Sportiello a Roccella: “La maternità non è l’unica scelta”. E la smentisce sugli aborti
- 20/03/2024
- Popolazione
L’onorevole Gilda Sportiello (M5S) ha replicato alle parole della ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella secondo cui, in sintesi, sarebbe più difficile trovare un posto per far nascere i figli, che per abortire. Ospite di Sky TG24, la ministra ha aggiunto che in Italia i medici di obiettori di coscienza sarebbero così pochi da non rappresentare un ostacolo significativo all’esercizio dell’aborto.
Parole che hanno scatenato la polemica non solo fuori dalle istituzioni, ma anche dentro, in Parlamento. “Ministra, ma in che mondo vive, che mondo è il suo? Perché a me sembra un mondo al contrario. Lei, oggi, viene in Aula e ci viene a dire che è più difficile partorire che accedere all’Ivg (Interruzione volontaria di gravidanza, ndr.)? Ma lei lo sa che nel nostro Paese succede proprio il contrario?”, ha detto l’onorevole Sportiello all’inizio della replica.
Sullo sfondo, una questione ideologica più ampia, che riguarda la scelta di fare figli, sempre meno frequente in Italia e in Occidente. La motivazione? Principalmente culturale secondo la ministra Roccella e il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ma anche secondo Papa Francesco per il quale “Gli italiani preferiscono i cagnolini ai figli”.
Una narrazione non condivisa dall’onorevole Sportiello: “La maternità e la genitorialità non sono le uniche strade percorribili e ogni donna ha il diritto di poter scegliere cosa vuol fare nella vita”, ha detto la parlamentare pentastellata ricordando che “nessuna libertà esiste se un diritto non viene garantito e che se il diritto non viene garantito le donne sono costrette, non sono libere di scegliere”.
Il dibattito Roccella-Sportiello sull’aborto
Sulla facilità di abortire avvalorata dalla ministra Roccella, Sportiello aggiunge: “Ma lei lo sa che in Basilicata una donna su tre per poter accedere all’Ivg legittimamente deve andare fuori regione? Lei lo sa che ci sono 9 province in Italia in cui non è possibile abortire e bisogna andare fuori dalla provincia? Lei lo sa che le donne in Sicilia e anche in Calabria devono aspettare circa 28 giorni per poter accedere a un intervento di Ivg, 28 giorni, e lei sa benissimo che abbiamo a disposizione pochissimo tempo per accedere a questa pratica?”
Una settimana fa la ministra Roccella aveva ribadito la propria posizione, intervenendo all’evento ‘La natalità: una questione di coppia‘, promosso da Farmindustria a Roma: “L’applicazione della legge 194 è in capo soprattutto alle Regioni. Basta leggere la Relazione al Parlamento che viene fatta ogni anno e che parte da una raccolta dati che non ha eguali in Europa, è una raccolta dati molto puntuale e dettagliata. Tra l’altro non manipolabile sul piano politico, perché viene fatta da tutte le Regioni e poi attraverso l’Istat e l’Istituto superiore di sanità i dati vengono elaborati”.
Dalla relazione che, aveva evidenziato la ministra Roccella, “dice esattamente il contrario di quello che chiedono gli interroganti”, emerge che “l’accesso all’aborto è assolutamente garantito. Fra l’altro si sottolinea che, in una situazione in cui ci sono contenziosi su tutti gli ambiti della sanità, non ci sono contenziosi per quanto riguarda l’Ivg (Interruzione volontaria della gravidanza, ndr.), quindi con relativa richiesta dei risarcimenti, anche questo aspetto va sottolineato”.
Sugli obiettori di coscienza, Roccella aveva aggiunto che: “Comunque il carico di lavoro per i non obiettori, cioè per chi materialmente esegue l’interruzione volontaria di gravidanza, è di meno di un aborto a settimana, lo 0,9%. Quindi non c’è questo carico di lavoro che evidentemente crea un problema sull’obiezione di coscienza”.
In completo disaccordo l’onorevole Sportiello. “Lei lo sa quanti sono i medici obiettori di coscienza? A me non risulta che se una donna va in Veneto per partorire trova che il 71% degli operatori sanitari è obiettore di coscienza, non mi risulta nemmeno che se va in Abruzzo e in altre regioni trova più dell’80% di medici obiettori che, magari, le negano di partorire. […] Lei – ha concluso Sportiello – deve garantire che le donne in questo Paese possano accedere all’Ivg e che l’aborto farmacologico venga erogato in tutti i consultori, così come prevede la normativa, così come il Ministero della Salute ha stabilito nel 2020”.
Cosa prevede il Ministero della Salute sull’aborto farmacologico
Il riferimento della parlamentare è alle linee guida pubblicate nel 2020 da Ministero della Salute italiano sull’aborto farmacologico, aggiornando le precedenti disposizioni. Queste nuove linee guida hanno previsto che l’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico potesse essere praticata fino al 63° giorno di gestazione, ovvero a nove settimane di età gestazionale, presso strutture ambulatoriali pubbliche adeguatamente attrezzate, funzionalmente collegate all’ospedale e autorizzate dalla Regione, ma anche presso i Consultori familiari.
Le nuove linee di indirizzo hanno sostituito quelle del 2010 e hanno introdotto la possibilità di somministrare il mifepristone e il misoprostolo fino alla nona settimana di gestazione, in linea con le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e le più aggiornate evidenze scientifiche sui farmaci. Inoltre, hanno previsto che l’aborto farmacologico potesse essere effettuato in regime ambulatoriale e di day hospital, come già avviene nella maggior parte dei Paesi Europei.
Solo 3 regioni garantiscono aborto farmacologico in consultorio
In assenza di dati ministeriali aggiornati (gli ultimi risalgono proprio al 2020) l’associazione Medici del Mondo ha fatto il punto con il rapporto “Aborto farmacologico in Italia: tra ritardi, opposizioni e linee guida internazionali”. Qui è emerso che solo 3 regioni garantiscono l’aborto farmacologico in consultorio: Lazio, Toscana ed Emilia-Romagna.
La giornalista Claudia Torrisi, che ha curato lo studio, ha scritto sui social: “Ne è venuto fuori un paese che procede in ordine sparso, con enormi differenze territoriali, alcune buone prassi e diverse scelte locali che sembrano dettate più da motivazioni politiche o ideologiche che da evidenze scientifiche. Le tante lacune sono colmate da reti di supporto dal basso”.
Tra l’altro in Emilia-Romagna, l’accesso è garantito solo in alcune città, tra cui non rientra Bologna, ad esempio. Il Lazio sembra la regione più virtuosa dato che, oltre a garantire la RU486 nei consultori, permette anche di assumere il secondo farmaco a casa, come da indicazioni Oms. Ci sono, però, regioni dove la pillola abortiva è disponibile solo in ospedale, altre dove non è accessibile neanche in ospedale. In Piemonte la politica locale si è espressamente schierata contro l’aborto farmacologico e le relative linee guida. Il risultato è inevitabile, molte donne sono costrette a spostarsi da una regione all’altra per abortire.
Quali sono le differenze tra Ivg e aborto farmacologico
L’interruzione volontaria della gravidanza e l’aborto farmacologico sono due concetti strettamente correlati ma che non vanno confusi. Entrambi si riferiscono alla terminazione di una gravidanza, ma differiscono principalmente per il metodo utilizzato.
Interruzione volontaria della gravidanza
L’Ivg è un termine ampio che descrive qualsiasi procedura medica o chirurgica utilizzata per terminare una gravidanza. L’Ivg può essere effettuata attraverso diversi metodi, a seconda dello stadio della gravidanza e delle preferenze o delle necessità mediche della donna. I due principali metodi di IVG sono l’aborto chirurgico e l’aborto farmacologico.
Aborto chirurgico
Questo metodo include diverse tecniche chirurgiche per rimuovere l’embrione o il feto dall’utero. Le tecniche variano a seconda del periodo di gestazione e possono includere l’aspirazione manuale endouterina (Ameu) o la dilatazione e curettage (D&C) per le gravidanze nelle prime fasi, o la dilatazione ed evacuazione (D&E) per le gravidanze più avanzate.
Aborto Farmacologico
L’aborto farmacologico, d’altra parte, è un tipo specifico di IVG che utilizza farmaci per terminare una gravidanza. Questo metodo è generalmente considerato sicuro ed efficace nelle prime fasi della gravidanza, tipicamente fino alla nona o decima settimana, come rimarcato anche dalle Linee guida del Ministero della Salute.
L’aborto farmacologico coinvolge l’assunzione di due farmaci in sequenza:
- Mifepristone (RU-486): questo farmaco agisce bloccando l’azione del progesterone, un ormone necessario per mantenere la gravidanza. Senza progesterone, il rivestimento dell’utero inizia a sfaldarsi, interrompendo la gravidanza.
- Misoprostolo: assunto da 24 a 48 ore dopo il mifepristone, il misoprostolo induce contrazioni dell’utero, facilitando l’espulsione del contenuto uterino.
L’aborto farmacologico, che richiede più tempo e può essere associato a sanguinamento e crampi più intensi, è preferito da alcune donne sia per motivi di privacy che per la sua minore invasività.
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