Sistema pensioni a rischio collasso ma pochi italiani credono nelle integrative
- 05/03/2024
- Popolazione
Nonostante il futuro pensionistico sia sempre più incerto, in Italia stentano a decollare le pensioni integrative. Ad oggi, le cosiddette pensioni di scorta sono 10,7 milioni (su quasi 24 milioni di occupati), che verosimilmente corrispondono a un numero inferiore di persone, dato che ognuno può sottoscriverne più di una.
Nel frattempo, il divario tra stipendio guadagnato in carriera e importo della pensione aumenta con un ritmo preoccupante: secondo i calcoli un dipendente del settore privato che va in pensione con 38 anni di contributi, nel 2040 otterrà una pensione lorda pari al 58,7% dell’ultimo reddito (lordo) da lavoro. Nel 2010 il rapporto era pari al 73,6%. In appena trent’anni, il rapporto ha perso 15 punti percentuali.
La crisi demografica attanaglia la “redditività” delle pensioni, che nel nostro sistema vengono pagate da chi lavora oggi. Per questo, il governo Meloni è intervenuto penalizzando le pensioni anticipate soprattutto nei settori con più carenza di personale, al fine di trattenere più lavoratori possibili.
Una soluzione inevitabile e inevitabilmente temporanea: senza un’inversione della denatalità, molti posti di lavoro resteranno vacanti e il sistema pensionistico italiano rischierà di diventare insostenibile nel giro di tre o quattro decenni.
Oggi, considerando le uscite anticipate e le varie eccezioni alla regola generale, l’età media di pensionamento, in Italia, è di circa 65 anni contro la media Ocse di 64.1. Ma sono le prospettive future a rendere necessario il ricorso alla pensione integrativa: Secondo il Rapporto ‘Pensions at a glance’ dell’Ocse, “Per chi entra ora nel mercato del lavoro l’età pensionabile normale raggiungerebbe i 70 anni nel Paesi Bassi e Svezia, 71 anni in Estonia e Italia e anche 74 anni in Danimarca”.
Perché, allora, si ricorre raramente alla pensione integrativa?
Perché in Italia ci sono poche pensioni integrative
Sono diversi i motivi per cui raramente gli italiani scelgono la pensione complementare: lavoro povero; lavoro precario; lavoro occasionale o stagionale e in alcuni casi i rendimenti troppo bassi o le spese di gestione troppo alte. C’è, però, anche una ragione culturale che vede gli italiani generalmente diffidenti verso la materia finanziaria intesa in senso lato. Non solo: l’educazione finanziaria e assicurativa è ancora più gravemente insufficiente per i giovani e le donne, categorie che già subiscono una condizione occupazionale peggiore rispetto alla media degli italiani.
“Non c’è dubbio, in Italia siamo un po’ arretrati su questo fronte e i problemi occupazionali acuiscono la scarsa diffusione di questi prodotti”, spiega Alberto Boidi, responsabile vita di UnipolSai ripreso da Affari e Finanza. A vedere i dati si nota un costante aumento di occupati in Italia, ma spesso si tratta di un’occupazione povera con salari che non tengono il ritmo dell’inflazione.
Quali sono i diversi tipi di previdenza complementare
Ci sono diversi modi per accedere alla previdenza integrativa o complementare:
- Fondi pensione negoziali (o chiusi): sono forme pensionistiche complementari istituite dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale;
- Fondi pensione aperti: sono forme pensionistiche complementari istituite da banche, imprese di assicurazioni, società di gestione del risparmio (Sgr) e società di intermediazione mobiliare (Sim);
- Piani individuali pensionistici (Pip): rappresentano i contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale;
- Fondi pensione preesistenti: si tratta dei fondi pensione esistenti prima del Decreto legislativo 1241 del 1993 che ha riformato e incentivato la previdenza complementare. Questi fondi hanno caratteristiche proprie che li distinguono dai fondi istituiti successivamente. Possono, ad esempio, gestire direttamente le risorse senza ricorrere a intermediari specializzati. Si tratta di Fondi collettivi per i quali l’adesione dipende da accordi o contratti aziendali o interaziendali.
Il finanziamento delle forme pensionistiche complementari è a carico del lavoratore destinatario della prestazione e, in caso di rapporto di lavoro dipendente, in parte anche a carico del datore di lavoro. I lavoratori dipendenti possono decidere di integrare i versamenti contributivi anche mediante il conferimento al Fondo del trattamento di fine rapporto (Tfr).
Come si accede alla pensione integrativa
Per accedere alla pensione integrativa, il lavoratore, entro sei mesi dall’assunzione, può decidere di:
- destinare le quote di Tfr ancora da maturare ad una forma pensionistica complementare;
- lasciare il TFR presso il datore di lavoro;
- non decidere nulla. In questo caso il datore di lavoro trasferisce il Trattamento di fine rapporto alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, salvo accordi aziendali diversi. Nel caso di presenza di più forme pensionistiche, il Tfr è trasferito, salvo diverso accordo aziendale, al fondo pensione al quale ha aderito il maggior numero di dipendenti. In assenza di forme pensionistiche integrative collettive di riferimento, il datore di lavoro deve trasferire il Tfr maturando alla forma pensionistica complementare istituita appositamente presso l’Inps (Fondinps);
- destinare il Tfr futuro alla previdenza complementare anche in un secondo momento. Il TFR maturato resta accantonato presso il datore di lavoro e sarà liquidato al momento della risoluzione del rapporto di lavoro.
Il diritto alla prestazione pensionistica, invece, si acquisisce al momento quando il lavoratore matura i requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, a patto che abbia aderito almeno cinque anni alle forme pensionistiche complementari.
La flessibilità come elemento chiave
La crisi demografica aumenta le incertezze sull’occupazione perché mette in difficoltà le imprese. La stabilità lavorativa non è un concetto a cui i giovani italiani sono abituati, anche perché molte aziende sono costrette a chiudere o a ridurre il personale non trovano le competenze richieste o calando i consumatori. Questo scenario tende ad allontanare gli italiani dalla previdenza complementare, e invece dovrebbe avvicinarli. Infatti, la caratteristica più importante del “welfare privato” è la flessibilità: si possono modificare gli importi da corrispondere al fondo, così come sospendere o riprendere i versamenti in funzione delle proprie esigenze.
Inoltre, la pensione integrativa può essere anche uno strumento utile per affrontare emergenze finanziarie mentre si è ancora al lavoro, richiedendo anticipazioni e riscatti parziali o totali in caso di necessità.
Tra le motivazioni per accedere all’anticipazione della pensione ci sono le spese sanitarie e l’acquisto della prima casa per sé o per i figli. L’anticipazione può, inoltre, essere richiesta per altre cause nel limite del 30% della posizione maturata. Dopo due anni di adesione ad un fondo è possibile chiedere il trasferimento della posizione maturata presso altro fondo pensionistico complementare.
Quando il lavoratore va in pensione, può chiedere subito la liquidazione della propria posizione individuale fino a un massimo del 50% sotto forma di capitale.
Una delle caratteristiche cruciali della previdenza integrativa è la flessibilità:
Pensione integrativa senza fondo pensione
Si è visto che la pensione integrativa può essere azionata tramite diversi canali e non solo con i fondi pensione. La caratteristica chiave dei fondi pensione è che la scelta di aderirvi è libera e aperta a tutte le categorie di lavoratori (dipendenti privati, pubblici, lavoratori autonomi e liberi professionisti) ma anche a non lavoratori, compresi studenti e soggetti fiscalmente a carico (minorenni e non).
Un altro modo per costruirsi un futuro migliore è quello di stipulare un’assicurazione sulla vita realizzando i Piani individuali pensionistici (Pip). Anche in questo caso il piano dei versamenti è flessibile e personalizzabile, quindi è possibile in qualsiasi momento aumentare o ridurre l’importo di ogni pagamento, così come sospenderlo o effettuare versamenti aggiuntivi.
Pur essendo simili nella disciplina, fondi pensione e assicurazione sulla vita destinano in maniera diversa i soldi accantonati dal lavoratore. I fondi pensione investono in una varietà di asset finanziari, come azioni, obbligazioni e immobili, riducendo il rischio di concentrazione. Le polizze, invece, offrono una maggiore personalizzazione al lavoratore. Le polizze sulla vita, infine, sono contratti di assicurazione che prevedono il pagamento di un capitale o una rendita al verificarsi di eventi legati alla vita dell’assicurato, come la sopravvivenza oltre una certa età.
I vantaggi fiscali della previdenza complementare
Per agevolare la pensione complementare, sono stati introdotte importanti agevolazioni fiscale. Infatti, i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro alle forme di previdenza complementare sono deducibili dal reddito complessivo fino a un importo annuo di 5.164,57 euro. Il risparmio di imposta può essere particolarmente alto per quei soggetti che, grazie a questa deduzione, passando nello scaglione Irpef più basso e quindi pagano un’aliquota più bassa sui redditi.
I prodotti previdenziali sono, inoltre, esenti dal pagamento dell’imposta di bollo. E solo la parte di capitale o rendita che deriva dai contributi versati e dedotti ed eventualmente dal Tfr versato è assoggettata a tassazione che varia dal 15% al 9%, mentre la parte di capitale o rendita derivante da contributi non dedotti o dai rendimenti della gestione già tassati è completamente esente da imposte.
Quanto rendono le pensioni integrative
Se si considera il settore nel suo insieme, senza entrare nel dettaglio delle varie forme di previdenza complementare, i dati Covip (autorità di vigilanza di settore) certificano che negli ultimi 10 anni i fondi negoziali hanno ottenuto un rendimento del 2,4%, i fondi aperti del 2,5% e i nuovi Pip (piani pensionistici individuali) del 2,7%. In ogni caso si tratta di rendimenti pari o superiori rispetto al Tfr lasciato in azienda (2,4%).
I Pip generalmente hanno mediamente costi più alti rispetto ai fondi negoziali e agli stessi fondi pensionistici aperti, secondo quanto riportano le statistiche della Covip. Però, in media, negli ultimi dieci anni hanno premiato i sottoscrittori con rendimenti più alti. Ogni scelta di pensione integrativa ha i suoi pro e i suoi contro, che ogni lavoratore declina in base alla propria situazione.
Di certo, i dati sulle pensioni pubbliche italiane invitano a prendere una decisione in tal senso. Secondo l’Istat, nel 2021 il 59,1% delle singole prestazioni pensionistiche era di importo inferiore ai 1.000 euro lordi mensili. Numeri che, senza una inversione demografica, andranno via via a peggiorare e che dovrebbero spingere i lavoratori a costruirsi una strada alternativa.
Sempre più la politica incentiva strumenti di welfare privato, consapevole del fatto che tra pochi decenni il sistema pensionistico rischia di diventare insostenibile.
Diventa quindi fondamentale formare soprattutto i giovanissimi, che più delle altre generazioni subiranno gli effetti della crisi demografica. Nel 2050, secondo le stime Istat, il numero di lavoratori italiani pareggerà quello dei pensionati. Occorre proteggere i giovani da un sistema pubblico che rischia di collassare.
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