Pensioni, come aumenta lo stipendio per chi resta al lavoro
- 07/03/2025
- Popolazione Welfare
La crisi demografica in Italia sta accelerando, lasciando molte aziende a secco di lavoratori mentre il sistema previdenziale diventa sempre meno sostenibile. In questo contesto, il governo ha potenziato il cosiddetto Bonus Maroni, un incentivo destinato ai lavoratori che scelgono di rimandare la pensione anticipata. La misura, rafforzata con la Legge di Bilancio 2025, mira a frenare l’esodo di dipendenti dal mercato del lavoro, premiando chi decide di rimanere attivo con un aumento netto della busta paga.
Come funziona il nuovo Bonus Maroni?
Il Bonus Maroni è un esonero contributivo rivolto ai lavoratori dipendenti, pubblici e privati, che pur avendo raggiunto i requisiti per la pensione anticipata scelgono di rimanere in servizio.
La novità del 2025 è che l’incentivo non riguarda più solo chi ha maturato i requisiti per Quota 103 (62 anni di età e 41 anni di contributi), ma si estende anche a chi ha raggiunto i requisiti della pensione anticipata ordinaria:
- Uomini: 42 anni e 10 mesi di contributi
- Donne: 41 anni e 10 mesi di contributi
I lavoratori che decidono di aderire al bonus possono richiedere che la contribuzione a loro carico, pari al 9,19% dello stipendio, venga direttamente versata in busta paga, aumentando così il reddito netto mensile. Tuttavia, è importante sottolineare che questi contributi non verranno accumulati per la futura pensione. La quota di contributi a carico del datore di lavoro, invece, continuerà ad essere versata all’Inps.
Quanto aumenta la busta paga?
L’inserimento della quota contributiva nello stipendio rappresenta un aumento significativo del reddito mensile, dato che l’importo è esente da tasse e contributi. Per esempio, un lavoratore con uno stipendio lordo di 2.000 euro al mese potrebbe vedere un incremento di circa 180 euro netti in più in busta paga.
L’incentivo si applica fino al raggiungimento dei 67 anni di età, soglia della pensione di vecchiaia, con almeno 20 anni di contributi versati. Oltre questa soglia, il bonus cessa e il lavoratore dovrà necessariamente accedere alla pensione. Giova ricordare che, con la manovra, il ministero per la Pubblica amministrazione ha previsto la possibilità (non l’obbligo) di andare in pensione a 70 anni per i dipendenti pubblici. L’obiettivo dichiarato dal ministro Zangrillo è affiancare ai nuovi assunti personale con un consolidato bagaglio di esperienza, garantendo efficace ricambio generazionale, ma la novità serve anche a rallentare gli effetti della crisi demografica. Anche il governo giapponese è intervenuto sul settore pubblico, ma ha scelto il percorso inverso: invece che allungare l’età pensionabile, Tokyo ha offerto la settimana corta ai dipendenti pubblici per rilanciare la natalità e (cercare di) risolvere il problema alla radice.
Come si richiede l’incentivo?
Tornando al “nuovo” Bonus Maroni, l’Inps ha aggiornato il sistema di gestione delle domande per permettere ai lavoratori di accedere più facilmente all’incentivo. Per presentare la richiesta, gli interessati possono:
- Accedere al sito dell’Inps e presentare la domanda online;
- Rivolgersi ai patronati per ottenere assistenza nella compilazione.
L’adesione è su base volontaria e può essere richiesta in qualsiasi momento, purché il lavoratore abbia già maturato il diritto alla pensione anticipata e scelga di rinunciare temporaneamente all’uscita dal mondo del lavoro.
Perché il governo vuole ritardare le pensioni?
Il rafforzamento del Bonus Maroni non è casuale: il governo sta cercando di contrastare gli effetti della crisi demografica, che ha conseguenze dirette sul sistema previdenziale.
L’Italia ha uno dei tassi di natalità più bassi in Europa e un numero crescente di pensionati rispetto ai lavoratori attivi. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, nel 2024 il rapporto tra pensionati e lavoratori è arrivato a 1,6 a 1, con previsioni di peggioramento nei prossimi anni. In altre parole, per ogni 10 lavoratori ci sono già 6 pensionati, e il sistema rischia di diventare insostenibile nel giro di tre o quattro decenni. Per questo è fondamentale investire in educazione finanziaria e avere una pensione integrativa.
Il divario tra stipendio guadagnato in carriera e importo della pensione aumenta con un ritmo preoccupante: secondo i calcoli un dipendente del settore privato che va in pensione con 38 anni di contributi, nel 2040 otterrà una pensione lorda pari al 58,7% dell’ultimo reddito (lordo) da lavoro. Nel 2010 il rapporto era pari al 73,6%. In appena trent’anni, il rapporto ha perso 15 punti percentuali.
La crisi demografica attanaglia la “redditività” delle pensioni, che nel nostro sistema vengono pagate da chi lavora oggi. Per questo, il governo continua a penalizzare le pensioni anticipate soprattutto nei settori con più carenza di personale, al fine di trattenere più lavoratori possibili. La fuga dei cervelli, causata da stipendi bassi e scarse prospettive, amplifica il problema.
“L’Italia come Paese crea dei know how incredibili in più settori e poi li esporta, premiando di fatto i manager anche se vanno a lavorare in aziende rivali delle nostre”, ha lucidamente evidenziato il commissario tecnico italiano della nazionale di pallavolo francese, Andrea Giani, medaglia d’oro a Parigi 2024. Il Rapporto “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero”, realizzato dalla Fondazione Nord Est, certifica la gravità della situazione. Dal 2011 al 2023, circa 550 mila italiani tra i 18 e i 34 anni hanno deciso di lasciare il Paese per stabilirsi all’estero. Questo numero, se corretto per i rientri, si riduce a 377 mila, ma il fenomeno resta comunque allarmante. La perdita di capitale umano per il Belpaese è stimata in 134 miliardi di euro negli ultimi tredici anni, ed evidenzia un problema strutturale nell’attrarre e trattenere i giovani talenti.
Chiaramente, mantenere più persone nel mercato del lavoro significa ridurre la pressione sui conti pubblici, garantendo maggiori entrate contributive e alleggerendo il peso delle pensioni sul bilancio statale.
Conviene davvero rimanere al lavoro più a lungo?
La decisione di aderire al Bonus Maroni dipende da molteplici fattori. Da un lato, l’aumento dello stipendio netto mensile è un incentivo concreto per chi è vicino alla pensione ma vuole guadagnare di più negli ultimi anni di carriera. Dall’altro, è fondamentale valutare l’impatto sulla pensione futura: poiché i contributi non vengono versati, l’assegno previdenziale potrebbe risultare leggermente più basso al momento del ritiro dal lavoro.
Tuttavia, per chi ha già maturato un assegno pensionistico adeguato, il bonus rappresenta un’opportunità per incrementare il reddito disponibile senza pesare sulla tassazione.
Un incentivo destinato a durare?
Il Bonus Maroni, nella sua forma attuale, è valido fino al 31 dicembre 2025. Resta da vedere se il governo deciderà di prorogarlo ulteriormente o se introdurrà nuove misure per incentivare la permanenza nel mondo del lavoro.
Quel che è certo è che l’Italia dovrà trovare strategie efficaci per bilanciare l’invecchiamento della popolazione con la sostenibilità del sistema pensionistico e cercare di interrompere il circolo vizioso della crisi demografica.