Affluenza al referendum: cronache da un Paese spaccato
- 10 Giugno 2025
- Popolazione
I cinque referendum abrogativi su lavoro e cittadinanza si chiudono con un risultato inequivocabile: l’affluenza si ferma al 30,6%, lontanissima dal quorum del 50% più uno necessario per la validità della consultazione. Ma oltre al dato nazionale, emerge una geografia del voto che fotografa un Paese profondamente spaccato.
Tra la Toscana, dove ha votato il 39,09% degli elettori, e il Trentino-Alto Adige, fermo al 22,7%, c’è un divario di oltre 15 punti percentuali, segno di differenze strutturali che caratterizzano il Belpaese: dall’ideologia politica alla composizione demografica, dalla fiducia nelle istituzioni alla percezione dell’utilità del voto. L’affluenza al referendum dell’8 e giugno è la cartina al tornasole di un Paese diviso, dove le fratture demografiche, sociali e culturali si riflettono anche nelle urne.
Nonostante la possibilità di votare anche solo alcuni tra quelli proposti, la partecipazione tra i cinque requisiti è stata omogenea. I 14 milioni di italiani che hanno partecipato alla consultazione hanno espresso un verdetto chiaro sui contenuti: i quattro quesiti sul lavoro hanno raccolto tra l’87% e l’88% di sì, mentre quello sulla cittadinanza si è fermato al 60-65%. Percentuali che, tuttavia, non avranno alcun effetto pratico vista la mancanza del quorum costitutivo, che era prevista ma non in queste proporzioni. La distribuzione geografica dell’astensione ci offre una serie di spunti per comprendere le dinamiche sociali del Paese.
Affluenza referendum, come cambia lungo la penisola
L’affluenza è stata superiore alle media nazionale nel Nord Italia e inferiore nel Meridione e nelle Isole, seppure con qualche eccezione.
L’affluenza nel Nord Italia
Il Nord conferma il suo primato nella mobilitazione elettorale, con le regioni storicamente legate al centrosinistra in testa alla classifica. Nelle regioni settentrionali l’affluenza si è attestata su numeri più alti rispetto al Sud, anche se con alcune distinzioni significative:
- Emilia-Romagna: 38,1%
- Piemonte: 35,2%
- Liguria: 35%
- Lombardia: 30,7%
- Friuli Venezia Giulia: 27,5%
- Veneto: 26,2%
- Valle d’Aosta: 29%
- Trentino-Alto Adige: 22,7%
L’affluenza nel Centro Italia
Il Centro mostra un quadro eterogeneo, con la Toscana che domina la classifica nazionale mentre altre regioni faticano a distinguersi:
- Toscana: 39%
- Marche: 32,6%
- Lazio: 31,8%
- Umbria: 31,1%
L’affluenza nel Sud Italia
Il Meridione conferma l’astensionismo strutturale, con la sola Basilicata a distinguersi positivamente dal quadro generale:
- Basilicata: 31,2%
- Campania: 29,8%
- Abruzzo: 29,7%
- Puglia: 28%
- Molise: 27,6%
- Calabria: 23,7%
L’affluenza nelle Isole
Le due isole maggiori registrano percentuali di affluenza distanti, ma entrambe sotto la media nazionale, con la Sicilia che tocca il fondo della classifica nazionale, superando l’ultimo posto del Trentino-Alto Adige dello 0,3%:
- Sardegna: 27,7%
- Sicilia: 23%
Astensionismo, disuguaglianze e nuove forme di partecipazione: cosa raccontano davvero questi numeri
L’affluenza al 30,5% non è solo il sintomo di un fallimento procedurale, ma il segnale di una crisi di rappresentanza che attraversa la società italiana. La frattura tra Nord e Sud, così netta nei dati, riflette la distanza tra territori in cui la fiducia nelle istituzioni e la cultura civica restano vive e aree dove prevalgono sfiducia, disillusione e senso di marginalità. Nei grandi centri urbani del Centro-Nord, la partecipazione è stata sostenuta da reti sociali strutturate, sindacati, partiti e associazioni, mentre nei piccoli comuni e nelle periferie del Sud e delle isole il voto appare sempre più come un rito svuotato di senso.
Questo divario non è solo geografico, ma anche generazionale e culturale.
I dati Istat e Openpolis degli ultimi anni mostrano che la domanda di partecipazione tra i giovani non è affatto scomparsa, ma si esprime sempre meno attraverso le forme tradizionali come il voto referendario e sempre più attraverso mobilitazioni, petizioni online, attivismo tematico. La partecipazione civica si trasforma, ma la politica istituzionale fatica a intercettare queste energie, lasciando spazio a un astensionismo che non è solo indifferenza, ma spesso scelta consapevole o protesta silenziosa. Un’indagine condotta dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo (giugno 2024) ha dimostrato che solo il 31% dei giovani italiani ha fiducia nei partiti.
Il dato inedito di queste consultazioni è che, per la prima volta, le donne hanno votato più degli uomini, con uno scarto del 7%. Un divario netto che evidenzia come le donne siano più attente ai temi sociali e del lavoro, al centro dei quesiti, perché principali vittime della discriminazione lavorativa sia in termini di salari, che in termini di assunzioni e di licenziamenti. Nel nostro Paese diverse donne sono state licenziate dopo essere rimaste incinte; altre volte lo stato interessante o la voglia di diventare madre in futuro diventa una domanda ai colloqui di lavoro. Tutte questioni che possono giustificare il gap tra uomo e donna nelle urne.
L’astensionismo e la distanza dalle istituzioni
La crisi della democrazia referendaria italiana, sempre più evidente dal 1999 in poi, si intreccia con una trasformazione profonda del rapporto tra cittadini e Stato. In un Paese dove la fiducia nelle istituzioni è ai minimi storici, l’astensione non è più solo disinteresse, ma diventa anche strumento strategico e messaggio politico. Il divario tra metropoli e piccoli centri non era mai stato così ampio: nelle città sopra i 350 mila abitanti l’affluenza è stata di 7 punti superiore rispetto alla media nazionale, segno che dove esistono reti sociali e capitale civico, la partecipazione resiste.