciclo di infusioni chemioterapiche presso l’Istituto Oncologico Veneto di Castelfranco Veneto. Alberton continua il suo percorso sperando di tornare presto al lavoro e continuare a promuovere uno stile di vita sano. Ora, però, è il momento di promuovere la prevenzione intesa come controllo e monitoraggio.
Come emerge da uno studio dell’American Cancer Society pubblicato a luglio, nel 2019, negli Stati Uniti, il 40% delle nuove diagnosi di cancro negli adulti sopra i 30 anni era dovuto a un rischio modificabile. In pratica, uno stile di vita sano è fondamentale sia per vivere bene i propri giorni sia per allontanare il rischio di cancro, che però “non guarda in faccia a nessuno”, come detto dalla stessa Valentina Alberton al Corriere del Veneto.
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Perché raccontare il cancro sui social
Quello di Valentina Alberton sui social è prima di tutto un messaggio di speranza, un incoraggiamento per chi si trovare di fronte a sfide così difficili: “Ho deciso di raccontare ciò che mi è successo non perché voglio compassione né per vittimismo, ma perché spero di poter trasmettere qualcosa. Ho imparato a dare valore alle piccole cose: lo facevo già prima – spiega ancora al Corriere del Veneto – ma ora noto anche l’ape che impollina un fiore, mentre sono distesa sull’erba di montagna”.
La nutrizionista non è la prima vittima di cancro che, dopo aver assorbito la “botta” psicologica dalla diagnosi, decide di condividere la propria situazione con migliaia di altre persone. Un altro esempio recente è quello della nota giornalista Concita De Gregorio che ha raccontato il suo terzo ferragosto consecutivo dall’ospedale in un post che ha commosso il web. E sicuramente ha anche aiutato qualcuno: la condivisione delle esperienze tra pazienti oncologici è infatti riconosciuta come un aspetto cruciale della psico-oncologia, perché contribuisce significativamente al benessere psicologico e alla qualità della vita di chi affronta il cancro.
Uno studio pubblicato nel 2017 nel Notiziario Chimico Farmaceutico ha analizzato il modello biopsicosociale nella scelta medica condivisa in oncologia. I risultati hanno mostrato che l’empowerment dei pazienti, attraverso la condivisione delle esperienze, porta a migliori esiti clinici, con una riduzione della dipendenza dai servizi sanitari.
In particolare, i pazienti che si sentono coinvolti nel loro percorso di cura tendono a sviluppare una maggiore consapevolezza riguardo alla propria malattia.
Un altro studio condotto da Gamba e collaboratori (2018) ha evidenziato che i pazienti oncologici che partecipano a gruppi di sostegno e condividono le proprie esperienze mostrano una significativa riduzione dei sintomi di ansia e depressione. I dati indicano che circa il 60% dei partecipanti ha riportato un miglioramento del benessere psicologico e una diminuzione della solitudine, grazie al supporto emotivo reciproco.
La speranza è sempre che il supporto faccia un doppio viaggio, andata e ritorno, da chi scrive a chi legge. In un contesto sociale che rinuncia sempre più spesso alla condivisione umana, è come se si riscoprisse di appartenere alla natura e alla specie umana, dando nuovo valore alla condivisione nella speranza di far trionfare la vita e sconfiggere la malattia.
“Ora dovrò intraprendere un percorso di cure per poter finalmente tornare a vivere e a fare tutto lo sport possibile! Voglio dire una cosa: Ringrazio me stessa per aver insistito perché in queste situazioni prima si interviene e meglio è…quindi ASCOLTATEVI SEMPRE, SE SENTITE CHE C’È QUALCOSA CHE NON VA NON FERMATEVI!!!”, continua Valentina Alberton nel suo post Instagram dove racconta il trattamento shock ricevuto in ospedale.
Valentina Alberton e la sanità pubblica: “Ho dovuto fingere di stare peggio di come stavo”
La testimonianza della giovane nutrizionista è anche una denuncia informale alla sanità pubblica: “Inizialmente pensavo fossero solo affaticate ma col passare dei giorni non migliorava nulla. Da lì è iniziata la mia corsa tra esami e visite su visite (quasi tutte privatamente perché IO volevo capire) dove nessuno riusciva a spiegarsi il mio quadro”, scrive su Instagram.
Se queste parole rimandano alla crisi della sanità pubblica in termini di organico (la ragazza ha sostenuto per lo più visite private), quelle successive fanno riemergere i fantasmi della superficialità, inconcepibile quando si parla di salute. A Valentina Alberton è stato detto: “Signorina è inutile che si lamenti della cellulite, anche io 20 anni fa avevo i capelli”.
Purtroppo la superficialità si è rivelata letale circa due settimane fa, all’ospedale Barone Romeo di Patti, in Sicilia, lo stesso dove un paziente con una frattura alla gamba era stato “trattato” con cartone da imballaggio e nastro adesivo perché mancavano le stecche ortopediche. I “riflettori dei social” non hanno fatto alzare la guardia al personale della struttura. Qui a distanza di pochi giorni e dopo otto ore tra attesa ed esami, i medici hanno dimesso Francesca Colombo: “È solo un’indigestione, adesso mangi leggero”. Dopo due giorni, i dolori non erano diminuiti, e il 9 agosto la donna è tornata in ospedale. Qui la tragica rivelazione: non era un’indigestione, ma una grave occlusione intestinale che necessitava di un intervento chirurgico d’urgenza. Ma, ormai, era troppo tardi per salvare la vita della 62enne.
Se Valentina Alberton può sperare in un esito diverso è solo grazie alla sua tenacia. Continuando il suo racconto, la 27enne spiega cosa ha dovuto fare per essere sottoposta a degli esami più specifici: “Il 28 maggio sono arrivata al limite, ero stanca di non avere risposte e mi sono recata al pronto soccorso. Qui sono stata trattata come in tutte le altre visite e per farmi ascoltare ho DOVUTO FINGERE DI STARE PEGGIO di come stavo”.
Dopo queste peripezie, preoccupanti in un Paese che riconosce costituzionalmente il diritto alla salute, la nutrizionista continua il suo percorso di cura, con la speranza che la sua attenzione e premura le permettano presto di tornare ad aiutare gli altri e vivere una vita senza il cancro.
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