Licenziata dopo aver comunicato percorso di transizione, il punto sulle discriminazioni LGBTQ+ al lavoro
- 04/04/2024
- Popolazione
Comunica all’azienda di voler intraprendere un percorso di transizione e pochi giorni dopo viene licenziata con una email.
Come nel caso del ragazzo gay cacciato di casa perché gay, la vicenda arriva dalla provincia di Pisa dove la ragazza transgender lavorava per una ditta locale. Nata biologicamente maschio, negli anni la ragazza, quasi trentenne, ha sviluppato la consapevolezza di voler intraprendere un percorso di transizione.
A marzo, dopo essersi informata sulle pratiche e la documentazione e un periodo di riflessione, ha deciso di comunicare la propria scelta ai datori di lavoro e ai suoi colleghi. Però a pochi giorni dall’annuncio, avvenuto in una riunione aziendale, la ragazza transgender ha ricevuto una email di licenziamento. L’azienda ha motivato la decisione con un calo di lavoro, affermando che il licenziamento è legato ad aspetti economici, di bilancio.
Ma la ragazza è convinta che dietro la motivazione ufficiale ci sia una realtà discriminatoria, anche perché solo la settimana prima la ditta aveva assunto nuovo personale. Quindi ha contattato lo sportello di ascolto Voice dell’Arci Valdera per denunciare il fatto. Lo sportello è particolarmente stimolato negli ultimi tempi ed è lo stesso che, a Pontedera, ha ricevuto la denuncia del ragazzo cacciato di casa perché gay.
Il contesto
I responsabili dello sportello Voice di Pontedera mantengono il massimo riserbo per “non rendere identificabile la vittima della discriminazione, ma anche perché c’è una causa in corso ed è giusto che sia l’autorità giudiziaria a pronunciarsi”.
Nel frattempo Mauro Scopelliti, presidente di Arcigay Firenze denuncia a La Repubblica: “Casi come questo rimangono isolati, ma il problema è che spesso non emergono. Negli ultimi 10 anni c’è una fetta di popolazione che ha fatto coming out nel contesto lavorativo. Alcuni si sentono condizionati e ingabbiati: ci capita chi chiede supporto. Abbiamo accompagnato alcune aziende a fare accordi con i lavoratori per la discrezionalità e la privacy circa l’identità dei dipendenti. Una serie di tutele: assunzioni fatte con identità alias, tipologia di email aziendale, spogliatoio, cartellino. In passato anche progetti con le agenzie di reclutamento”.
Le discriminazioni LGBTQ+ al lavoro
Le discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBTQ+ sono un problema significativo in Italia: una persona su 5 ritiene che il proprio orientamento sessuale abbia rappresentato uno svantaggio nella carriera e le persone LGBT+ sono più esposte a clima ostile o aggressioni nel proprio ambiente di lavoro. Spesso la discriminazione si traduce nella difficoltà di riconoscere le capacità professionali del lavoratore non eterosessuale. Questo è lo scenario descritto dall’indagine Istat-Unar sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ (non in unione civile o già in unione) riferita all’anno 2022.
L’84,3% delle persone omosessuali o bisessuali occupate in Italia dichiara che il proprio orientamento sessuale era o è noto almeno a una parte del proprio ambiente lavorativo, con un’incidenza maggiore tra le persone omosessuali (l’87,7% contro il 69,9% delle persone bisessuali).
Si tratta, tuttavia, di temi ancora tabù, come dimostra il fatto che circa una persona su tre afferma di aver evitato di frequentare persone dell’ambiente lavorativo nel tempo libero per non rivelare il proprio orientamento sessuale. Questa segnalazione arriva soprattutto dalle donne (34,8% contro 30,1% tra la componente maschile), insieme alle persone bisessuali (37,9% contro 30,5% delle persone omosessuali) e ai lavoratori dipendenti o ex-dipendenti (34,5% contro 25,6% degli indipendenti o ex-indipendenti).
D’altra parte, quasi un intervistato su tre (31,2%) ha spiegato che un collega, un cliente o un’altra persona dell’ambiente lavorativo ha rivelato ad altri il suo orientamento sessuale senza averne il consenso.
Dunque, anche se la stragrande maggioranza ha deciso di fare outing, molti impediscono che la voce arrivi a chiunque nell’ambito del proprio lavoro, temendo delle conseguenze negative. I dati certificano la ragionevolezza di questo timore:
- nel complesso, il 41,4% delle persone occupate o ex-occupate intervistate dichiara che essere omosessuale o bisessuale ha rappresentato uno svantaggio nel corso della propria vita lavorativa in almeno uno dei tre ambiti considerati (carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, reddito e retribuzione);
- il 34,1% dei rispondenti ritiene che il proprio orientamento sessuale l’abbia svantaggiato nel corso della vita lavorativa in termini di riconoscimento e apprezzamento delle proprie capacità professionali;
- il 30,8% ritiene che il proprio orientamento sessuale abbia avuto conseguenze sugli avanzamenti di carriera e di crescita professionale;
- Circa il 20% riferisce di aver subito persino uno svantaggio retributivo a causa del proprio orientamento sessuale. È più frequente che ciò avvenga tra le persone omosessuali rispetto a bisessuali e alla componente maschile;
Dal rapporto Istat-Unar emerge che questo tipo di discriminazioni sia più frequente nel settore privato rispetto al pubblico e tra le persone che lavorano da pochi anni all’interno dello stesso contesto aziendale.
Le microaggressioni al lavoro
Anche quando si parla di microaggressioni al lavoro legate al proprio orientamento sessuale, la situazione appare molto delicata e particolarmente grave tra i più giovani. Le microaggressioni sono “brevi interscambi quotidiani che inviano messaggi denigratori ad alcuni individui in quanto facenti parte di un gruppo, insulti sottili (verbali, non verbali, e/o visivi) diretti alle persone spesso in modo automatico o inconscio” (Sue, 2010) che possono avere effetti sullo stato di benessere psico-fisico di una persona.
Secondo l’indagine, circa otto persone su dieci hanno sperimentato almeno una forma di microaggressione in ambito lavorativo a causa del proprio orientamento sessuale. Questo tipo di violenza è più frequente tra le persone omosessuali rispetto a quelle bisessuali (81,7% a fronte del 78,8%). Inoltre, il problema è segnalato più spesso dai meno giovani (l’88,8% degli ultra 50enni contro il 77,6% dei 18-34enni).
Ma da chi derivano quali sono le offese più frequenti subito sul posto di lavoro a causa del proprio orientamento sessuale?
Con riferimento all’ultima esperienza di micro-aggressione vissuta, il 67,2% spiega che le offese sono derivate prima più frequentemente dai colleghi di pari grado seguiti da datori di lavoro o comunque superiori.
Tra coloro che hanno dichiarato di aver vissuto almeno una micro-aggressione, la quasi totalità afferma di aver subito “battute offensive o allusive nei confronti delle persone gay, lesbiche o bisessuali” (oltre nove su dieci), ma anche di sentire qualcuno “definire una persona come frocio o usare in modo dispregiativo le espressioni lesbica/gay o simili” (87,1%).
Queste discriminazioni sono più frequenti tra gli uomini: la componente maschile riporta con maggiore frequenza che “è capitato che i suoi modi di essere (gesticolare, parlare, vestire) venissero imitati per prendersi gioco di lei” (26,6% a fronte del 14,9%), mentre “che si desse per scontata la sua disponibilità sessuale” viene indicato maggiormente dalla componente femminile (21% contro 15,6%).
Circa nove persone su dieci hanno sperimentato più di un tipo di micro-aggressione (il 65,2% ne segnala due o tre) e nell’85,3% dei casi l’ultima esperienza è avvenuta negli ultimi tre anni dalla ricerca (quindi 2020, 2021 e 2022).
La denuncia della ragazza toscana riaccende dunque i riflettori su una tematica ancora molto diffusa nel panorama lavorativo italiano, ma spesso sottaciuta.
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