“Non voglio diventare come Turetta”, ragazzo di Pordenone chiede aiuto al centro antiviolenza
- 18/07/2024
- Popolazione
“Non voglio diventare come Filippo Turetta”. Con queste parole un ragazzo di Pordenone si è rivolto a un centro antiviolenza gestito dall’associazione Istrice. “Aiutatemi, prima che sia troppo tardi”, implora il giovane. Una richiesta che fa il giro del web perché la nostra società non è ancora abituata all’idea di un uomo che chiede aiuto.
La richiesta al centro antiviolenza di Pordenone
La richiesta è strana anche per lo stesso centro antiviolenza, dove di solito approdano uomini condannati per violenza, oppure inviati in Codice rosso dal tribunale. Uomini, insomma, che hanno già commesso dei delitti e fanno un percorso di rieducazione in cambio di uno sconto di pena.
Il centro di Pordenone gestito dall’associazione Istrice fa sapere che le richieste di aiuto “preventive” sono ancora molto rare. Di certo, rappresentano un passo avanti per la società, uno spiraglio per una narrazione di genere diversa da quella tossica del “Maschio Alfa” che “non deve chiedere mai”.
Istrice fa sapere: “Il ragazzo ci ha conosciuti dopo una serata informativa organizzata con Voce Donna. Era spaventato per le reazioni scomposte del passato e per quelle che avrebbe potuto avere nuovamente. Ha capito che queste potevano rappresentare un eventuale pericolo per chi gli stava vicino e si è fatto aiutare”. L’associazione spiega che: “Alcuni maltrattanti arrivano da noi a seguito di procedure per codice rosso e, quindi, inviati dalle forze di polizia o dal tribunale. Ci sono casi che vengono indirizzati tramite i servizi o la rete sanitaria e poi ci sono situazioni di chi si avvicina spontaneamente a noi”.
Cambiare la società
I centri antiviolenza svolgono un ruolo cruciale anche per intercettare gli uomini in difficoltà e normalizzare le loro richieste di aiuto. Questo è il primo passo, ma spesso è anche quello più difficile, come spiega la criminologa Roberta Catania a Donna Moderna: “È la struttura stessa del maltrattante a sostenere i suoi comportamenti, sostenuti a loro volta da una società in cui la relazione tra uomo e donna non è impostata sulla parità ma sulla prevaricazione. Per questo è difficile rieducare un maltrattante: perché prima di tutto è difficile ammettere di esserlo”.
Eppure, qualcosa sta cambiando dopo il terribile omicidio di Giulia Cecchettin, che ha scosso gli animi di molti ragazzi come non era mai successo prima. “Parecchi giovani mi scrivono su Instagram spaventati delle loro emozioni, e mi chiedono se i loro stati d’animo possano renderli simili a Filippo Turetta, se avere pochi amici possa rappresentare una spia a cui prestare attenzione, se arrabbiarsi con la ragazza voglia dire essere pericolosi”, dice ancora la criminologa, confermando che “La potenza mediatica del caso Cecchettin ha almeno lasciato questo di buono: ha scardinato lo stereotipo della relazione violenta. E ci ha fatto capire che la prevaricazione dell’uomo sulla donna è una struttura del pensiero di cui faremo fatica a liberarci, se non con un enorme lavoro culturale”.
Anna Campanile, operatrice di Voce donna di Pordenone commenta così il contesto in cui viviamo: “La violenza sulle donne ha una matrice culturale molto profonda: dipende proprio dal modo di pensare di uomini e donne e da come uomini e donne si pensano in una relazione”. “Che ci sia un giovane uomo, tra migliaia di ragazzi aggressivi e maltrattanti, che si mette in discussione, che fa dei ragionamenti sul proprio agire e fa un’assunzione di responsabilità, è sicuramente un primo segnale di cambiamento. E lo dobbiamo alla morte di Giulia, a come sua sorella Elena e suo padre Gino siano andati oltre al rancore e al dolore per spingere un’intera società alla riflessione e al rispetto”.
Il giovane ragazzo di Pordenone, di cui non si conosce il nome, si è rivolto al centro antiviolenza perché ha avuto pensieri violenti dopo il rifiuto di una ragazza. Ha riconosciuto che qualcosa non andava, si è ricordato di quel terribile omicidio, si è spaventato all’idea di poter diventare come Turetta. Ma soprattutto potrebbe aver aperto una strada nuova per tutti quei ragazzi che si vergognano nel chiedere aiuto e hanno difficoltà nel riconoscere i primi segnali preoccupanti.
Il suo esempio è in linea con la crescente sensibilità dei giovani per la salute mentale, e dà un bagliore di speranza: la strada è ancora molto lunga, ma forse le cose stanno iniziando a cambiare.