Il divario di genere penalizza le donne anche nel lavoro, in Italia è doppio rispetto all’Ue
- 14/09/2023
- Popolazione
Per le donne lavorare è più difficile. Se poi hanno figli, la situazione è ancora peggiore. Nel mondo del lavoro infatti il divario di genere in Italia è molto ampio, il doppio rispetto al resto dell’Europa. Non che negli altri Paesi sia scomparso, ma lungo lo Stivale è particolarmente forte. Il 30,5% delle donne europee è inattivo, quasi il 10% in più degli uomini, oppure sono sottoccupate perché devono occuparsi della casa e della cura familiare, che ricade ancora pesantemente su di loro a causa di antichi retaggi.
In Europa dunque le donne lavorano meno degli uomini, ma non per colpa loro. Da un’elaborazione di Openpolis su dati Eurostat, risulta occupato l’80% dei maschi contro il 69,3% delle femmine. In sostanza, la differenza tra il tasso di occupazione nei due sessi è pari al 10,7%. Un dato medio che ‘nasconde’ differenze importanti tra i vari Paesi.
Il primato spetta alla Grecia con il 21% di differenza di genere rispetto al tasso di occupazione. L’Italia segue a ruota con 19,7% (il doppio rispetto alla media), sopra anche alla Romania che registra il 18,6%. All’altro estremo della classifica, ci sono invece i Paesi Scandinavi e baltici: in testa Lituania (0,8%) e Finlandia (1,2%) e a seguire Estonia (2,9%) e Lettonia (3,1%).
Il peso delle attività domestiche e di cura
Scardinare gli antichi retaggi che vogliono la donna chiusa nella dimensione familiare o il cui lavoro è ‘un di più’ sacrificabile rispetto all’uomo che ‘provvede alla famiglia’, non è una questione di principio ma anzi ha ricadute molto pratiche. Secondo i dati Ocse, citati da Openpolis, le donne impiegano mediamente 4,73 ore al giorno per il lavoro domestico e di cura, gli uomini 1,84 ore. Tralasciando che anche questo tipo di lavoro ha un valore economico quantificabile e che le donne lo svolgono in maniera del tutto gratuita, la sproporzione fra i carichi familiari si traduce nella difficoltà o impossibilità per loro di conciliare vita e lavoro.
E quindi in un tasso di occupazione inferiore e nel maggior ricorso al part time rispetto alla controparte maschile.
In questo contesto non è un caso, dunque, che le più penalizzate siano le donne con figli, per le quali l’equilibrio tra casa e impiego è ancora più complesso. Al contrario, gli uomini con prole sono maggiormente occupati: il 90,1% a fronte dell’81,1% di quelli che non ne hanno, inoltre lavorano meno frequentemente part-time.
Non è un caso nemmeno che, come risulta da una ricerca condotta per l’Economic Innovation Group, lo smart working favorisca la natalità. E che stimoli il desiderio di avere un figlio, aumentato del 10%, secondo l’indagine, nelle donne di età superiore ai 35 anni.
Un basso tasso di occupazione femminile non è un problema che rimane confinato alle mancate aspirazioni personali o all’importanza dell’indipendenza economica; piuttosto, ha effetti concreti a livello pubblico sul benessere delle nazioni e sulla natalità.
La ricerca condotta per l’Economic Innovation Group mostra infatti che un aumento della partecipazione delle donne al lavoro retribuito aumenta il PIL di un Paese, e che la parità di genere a livello globale riduce i conflitti violenti e aumenta la stabilità politica.
E la natalità?
La scarsa partecipazione al mondo del lavoro da parte delle donne non aiuta la natalità, anzi i Paesi con i tassi più bassi di occupazione femminile sono anche quelli con i minori tassi di fecondità.
In base ai dati Inps (analisi ‘Natalità e occupazione femminile: un confronto internazionale’), l’Italia con meno di 1,3 figli per donna è tra i Paesi meno fecondi d’Europa, insieme alla Spagna, mentre la Francia grazie a politiche ad hoc stabili è il Paese europeo col tasso più alto, 1,8 bambini per donna. E ha un divario del tasso di occupazione tra i sessi pari a 5,8%.
Non solo, ma in 22 Stati europei su 27 le donne con 3 figli hanno tassi di occupazione superiori a quelle italiane con un solo figlio. Ad esempio in Slovenia lavora l’82,8% delle madri con 3 figli tra 20 e 49 anni, in Portogallo l’80,4%, in Danimarca il 79,1% e in Svezia il 79%. I Paesi con le peggiori performance di natalità sono anche quelle con i minori tassi di occupazione femminile.
L’Italia sta sprecando risorse importanti che potrebbero contribuire a generare ricchezza, crescita e benessere. Quello che manca, e lo dimostra l’esperienza della Francia, sono politiche specifiche che rendano possibile per le donne conciliare vita e lavoro. Investimenti, servizi all’infanzia (e per la cura degli anziani), maggior coinvolgimento degli uomini nelle attività domestiche: la soluzione per aumentare la natalità passa da qui, come confermato anche dalla ‘vox populi’ in diversi sondaggi, mentre penalizzare le donne che lavorano non porta nessun beneficio.
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