Social e educazione sessuale, Dott.ssa Calcagni: “Necessaria nelle scuole”
- 17/04/2024
- Popolazione
Ha superato il milione e mezzo di follower su TikTok condividendo la sua passione per la medicina. L’ha fatto attraverso la divulgazione scientifica. Combatte i tabù con le sue competenze mediche e racconta la sessualità con tutto ciò che la riguarda. La Dottoressa Monica Calcagni, Medico Chirurgo Specialista in Ginecologia ed Ostetricia, con Master di Secondo Livello in Medicina Estetica, oggi è Medico di Base, mamma di tre figli e “influencer”, nella migliore accezione che questo termine può assumere sui social. “Favorevole a tutto ciò che può donare amore”, ci risponde quando le chiediamo il suo parere su Procreazione medicalmente assistita, denatalità e gestazione per altri. Ma scopriamo insieme chi è e come le sue competenze aiutano ogni giorno migliaia di persone.
Dottoressa, come nasce l’dea di sensibilizzare, educare alla sessualità e in generale sul funzionamento degli organi genitali, attraverso i social network?
“Mai avrei immaginato di avere questo successo. Tutto è nato grazie a mia figlia Caterina che, come molte ragazze della sua età, trascorre del tempo sui social e su TikTok. Per avvicinarmi al suo linguaggio e per capire cosa la legava a questi mondi, mi sono scaricata l’app, ho creato un profilo e ho visto che c’era tantissima disinformazione sulla sessualità. Non c’erano ginecologhi, ma c’erano tante domande. Così ho iniziato a fare video divulgativi: ‘Noi ci vogliamo divertire e tu vuoi informare?’, mi chiedeva mia figlia. Io, specializzata da 20 anni e con un altro lavoro, non cercavo notorietà, ma ho scoperto che il bisogno di informazioni era forte”.
L’attività che svolge sui social, insieme a molti suoi colleghi e colleghe, riempie un vuoto: la carenza di una disciplina dedicata a queste tematiche nelle scuole. A che età – secondo lei – sarebbe opportuno imparare come funziona il proprio corpo?
“Reputo che il funzionamento del proprio corpo debba essere insegnato da piccolissimi. Sin dalla scuola materna. È necessario strutturare però una disciplina in maniera più scientifica, anche a partire dalle scuole elementari. Si deve parlare in modo diverso rispetto alle fasce di età a cui ci si rivolge. Non pretendo che si spieghi il sesso a tre anni, ma in quinta eleminare, se non lo fa la scuola, i ragazzini lo scoprono da soli o dai fratelli e sorelle più grandi. Non bisognerebbe fare solo educazione sessuale, però, ma anche all’affettività e anatomica soprattutto. In troppi casi, non sappiamo come siamo fatti”.
La sua attività di sensibilizzazione si svolge in un contesto extrascolastico, per questo non considerato tutelato. Quali possono essere i rischi, se ne vede?
“Il rischio è che non c’è controllo, non ci sono filtri. Sui social si trova di tutto: dal professionista che spiega e da informazioni corrette a quello che da informazioni non corrette. Tra noi medici ci segnaliamo i contenuti non idonei che vengono eliminati. Ma sui social ci sono anche i consulenti senza titoli, chi si appassiona all’argomento e pensa di poter dare consigli. Poi ci sono le pazienti che diventano “esperte” o si ritengono tali e vengono chiamate in congressi e convegni: questo, a mio avviso, è il rischio maggiore. Sui social, l’educazione sessuale, non la fa solo il professionista, ma un po’ tutti. Il problema? Mancano le società e comunità scientifiche contro la disinformazione”.
Alcune sue rubriche social vedono i suoi due figli minori coinvolti. Molti utenti le criticano questo coinvolgimento, in quanto sono troppo giovani e spesso apparentemente in imbarazzo. C’è mai stato un momento in cui si è resa conto che queste tematiche fossero un tabù per i suoi figli?
“Sui social io mostro solo loro due, perché il più grande dei miei tre figli non si è mai voluto esporre. Le sue foto che pubblico sono sempre approvate e relative ad altre occasioni, come i compleanni ad esempio. Non ha mai voluto fare video con me e rispetto questa decisione. Caterina e Riccardo, i più piccoli, invece, sono già sufficientemente grandi e in grado di decidere. Proposi a mia figlia di realizzare contenuti con me perché pensavo che fosse anagraficamente alla pari delle persone a cui ci rivolgevamo. Ma facciamo video solo quando lei ha voglia di registrare. Il fatto che la metta in imbarazzo fa parte del gioco. I video sono sempre “buona la prima”, non rigiriamo mai perché la loro forza sta nel riportare un normale discorso tra mamma e figlia che dura qualche minuto e non è mai programmato. Lo stesso con Riccardo, che è ancora più piccolo, ha nove anni, ma è in grado di stabilire se fare o meno i video e quando ho ricevuto critiche pesanti per il suo coinvolgimento, si è sentito responsabile perché non voleva che il mio lavoro venisse danneggiato per colpa sua”.
Cosa consiglierebbe agli altri genitori?
“Il consiglio che do è quello di informarsi. Quando non so rispondere ai miei figli, gli dico: ‘Non lo so, andiamo a guardare insieme’. Quello che succede spesso è che, se il genitore si trova in imbarazzo, non risponde. Il momento delicato delle domande, momento in cui i nostri figli si aprono a noi, è un tendere la mano. Anche avanti alle domande più spinte, dietro c’è sempre un bisogno di soddisfare una curiosità. Ai genitori dico: ‘Prendete quella mano tesa e aprite il discorso. Se non sai la risposta, cercatela insieme, gli strumenti non mancano’”.
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Passando ai contenuti, invece, spesso dedica attenzione anche a persone adulte o anziane. Ha riscontrato un bisogno di informazione, aiuto e supporto generalizzato indipendentemente dall’età? Come si spiega questa carenza di conoscenza su tematiche che ci toccano così da vicino?
“Tutte le persone hanno bisogno d’aiuto. Tra le persone adulte è ancora più grave la disinformazione. Io ho 47 anni, non avevamo internet, non abbiamo fatto educazione sessuale, ci siamo informati sui giornalini e non tutti hanno avuto genitori disponibili e aperti. Quelli della generazione precedente alla mia sono cresciuti con l’idea della verginità prematrimoniale. Per questo mi rivolgo a tutte le fasce d’età. Quello che mi sconvolge sono i 14enni che non parlano con i genitori. Non hanno dialogo. C’è una grande differenza tra città e provincia. Il vantaggio del social è che si può arrivare a tutti, mentre il consultorio più vicino può essere anche a due ore di autobus”.
Nelle ultime settimane si torna a parlare di aborto: diritto da inserire nei diritti fondamentali Ue, associazioni antiabortiste nei consultori e simili notizie. A distanza di oltre quarant’anni, lo considera ancora un diritto tutelato o, secondo la sua esperienza, per qualche motivo è ostacolato?
“L’aborto non è mai stato un diritto tutelato. Faccio il medico di base, ma se ci fosse la necessità tornerei a fare aborti come ho fatto in passato. C’è difficoltà di accesso, farsi inserire nelle liste: una paziente normalmente fa molta fatica ad accedere all’interruzione volontaria di gravidanza. Poi, non è un diritto garantito sul tutto il territorio nazionale. In passato, ero l’unico medico non obiettore di coscienza nella provincia di Rieti, ho lavorato anche con la febbre perché, se non ci fossi stata io non l’avrebbe fatto nessuno. Lo stesso valeva per Frosinone, ma ci sono Regioni dove c’è un solo centro su tutto il territorio”.
C’è chi considera l’Ivg come causa delle culle vuote e chi pensa che non si fanno figli per paura del dolore…
“Faccio la ginecologa dal 2002 e in tutti questi anni ho incontrato molte donne che non volevano fare figli perché avevano reali difficoltà. I politici sanno quanto costa un asilo nido pubblico o privato in una città? Con uno stipendio normale, non si riesce. Oggi, inoltre, le donne vengono troppo medicalizzate. Per questo stiamo assistendo ad un ritorno al passato: stiamo tornando al parto in casa, a chi fa sport in gravidanza fino a che è consentito. A chi pensa di sentire dolore dico che si è sempre partorito e che oggi ci sono strutture attrezzate per l’epidurale per non sentire neanche fastidi. Ma resta il fatto che chi vuole figli non li fa per reali problematiche: economiche, prima di tutto”.
Come si pone, invece, nei confronti delle donne che desiderano la maternità, superata una certa soglia di età? La procreazione medicalmente assistita è una soluzione, così come il congelamento degli ovuli. Ma quali sono i limiti da porsi?
“Secondo me, i limiti da porsi sono etici. Sono a favore del social freezing. A chi pensa di non volere figli oggi, dico: ‘Mettete in “banca” la vostra fertilità’ per il futuro. Oggi le donne sono un po’ costrette a farlo perché, se vuoi studiare o affermarti, non puoi fare figli da giovane. Dico assolutamente sì alla donazione (di ovuli e sperma, ndr) e sono a favore anche alla gestazione per altri e di tutto quello che po’ dare vita e amore. Il limite dovrebbe essere l’età biologica, non per forza quella anagrafica”.
Infine, la sua attività di sensibilizzazione social ha riscosso un enorme successo, ma non è la sua primaria attività. Cosa la spinge a continuare?
“La voglia di informare. Quando una ragazzina mi dice che grazie a me ha capito che i suoi dolori erano dovuti all’endometriosi o che grazie ai miei consigli una donna ha ricominciato ad avere rapporti anche in età adulta, risolvendo il problema della secchezza vaginale, sono contenta. E ogni volta che mi fermano per strada per ringraziarmi capisco che quello che sto facendo ha portato i suoi frutti. Per questo motivo penso che sia importante e continuerò a farlo. Anche se mi leva energie e tempo, finché avrò le forze lo farò”.
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