Congedo di paternità per la madre intenzionale: storico “sì” della Corte costituzionale
- 21 Luglio 2025
- Famiglia Popolazione Welfare
La madre intenzionale ha diritto al congedo di paternità. Lo ha deciso oggi la Corte costituzionale con la sentenza numero 115, stabilendo un principio storico per le famiglie omogenitoriali composte da due donne.
La Consulta ha sancito la illegittimità costituzionale dell’articolo 27-bis del decreto legislativo numero 151/2001, nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice, quando quest’ultima è il genitore intenzionale in una coppia omosessuale di cui entrambe le donne sono iscritte nei registri dello stato civile. In pratica, quando per lo Stato entrambe le donne sono madri. Giova ricordare che, il 15 febbraio 2024, la Corte d’appello di Roma ha ribadito la liceità della dicitura “genitore 1” e “genitore 2” sulla carta di identità dei minori in caso di coppie omogenitoriali. Ancora più vicina, e in un certo senso prodromica al provvedimento odierno, è la sentenza di maggio scorso, con cui la Consulta ha dichiarato incostituzionale il divieto per la “madre intenzionale” di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita (Pma) legittimamente praticata all’estero.
Come si è arrivati alla sentenza odierna
Il quesito costituzionale sulla madre intenzionale era stata sollevata dalla Corte d’appello di Brescia, che aveva ritenuto discriminatoria la disposizione per la quale soltanto il padre avrebbe il diritto di fruire del congedo di paternità obbligatorio, consistente in dieci giorni di astensione dal lavoro retribuiti al 100%, a differenza della madre intenzionale. Il d.lgs. 151/2001 escludeva dal beneficio la “seconda madre”, ovvero quella non biologica.
La Consulta ha ritenuto “irragionevole la disparità di trattamento tra coppie genitoriali composte da persone di sesso diverso e coppie composte da due donne riconosciute legittimamente come genitori di un minore concepito attraverso tecniche di procreazione medicalmente assistita svolte all’estero, conformemente alla lex loci”, ovvero alla legge del luogo in cui si sono verificati i fatti.
Le motivazioni della Consulta
“Condividendo un progetto di genitorialità”, spiega la Corte, le due donne “hanno assunto, al pari della coppia eterosessuale, la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali alle esigenze del minore che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio della responsabilità genitoriale. L’orientamento sessuale non incide di per sé sulla idoneità all’assunzione di tale responsabilità”.
La ratio è quella che ha portato alla sentenza sulla dicitura di “genitore 1” e “genitore 2”: l’ordinamento giuridico ha il dovere di rimuovere qualsiasi causa di discriminazione, che non consenta al minore di avere lo stesso trattamento dei suoi coetanei. In questo caso, la necessità è quella di garantire a tutti i figli la medesima possibilità di avere accanto i propri genitori, senza che il genere incida sulla durata del congedo dell’uno o dell’altro.
La Corte sottolinea che la priorità deve essere quella di dedicare il giusto tempo alla cura del minore, anche attraverso l’organizzazione del lavoro: così come avviene nelle famiglie tradizionali, questo deve essere garantito anche ai figli delle coppie omogenitoriali femminili, dal momento che è possibile “identificare in queste una figura equiparabile a quella che è la figura paterna all’interno delle coppie eterosessuali”.
Chi è la madre intenzionale e la svolta del 2025
La madre intenzionale è colei che, pur non avendo un legame biologico con il bambino, assume attivamente il ruolo genitoriale all’interno di una coppia. Si tratta della cosiddetta “seconda madre” in una coppia omogenitoriale femminile che ha condiviso con la partner biologica la scelta di avere un figlio attraverso tecniche di procreazione medicalmente assistita.
In Italia, il riconoscimento legale della madre intenzionale ha vissuto una vera e propria rivoluzione giuridica nel 2025. Con la storica sentenza n. 68/2025 del 22 maggio, la Corte costituzionale ha stabilito che in caso di nascita da procreazione medicalmente assistita praticata all’estero, il bambino ha diritto di essere riconosciuto come figlio di entrambe le donne che hanno partecipato al progetto genitoriale.
La Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 8 della Legge 40/2004 nella parte in cui non consentiva questo riconoscimento, ravvisando la violazione dell’articolo 2 della Costituzione che protegge l’identità personale del minore. Il bambino ha diritto a uno status giuridico stabile che rifletta la sua realtà sociale ed affettiva, elemento essenziale per la crescita e la costruzione della sua personalità.
Come si diventa madre intenzionale legalmente riconosciuta? Il percorso prevede:
- Iscrizione nei registri dello stato civile come genitori di un minore nato attraverso Pma all’estero;
- Condivisione del progetto genitoriale con la partner biologica, assumendo la titolarità giuridica dei doveri funzionali alle esigenze del minore;
- Partecipazione attiva all’impegno di cura e responsabilità nei confronti del nuovo nato.
Con la sentenza di oggi, il riconoscimento della madre intenzionale ha ottenuto un ulteriore consolidamento nell’ordinamento giuridico italiano, ottenendo il diritto al congedo di paternità obbligatorio di dieci giorni.
La durata del congedo obbligatorio di paternità
La durata del congedo di paternità è un altro aspetto delicato della questione, che fuoriesce dall’ambito della sentenza odierna, ma tiene banco nel dibattito pubblico e politico.
In Occidente, sempre più papà chiedono di poter partecipare di più alla crescita del neonato, accedendo a un congedo obbligatorio maggiore. La questione è particolarmente sentita in Uk, dove l’11 giugno scorso c’è stato il primo “DadStrike” della storia: centinaia di papà inglesi hanno lasciato il lavoro alle 15 e protestato contro quello che definiscono “l’imbarazzo nazionale” del congedo di paternità britannico. Nel Regno Unito, i papà hanno diritto a due settimane pagate meno della metà del salario minimo, circa 217 euro a settimana. Il Belpaese non è distante dal Regno Unito: in Italia il periodo di congedo obbligatorio per i papà è retribuito integralmente, ma dura solo dieci giorni.