A Monfalcone è vietato giocare a cricket (per i bengalesi)
- 06/09/2024
- Popolazione
Non è solo una questione di sicurezza. Per la comunità bengalese della città di Monfalcone, in provincia di Gorizia, situato sul Golfo di Trieste, il divieto della sindaca di giocare a cricket in città è un atto di razzismo. Anna Maria Cisint, leghista neoeletta europarlamentare, avrebbe vietato lo sport nelle piazze urbane.
“Dicono che il cricket non è per l’Italia. Ma ti dico la verità: è perché siamo stranieri“. Ad esserne convinto è Miah Bappy che alla Bbc ha affermato che le multe possono arrivare fino a 100 euro per chi viene sorpreso a praticare lo sport in strada e che ora sono costretti a giocare vicino all’aeroporto, lontano dal centro urbano e dai suoi parchi.
Il caso ha creato polemiche. Per molti si tratta di una questione di sicurezza, in quanto l’uso della palla potrebbe arrecare danni a cose e persone. Ma per molti altri, dietro la motivazione del divieto pare ci possa essere un inasprimento delle misure di restrizione nei confronti dei cittadini stranieri. Sono quasi un terzo del totale dei residenti e, per la sindaca, iniziano ad essere un problema.
Vietato il cricket a Monfalcone
Il divieto di giocare a cricket è diventato il simbolo delle profonde tensioni che stanno divampando a Monfalcone. La città conta una popolazione di poco più di 30 mila abitanti: quasi un terzo sono stranieri. La maggior parte di questi è musulmana e provenienti dal Bangladesh. Pare siano arrivati negli anni Novanta per lavorare alla costruzione di navi da crociera. E la sindaca Cisint non ha mai nascosto quello che per lei sembra essere un pericolo.
“Voler essere cittadino italiano deve comportare un vero desiderio di vivere secondo i modelli culturali e sociali del nostro Paese – scriveva nei giorni scorsi su Facebook -, NON una sola opportunità per ottenere dei benefici”.
“Da sette anni lotto contro l’islamizzazione integralista della mia città, per i nostri valori, per il mio Paese. Ho chiuso due moschee irregolari e non mollo. Oggi è necessario scegliere da che parte stare. Io ho scelto: sto con l’Italia e gli italiani”, dichiarava la sindaca leghista in vista delle elezioni al Parlamento europeo.
“La nostra storia sta venendo cancellata – ha aggiunto Cisint alla Bbc -. È come se non importasse più. Tutto sta cambiando in peggio”. Intanto, pare che la prima cittadina abbia rimosso le panchine dalle piazze e si sarebbe espressa in diverse occasioni anche contro la condizione in cui versano le donne musulmane e su ciò che indossano in spiaggia: “C’è un processo molto forte di fondamentalismo islamico qui – ha affermato -. Una cultura in cui le donne sono trattate molto male e oppresse dagli uomini”.
Continuando al quotidiano inglese, Cisint ha dichiarato che si rifiuta di concedere ai bengalesi il privilegio di praticare il loro sport nazionale e sostiene che loro non offrono “nulla in cambio”: “Non hanno dato nulla a questa città, alla nostra comunità. Zero. Sono liberi di andare a giocare a cricket ovunque… fuori da Monfalcone”.
Per le sue opinioni sui musulmani, Anna Maria Cisint è stata minacciata di morte e ora è sotto scorta 24 ore su 24 da parte della polizia. Una delle azioni che hanno scatenato l’ira dei cittadini bengalesi è stata la chiusura per “ragioni di sicurezza” di due centri di preghiera islamici nella città con conseguente ritrovamento di un foglio con delle minacce scritte in italiano rinvenuto in un bagno dello stabilimento Fincantieri.
La società si è altrettanto scontrata con la sindaca che accusava l’azienda di sottopagare questi cittadini, sostenendo che i suoi stipendi sono così bassi che nessun italiano vorrebbe fare lo stesso lavoro per la stessa cifra. Ma il direttore del cantiere navale Cristiano Bazzarra ha prontamente risposto che gli stipendi pagati dall’azienda e dai suoi appaltatori sono in linea con la legge italiana: “Non riusciamo a trovare lavoratori qualificati. In Europa è molto difficile trovare giovani che vogliano lavorare in un cantiere navale”.
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#lega #patrioti
Pubblicato da Anna Cisint su Giovedì 5 settembre 2024
Tra lavoro e denatalità
Quella di Monfalcone è la fotografia di un’Italia che cambia. Manca la manodopera. La denatalità ha iniziato a manifestare le proprie conseguenze tra spopolamento di alcune aree urbane e conseguente mancanza di personale in alcuni settori. Una delle ultime analisi elaborate dall’Ufficio Studi Cgia di Mestre, sui dati dell’Inps e di Infocamere/Movimprese, riporta che nel 2012 gli artigiani erano poco meno di 1.867.000 unità. Nel 2023 hanno smesso la loro attività 410.000 soggetti (solo nel corso dell’ultimo anno se ne contano di 73.000 in meno). Oggi il numero totale sfiora i 1.457.000. Nell’arco di undici anni è stata registrata una caduta verticale, che si è interrotta solo nell’anno del post Covid, quando è stata registrata una crescita di 2.325 unità.
Il problema sembra riguardare però la maggior parte dei lavori, con stime che vedono una fuori uscita dal mondo del lavoro, nei prossimi quattro anni, di quattro milioni di soggetti. “Ci sarà un fabbisogno di 3milioni e 700 mila posti di lavoro, compresa la pubblica amministrazione”, ha affermato la ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone.
Un dato che, se associato alla denatalità, non lascia ben sperare. L’Italia ha uno dei tassi di natalità più bassi in Europa. L’anno scorso sono nati solo 379.000 bambini con una media di 1,2 figli per donna. Fino al 2050, il Paese avrà bisogno di 280.000 lavoratori stranieri all’anno per compensare la riduzione della forza lavoro.
Ma Anna Maria Cisint è fermamente convinta che non sia l’immigrazione la soluzione. Lo stile di vita della comunità musulmana bengalese, per lei, è “incompatibile” con quello degli italiani di nascita.
Rispondendo ancora alla Bbc, Cisint ha anche aggiunto che “la gente del Paese ha iniziato a inviarmi foto e video scioccanti che mostravano un numero enorme di persone che pregavano nei due centri islamici: fino a 1.900 in un solo edificio. Ci sono così tante biciclette lasciate sul marciapiede e preghiere ad alta voce cinque volte al giorno, anche di notte”. Per questo motivo, il suo divieto di preghiera collettiva era “una questione di regolamenti urbanistici”: i centri islamici non sono designati per il culto religioso e non è suo compito fornirli.
Durante l’estate un tribunale regionale si è pronunciato a favore dei due centri islamici e ha annullato l’ordinanza del consiglio comunale che vietava la preghiera collettiva. Ma la sindaca di Monfalcone ha promesso di continuare la sua campagna contro quella che lei chiama “l’islamizzazione dell’Europa” anche oltre i confini italiani.
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