Lavoro, la distorsione italiana: meno competenze ma più occupati
- 04/12/2023
- Popolazione
Il Censis chiama sonnambuli gli Italiani. Perché a comportarci come dei lenti dormienti pare che lo siamo ormai tutti, in ogni settore del nostro Paese. Per capirlo, basta qualche numero a far tremare ogni classe sociale. Nel 2050 l’Italia avrà perso complessivamente 4,5 milioni di residenti (come se le due più grandi città, Roma e Milano insieme, scomparissero). La flessione demografica sarà il risultato di una diminuzione di 9,1 milioni di persone con meno di 65 anni (in particolare, -3,7 milioni con meno di 35 anni) e di un contestuale aumento di 4,6 milioni di persone con 65 anni e oltre (in particolare, +1,6 milioni con 85 anni e oltre). Si stimano quasi 8 milioni di persone in età attiva in meno nel 2050: una scarsità di lavoratori che avrà un impatto inevitabile sul sistema produttivo e sulla nostra capacità di generare valore.
“Ma il sonnambulismo non è imputabile solo alle classi dirigenti – si legge nell’ultimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese -: è un fenomeno diffuso nella «maggioranza silenziosa» degli italiani. Resi più fragili dal disarmo identitario e politico, al punto che il 56,0% (il 61,4% tra i giovani) è convinto di contare poco nella società. Feriti da un profondo senso di impotenza, se il 60,8% (il 65,3% tra i giovani) prova una grande insicurezza a causa dei tanti rischi inattesi. Delusi dalla globalizzazione, che per il 69,3% ha portato all’Italia più danni che benefici. E rassegnati, se l’80,1% (l’84,1% tra i giovani) è convinto che l’Italia sia irrimediabilmente in declino”.
L’orgoglio nazionale di cui parla il governo attuale è una visione identitaria che manca nella percezione dei suoi cittadini. E se all’estero l’Italia è tanto amata quanto odiata, dall’interno si vive in un clima di tensione, paura e angoscia nei confronti di quello che ci aspetta. Una crisi climatica ed una economica hanno piegato le nuove generazioni, quantitativamente sempre meno numerose rispetto alle vecchie, e ormai rassegnate a rinunciare al proprio futuro.
Occupati e disoccupati
Il tasso di lavoro, da sempre un indicatore di successo o insuccesso della governance di un Paese, in Italia ha la capacità di essere preoccupante anche quando in aumento. Siamo passati rapidamente, infatti, dagli allarmi su un’elevata disoccupazione al record di occupati, mentre il sistema produttivo lamenta sempre più frequentemente la carenza di manodopera e di figure professionali. “La fase espansiva dell’occupazione – continua il Report Censis -, avviata già nel 2021, si è consolidata nel primo semestre di quest’anno. Tra il 2021 e il 2022 gli occupati sono aumentati del 2,4% e nei primi sei mesi dell’anno la crescita rispetto allo stesso periodo del 2022 è stata del 2,0%. Sono 23.449.000 gli occupati al primo semestre: il dato più elevato di sempre. Tuttavia, rispetto ai primi tre mesi di quest’anno, si sono ridotte le ore lavorate in tutti i settori produttivi: -3,0% nell’agricoltura, -1,1% nell’industria, -1,9% nelle costruzioni, -0,5% se si considera l’intera economia. L’Italia rimane comunque all’ultimo posto nell’Unione europea per tasso di occupazione: il 60,1%, aumentato di 2 punti percentuali tra il 2020 e il 2022, ma ancora al di sotto del dato medio europeo (69,8%) di quasi 10 punti. Se nel nostro Paese si raggiungesse il dato medio europeo, avremmo circa 3,6 milioni di occupati in più.
A confermare questi dati, è anche l’Istat, secondo cui, a ottobre 2023, sono aumentati sia gli occupati che i disoccupati, rispetto al mese di settembre. L’aumento dell’occupazione risulta diffuso tra uomini, donne, dipendenti permanenti e in tutte le fasce d’età tranne che per i 35-49enni i cui dati risultano stabili. Il tasso di occupazione è salito al 61,8% portando così in calo il numero degli inattivi di età compresa tra i 15 e i 64 anni.
Confrontando il trimestre agosto-ottobre 2023 con quello precedente (maggio-luglio), si registra un aumento del livello di occupazione pari allo 0,4%, per un totale di 104mila occupati. La crescita dell’occupazione, osservata nel confronto trimestrale, si associa all’aumento delle persone in cerca di lavoro (+0,3%, pari a +6mila unità) e alla diminuzione degli inattivi (-0,9%, pari a -116mila unità).
Il numero di occupati, a ottobre 2023, supera quello di ottobre 2022 del 2,0% (+458mila unità). L’aumento coinvolge uomini, donne e tutte le classi d’età, a eccezione dei 35-49enni per effetto della dinamica demografica negativa: il tasso di occupazione, che nel complesso è in aumento di 1,2 punti percentuali, sale anche in questa classe di età (+0,8 punti) perché la diminuzione del numero di occupati 35-49enni è meno marcata di quella della corrispondente popolazione complessiva. Rispetto a ottobre 2022, è cresciuto anche il numero di persone in cerca di lavoro (+0,9%, pari a +17mila unità) e calato il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni (-4,2%, pari a -531mila).
La percezione degli italiani
E anche se questi dati, in qualche misura, dovrebbero fan ber sperare, è ancora una volta il Censis a riportare la percezione in merito al lavoro da parte degli italiani. Per il 62,7%, il lavoro non è più centrale nella vita delle persone: il senso che viene attribuito al lavoro discende direttamente dal reddito che se ne ricava. “È il segno di un certo distacco rispetto al lavoro come fattore identitario della persona – ha aggiunto il Censis -: un punto di vista diverso rispetto al passato, più laico nei confronti di quella «religione del lavoro» che ha orientato scelte e comportamenti di tante persone nei decenni passati. Il forte rimbalzo dell’economia dopo le restrizioni del 2020 dipendenti dalla pandemia ha determinato una espansione della base occupazionale, con una netta riduzione degli inattivi e delle persone in cerca di lavoro. Così, se nel 2019 il numero delle dimissioni volontarie si attestava poco sopra le 800.000 unità, nel 2022 ha superato il milione, con un incremento significativo: +236.000 ovvero +29,2%). Il tasso di ricollocazione, che indica il reimpiego entro tre mesi dalle dimissioni, è anch’esso cresciuto, passando dal 63,2% del 2019 al 66,9% del 2022. La motivazione principale che spinge le persone a cercare un nuovo lavoro è l’attesa di un guadagno maggiore (per il 36,2% degli occupati) e l’interesse per prospettive di carriera migliori (36,1%)”.
Gli expat
A peggiorare tutto ciò c’è il fenomeno che si conferma essere sempre presente in Italia, quello dell’emigrazione. Sono più di 5,9 milioni gli italiani attualmente residenti all’estero, pari al 10,1% dei residenti in Italia. Negli ultimi dieci anni, sono aumentati del 36,7% gli italiani residenti all’estero. Nell’ultimo anno gli espatriati sono stati 82.014, di cui il 44,0% tra 18 e 34 anni (36.125 giovani). Con i minori al seguito delle loro famiglie (13.447) si sfiorano le 50.000 unità: il 60,4% di tutti gli espatriati nell’ultimo anno. Anche il peso dei laureati sugli expat 25-34enni è aumentato significativamente, passando dal 33,3% del 2018 al 45,7% del 2021. Un drenaggio di competenze che non è inquadrabile nello scenario di per sé positivo e auspicabile della circolazione dei talenti, considerato che il saldo migratorio dei laureati appare costantemente negativo per il nostro Paese.
La mancanza di competenze
Che sia aumentato il numero dei lavoratori è chiaro. Ma non basta, perché spesso a mancare sono invece le competenze. Dal 2018 al 2022 la percentuale di imprese che domanda nuovo personale è raddoppiata. Con essa, anche il problema del disallineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro, soprattutto per alcune professioni. Il 37% delle aziende cerca principalmente operai specializzati, ovvero tecnici specializzati dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici, metalmeccanici specializzati e installatori e manutentori di attrezzature elettriche ed elettroniche. Ma sono carenti anche profili non qualificati: circa il 21% delle imprese che domanda nuovo personale è alla ricerca di facchini, addetti alle consegne, addetti alla pulizia dei veicoli, bidelli, braccianti agricoli, manovali o personale non qualificato addetto all’edilizia o alla manifattura.
Queste sono solo alcune delle evidenze emerse nella nuova indagine RIL (Rilevazione Imprese Lavoro) svolta dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) attraverso un questionario strutturato e rivolto ad un campione di 30.000 imprese italiane. La mancanza di competenze, l’assenza di candidati e i frequenti abbandoni, si riassumono in un fenomeno, il cosiddetto labour shortage che esiste in molti paesi, ma è particolarmente pronunciato in Italia, specie con riferimento ai giovani e ad alcuni settori.
“Si potrebbe affermare che in Italia l’offerta di lavoro presenta forti limiti rispetto alla domanda sia per mancanza di competenze adeguate sia per diffuse indisponibilità a svolgere certi lavori – ha spiegato il professor Sebastiano Fadda, presidente dell’INAPP -. Sicuramente la sfida più difficile, anche dopo la pandemia e con l’emersione di nuovi fenomeni come le dimissioni legate al desiderio di una maggiore qualità della vita, è il matching tra domanda e offerta di lavoro, che richiede un radicale miglioramento dell`istruzione e della formazione tecnica professionale, ma anche da un lato una migliore disponibilità dei giovani verso mestieri considerati troppo faticosi o poco prestigiosi e dall’altro un miglioramento della qualità delle condizioni di alcune posizioni lavorative. Il potenziamento dei servizi di orientamento è di estrema importanza per risolvere tutte queste criticità”.
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