La crisi demografica in un Paese spaccato a metà
- 29/03/2024
- Popolazione
Anche la crisi demografica divide l’Italia.
Se è vero che la popolazione italiana sta invecchiando, è altrettanto dimostrato che questo processo non prosegue alla stessa velocità lungo la penisola.
Anzi, il report indicatori demografici anno 2023 dell’Istat dimostra che l’invecchiamento presenta caratteristiche contrapposte lungo due assi:
- Centro-nord e Mezzogiorno;
- Aree interne e Centri
Per “Centri”, l’Istituto nazionale di statistica intende quelli individuati dalla Strategia Nazionale delle Aree Interne (Snai), sulla base della distanza dall’offerta di servizi essenziali (scuole, ospedali, trasporti).
L’invecchiamento nelle Aree interne
Ormai da anni l’Italia fa i conti con gli effetti della migrazione interna. Anch’essa segue le stesse direttive: Sud-Nord, Aree interne-Centri. Il risultato è un Paese spaccato con la crisi demografica già abissale in una parte dell’Italia e quasi assente nei territori che godono della linfa vitale e produttiva portata da altri italiani.
Il report indicatori demografici anno 2023 dell’Istat dimostra che le Aree interne sono caratterizzate, nel lungo periodo, da un progressivo invecchiamento e declino della popolazione che rischiano di esasperare gli elementi di fragilità già presenti in questi territori.
Al 1° gennaio 2024 la popolazione delle Aree interne presenta un’età media di 47,1 anni, più anziana di sette mesi rispetto a quella dei Centri. Alla stessa data, la quota di popolazione giovanile (0-14 anni) nelle Aree Interne è uguale all’11,8% del totale, inferiore di 0,5 punti percentuali rispetto a quella dei Centri.
La forbice diventa più ampia per la quota di popolazione ultrasessantacinquenne: oltre 1 punto percentuale in più per le Aree Interne, dove gli over 65 rappresentano il 25,2% della popolazione contro il 24,1% dei Centri.
Come la scienza demografica vuole, in concomitanza con l’invecchiamento della popolazione, nelle Aree interne si registra anche un calo della natalità maggiore rispetto ai Centri. Nel 2023 la popolazione delle Aree interne è diminuita complessivamente di 32mila unità (-2,4 ‰) rispetto al 2022, con marcate differenze da Nord a Sud del Paese.
Le differenze tra Nord e Sud
Spostandosi lungo lo stivale, il divario Aree interne-Centro va letto cambia a seconda della latitudine, anche se il calo della fertilità resta una costante del Paese.
La popolazione delle Aree interne del Centro-nord risulta stabile rispetto all’anno precedente, anzi addirittura in leggero aumento (+3mila residenti, +0,6 ‰), grazie a un moderato guadagno di popolazione dei Comuni Intermedi (+4mila residenti, +0,9 ‰), mentre i Comuni Periferici e Ultraperiferici della ripartizione evidenziano un leggero calo di popolazione, pari a poco più 500 residenti (-0,3 ‰). Inoltre, su un totale di 2.116 Comuni appartenenti alle Aree interne del Centro-nord, poco più della metà (52,6%) ha registrato un calo di popolazione.
I numeri sono molto diversi al Sud. Le Aree interne del Mezzogiorno, invece, evidenziano una perdita complessiva pari a circa 35mila residenti (-4,9 ‰), particolarmente consistente nelle zone periferiche e ultraperiferiche (rispettivamente, -18mila e -4mila), con variazioni relative pari a -6,1 e -8,3 ‰ sul 2022.
Se nelle Aree interne del Nord il calo della popolazione ha interessato 1 comune su 2, nel Mezzogiorno ha interessato 4 Comuni su 5. Nel complesso, nei centri classificati Snai, c’è stata una leggera crescita della popolazione rispetto all’anno precedente. Questo è dovuto principalmente a un aumento della popolazione nei centri situati nel Centro e nel Nord del paese, mentre c’è stata una diminuzione della popolazione nei centri del Mezzogiorno.
Qualche riflessione demografica
L’andamento demografico registrato dal report indicatori demografici anno 2023 dell’Istat dimostra che, oltre alla migrazione esterna, anche la migrazione interna sta continuando. Il rischio di una desertificazione del Sud, insomma, non è legato solo al clima, ma anche alla partenza dei giovani verso il Nord Italia.
Fuori dall’analisi dell’Istituto, qualche riflessione è d’obbligo. Per molti giovani spostarsi al Nord non significa solo andare a vivere da soli, ma allontanarsi dalle proprie famiglie, a volte anche per mille chilometri. Le conseguenze demografiche sono empiriche.
Con il lavoro povero ampiamente diffuso in Italia, per molti giovani è impossibile accedere ai servizi per la natalità. Contribuisce a questo scenario la scarsa offerta di servizi che ne aumenta il prezzo. Carenza che provoca un atro effetto: anche quando il denaro c’è, non è detto che ci la possibilità (o il tempo) per portare i figli all’asilo nido o in strutture analoghe, senza che questo comporti dei sacrifici sul lavoro. Sacrifici che spesso ricadono sulle donne-mamme.
Quale può essere la soluzione?
Una risposta ci sarebbe ed è rappresentata dai nonni, uno strumento sempre più indispensabile per il welfare privato delle famiglie italiane. Anche grazie all’aumento della longevità, sono loro, infatti, ad occuparsi dei nipotini: una fondamentale boccata d’ossigeno per i neogenitori.
Qui diventano evidenti gli effetti negativi della migrazione interna in tutta la loro crudità: se sempre più giovani si allontanano dalle proprie famiglie di origine, anche l’ancora di salvezza dei nonni viene meno. E di fronte alla domanda: “Chi terrà nostro figlio?”, la risposta è il silenzio.
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