Martina Oppelli porta in tribunale la Asl che le nega suicidio assistito: “Tortura di Stato”
- 30/08/2024
- Popolazione
“Tortura di Stato”. Questa l’accusa che Martina Oppelli muove all’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina (ASUGI), che le ha (di nuovo) negato l’accesso al suicidio assistito. L’architetta 49enne, affetta da sclerosi multipla progressiva, ha presentato un esposto alla Procura di Trieste per rifiuto di atti d’ufficio e tortura in quanto il dinego della Asl la costringe a un “trattamento inumano e degradante” e a insopportabili sofferenze. È stata l’Associazione Coscioni, che assiste legalmente la donna, a darne notizia ieri.
La storia di Martina Oppelli
A causa della sua malattia, Oppelli è dipendente da macchinari e farmaci e necessita di un’assistenza continua, visto che non può muovere nemmeno le dita delle mani.
Nel 2023, a causa del progressivo peggioramento delle sue condizioni, aveva presentato una prima istanza di accesso al suicidio medicalmente assistito presso l’ASUGI tramite l’Associazione Luca Coscioni. Ma l’azienda sanitaria aveva respinto la richiesta e la donna si era rivolta al Tribunale di Trieste, che aveva imposto una nuova valutazione medica in considerazione dell’aggravarsi delle condizioni di vita di Oppelli, che aveva iniziato a necessitare anche della macchina della tosse, un dispositivo che elimina le secrezioni bronchiali che altrimenti le causerebbero strozzamento e soffocamento.
Nonostante la richiesta del tribunale, che aveva anche definito un termine di 30 giorni per la nuova valutazione, l’ASUGI ha confermato il suo diniego di accesso al suicidio assistito. Di conseguenza, il 28 agosto Oppelli, tramite l’avvocato Filomena Gallo dell’Associazione Coscioni, ha presentato un nuovo esposto in cui contesta i reati di rifiuto di atti d’ufficio e tortura.
Tutto ruota intorno alla relazione dell’Asl in cui si affermava che la terapia antalgica, anticoagulante, antitrombotica, l’assistenza continuativa di terze persone per svolgere qualsiasi tipo di attività inclusa l’alimentazione e l’idratazione e il ricorso a farmaci broncodilatatori non costituivano ‘trattamenti di sostegno vitale’.
I ‘trattamenti di sostegno vitale’
E qui cade un punto fondamentale della vicenda. Con la recentissima sentenza 135/2024 del 18 luglio scorso, la Corte Costituzionale ha precisato che la nozione di ‘trattamenti di sostegno vitale’ include una serie di procedure normalmente compiute da personale sanitario ma che possono essere apprese anche da familiari o caregiver. Se l’interruzione di questi trattamenti può prevedibilmente causare la morte del paziente in breve tempo, essi devono essere considerati vitali.
Tutto quindi si ‘gioca’ sul fatto che la dipendenza di Martina Oppelli da macchinari, farmaci e persone rientri o meno tra questo tipo di trattamenti.
Questo infatti è uno dei requisiti previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale 242/2019 ‘Cappato/Dj Fabo’ per accedere al suicidio medicalmente assistito:
• la piena capacità di prendere decisioni libere e consapevoli
• la presenza di una patologia irreversibile
• sofferenze fisiche o psicologiche che la persona reputa intollerabili
• dipendenza da trattamenti di sostegno vitale
Questi requisiti e le modalità di esecuzione devono essere verificati da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente, cosa che oltre ad eventuale parere negativo, si traduce facilmente in un’attesa lunga mesi.
Oppelli: “Non posso, non voglio, subire una tortura di Stato”
“Rimango perplessa per come viene descritta la mia condizione fisica e clinica nota da anni agli stessi medici. Basita, poiché la sclerosi multipla mi ha privata di qualsiasi movimento lasciando intatta solo la capacità di pensare, parlare e di autodeterminarmi”, ha commentato Oppelli.
“Secondo i medici dovrei assumere ulteriori farmaci che potrebbero, o forse no, attenuare il dolore ma privandomi della lucidità e, dunque, della capacità di decidere. E di lavorare anche, per conservare una parvenza di esistenza “normale”. Dovrei sottopormi ad ulteriori esami diagnostici ed, eventualmente, permettere che il mio corpo sia violato da tubi, sonde o quant’altro. Non posso, non voglio, subire una tortura di Stato”, ha concluso.
Ha aggiunto l’avvocata Gallo riferendosi alla relazione della ASUGI: “E’ un insulto alla sofferenza di Oppelli, che viene condannata dall’azienda sanitaria a un trattamento inumano e degradante per la sua dignità. Per questo motivo, oltre a procedere contro la valutazione che non trova fondamento nell’evidenza della situazione di salute di Oppelli per quanto riguarda i trattamenti di sostegno vitale, attiveremo le vie che il caso consiglia anche in relazione alle responsabilità che determinano conseguenze gravi per Marina Oppelli”.
“Il nuovo esposto arriva a seguito di ingiustificati rifiuti dell’azienda sanitaria, prima di procedere alle dovute verifiche e poi di riconoscere la sussistenza dei trattamenti di sostegno vitale che tengono Martina Oppelli in vita. Tali condotte ledono la dignità di Martina Oppelli costretta a un trattamento inumano e degradante, condannata a una vera e propria tortura di Stato”, ha specificato.
Il precedente
Oppelli chiede l’accesso al suicidio assistito, perché anche per morire necessita di assistenza. Ma aiutare una persona a togliersi la vita in Italia è reato in base all’art. 580 c.p., dichiarato parzialmente incostituzionale dalla sentenza 242/2019 della Consulta nella parte in cui non prevede la non punibilità in presenza dei quattro requisiti elencati sopra. Dovrebbe essere il legislatore a regolare la materia, sia l’accesso all’aiuto alla morte volontaria sia all’eutanasia, ma ad oggi permane un vuoto normativo.
Solo in seguito alla decisione 242/2019, ribadita dalla 135/2024, si sta muovendo qualcosa: il 28 novembre 2023 per la prima volta una persona ha avuto accesso all’aiuto alla morte volontaria interamente nell’ambito del Servizio sanitario pubblico, peraltro a seguito di un ordine del Tribunale di Trieste che aveva intimato proprio all’ASUGI di applicare la sentenza della Consulta. Anche in questo caso la notizia era stata data dall’Associazione Coscioni: una donna triestina di 55 anni, affetta da sclerosi multipla, si era autosomministrata un farmaco letale fornito dal Ssn insieme alla strumentazione e da un medico individuato su base volontaria.
“Il diritto a scegliere si fa strada nonostante le resistenze ideologiche”, aveva commentato l’Associazione Coscioni.
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