Tacchi, curry e rancori: l’Italia (multietnica) che litiga sul pianerottolo
- 26 Settembre 2025
- Popolazione
Non c’è più il tempo delle scale abitate da famiglie che si conoscevano da generazioni, unite dalla stessa parlata e da riti quotidiani condivisi. I condomini italiani del 2025 sono specchi di un Paese che cambia: mescolano origini, religioni, abitudini alimentari, festività e stili di vita che convivono fianco a fianco dietro porte di appartamenti separati solo da una parete. Un arricchimento sociale ed economico, ma anche un terreno fragile, dove la mancanza di dialogo si trasforma in tensioni e talvolta in battaglie legali.
A fotografare il fenomeno ci sono i numeri: circa 2 milioni di cause pendenti in Italia riguardano i condomini, con punte altissime in regioni densamente abitate come Lazio, Campania ed Emilia Romagna. Non è un dettaglio marginale, ma un vero termometro delle difficoltà di convivenza in un Paese che, più di altri, ha scelto il condominio come modello abitativo.
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Un Paese che litiga sulle scale
L’Italia condominiale è un Paese che finisce troppo spesso davanti a un giudice. Secondo Codacons, nel 2024 la Campania ha toccato quota 170 mila cause pendenti per questioni legate al condominio. Due anni prima, nel Lazio, i procedimenti erano circa 190 mila; a seguire 160 mila in Sicilia e Veneto, 150 mila in Emilia Romagna, fino ad arrivare a cifre più contenute come le 50 mila di Liguria e Marche. In fondo alla classifica il Trentino Alto Adige, con 30 mila controversie: un dato che sembra basso, ma che rapportato alla popolazione (1.082.702 abitanti al 30 giugno 2025, ndr) resta significativo.
La distribuzione geografica riflette densità urbana, modelli abitativi e livelli di conflittualità sociale. Dove i condomini sono più numerosi e affollati, i litigi esplodono con maggiore facilità. Ma i numeri, da soli, non raccontano tutto. Il presidente nazionale di Anaci, Francesco Burrelli, mette a fuoco il problema: “La composizione cosmopolita dei condomini crea incomprensione e mancanza di dialogo tra abitanti con esigenze e usanze diverse. Le liti condominiali sono il vero banco di prova della nostra convivenza”.
Dietro le statistiche si nascondono casi che rasentano l’assurdo. A Milano un condominio ha speso anni in causa per stabilire se il rumore dei tacchi di una vicina costituisse “disturbo intollerabile”. A Verona si è arrivati in tribunale per una pianta sul balcone che sgocciolava acqua piovana, considerata dal vicino un danno estetico permanente. In Liguria, invece, l’oggetto del contendere era una bandiera della pace appesa al balcone: alcuni condòmini la volevano rimossa per “violazione del decoro”, ma il giudice ha dato ragione al proprietario. Storie marginali, ma che consumano tempo e denaro, lasciando cicatrici nei rapporti di vicinato.
Dall’odore di curry alle guerre in tribunale
La miccia che accende una lite condominiale è spesso banale. Non si tratta di grandi questioni economiche o giuridiche, ma di dettagli che riguardano la quotidianità. Burrelli elenca i casi più frequenti: “Si parte dagli odori sgradevoli, passando per le auto fuori posto fino alle urla dei bambini o al cane che abbaia. Senza dimenticare l’uso disinvolto delle parti comuni, i rumori da altri appartamenti, lo spostamento di mobili a tarda ora, l’innaffiatura di piante, infiltrazioni, bucato gocciolante e perfino il disordine sul pianerottolo”.
Episodi che, presi singolarmente, sembrano sciocchezze, ma che ripetuti nel tempo diventano insopportabili. In un contesto multiculturale, poi, le differenze di percezione amplificano lo scontro: un odore di cucina etnica può sembrare un’invasione, un gioco infantile diventa rumore intollerabile, una festa religiosa si trasforma in disturbo. Non è un dettaglio: al 1° gennaio 2025 gli stranieri residenti in Italia erano 5,4 milioni, pari al 9,2 % della popolazione totale, con un aumento del 3,2 % in un solo anno.
A Roma una causa è nata dal canto durante una celebrazione liturgica tenuta in un appartamento: i vicini lamentavano “rumori non compatibili con il riposo serale”. In Campania, un parcheggio conteso ha spinto un condòmino a spostare di notte l’auto del vicino: la vicenda è finita in tribunale come “furto d’uso”.
Il problema è che il passo dal pianerottolo al tribunale è breve. “Quando due condomini finiscono in tribunale, il rapporto di vicinato è rovinato per sempre. Anche con una sentenza, i rancori rimangono e basta un pretesto per farli esplodere di nuovo”, sottolinea l’avvocato e mediatore civile Gaetano D’Andrea. Le cause civili, infatti, richiedono anni, costi ingenti e lasciano ferite profonde. Il vicino con cui si litiga in aula resta comunque dietro la porta accanto, e nessuna sentenza potrà cancellare la tensione quotidiana.
Dalle aule ai tavoli di dialogo
Eppure, esiste una via alternativa. Si chiama mediazione civile, ed è un percorso che sta guadagnando terreno anche nel settore condominiale. Non è una scorciatoia, ma uno spazio strutturato dove i condomini coinvolti possono confrontarsi in presenza di un mediatore neutrale. “La mediazione è uno spazio riservato, dove le parti possono parlarsi davvero. Non sono gli avvocati a decidere, ma i condomini stessi, che trovano soluzioni pratiche”, spiega D’Andrea, che ha portato a termine oltre 700 mediazioni.
Il vantaggio sta nella riservatezza: in quel contesto si possono esprimere malumori e frustrazioni che in tribunale non emergerebbero mai. A volte basta questo per abbassare la tensione e individuare compromessi. Un esempio concreto: due vicine di casa in conflitto da anni per rumori, fumo, abbaiare di cani e stillicidi d’acqua avevano quasi deciso di separarsi vendendo un appartamento. La mediazione ha trasformato il conflitto in accordi pratici: barbecue solo previo avviso, sigaretta elettronica sul balcone, attenzione nello stendere il bucato, gestione del cane. Piccoli gesti, ma sufficienti a riportare la pace.
E non mancano i casi più curiosi. A Bologna, una lite nata per l’uso di un cortile comune come deposito di biciclette si è risolta in mediazione: il compromesso è stato un calendario rotativo per parcheggiare, con tanto di tabella appesa nell’androne. A Torino, due famiglie hanno trovato un accordo su una festa religiosa che causava rumori notturni: la celebrazione è stata anticipata di un’ora e accompagnata da un invito ai vicini, che ha finito per trasformare il motivo del conflitto in un’occasione di incontro.
“La differenza è che nella mediazione le parti diventano protagoniste, acquisendo senso di responsabilità e, paradossalmente, di liberazione. A volte serve poter dire quello che si pensa senza filtri, per poi ritrovarsi su un terreno comune. È un valore aggiunto che nessuna sentenza potrà mai offrire”, conclude D’Andrea.
Il ruolo degli amministratori e la sfida della multiculturalità
Il lavoro dell’amministratore condominiale non è più soltanto una questione di verbali e bilanci: oggi chi gestisce un palazzo deve anche saper leggere i conflitti, intercettarli e disinnescarli prima che arrivino in tribunale. La gestione moderna richiede competenze giuridiche, capacità di mediazione e, sempre più spesso, sensibilità interculturale. Burrelli lo ribadisce: la formazione, la certificazione professionale e i corsi di aggiornamento diventano strumenti fondamentali per ridurre il contenzioso.
Un condominio multietnico è un microcosmo che riflette tutte le difficoltà dell’integrazione sociale. Differenze linguistiche, religiose e culturali si intrecciano con esigenze pratiche: ripartizione delle spese, manutenzione delle parti comuni, utilizzo degli spazi. Se l’amministratore è preparato, può anticipare i conflitti, aprendo spazi di dialogo prima che il malcontento si trasformi in una lite.
Il futuro della convivenza urbana passa anche da qui: non solo leggi e sentenze, ma figure professionali capaci di interpretare il cambiamento sociale e di trasformare la diversità in una risorsa. Non è un compito semplice, perché significa affrontare quotidianamente tensioni e malumori. Ma è l’unica strada per evitare che milioni di cittadini restino intrappolati in un circolo vizioso di rancori e cause legali. In un Paese dove oltre 40 milioni di persone vivono in condominio, la sfida riguarda tutti.