Manovra, l’importo dell’assegno unico 2024 potrebbe aumentare già dal secondo figlio
- 14/09/2023
- Famiglia
Con l’inverno demografico che non dà segni di rallentamento, il governo italiano sta pensando di aumentare l’assegno unico per le famiglie a partire dalla nascita del secondo figlio. L’incremento entrerebbe a far parte del pacchetto di norme per la famiglia previsto nella prossima Manovra.
“Abbiamo deciso di affrontare il tema della crisi della famiglia in tutti i suoi aspetti in primis il calo demografico. Abbiamo solo il 30% di famiglie con figli, un altro 30% è di famiglie monoparentali, con una serie di bisogni ai quali lo Stato dovrà far fronte e un 30% di famiglie senza figli” ha dichiarato nei giorni scorsi la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, Eugenia Roccella, intervenendo agli Stati generali della Basilicata di Fratelli d’Italia.
L’intenzione del governo, come più volte spiegato dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni, è continuare a investire in due pilastri portanti della società: la famiglia e il lavoro.
Già la Manovra 2023 ha previsto un aumento del 50% dell’assegno unico per i nuclei con quattro o più figli a carico rispetto al precedente valore del beneficio. Un incremento del 50% è stato introdotto anche per i nuclei con almeno tre figli di età compresa tra 1 e 3 anni, ma solo in presenza di un Isee pari o inferiore a 43 mila euro.
Gli importi dell’Assegno unico e universale nel 2023 sono aumentati del 50% anche per i figli a carico di età inferiore a un anno. Inoltre, dal terzo figlio c’è stata una maggiorazione dell’assegno tra i 15 e gli 85 euro al mese a seconda dei redditi.
L’ipotesi dell’esecutivo per il 2024 è far scattare dal secondo e terzo figlio, le maggiorazioni che nel 2023 sono scattate rispettivamente a partire dal terzo e dal quarto figlio. Questa dinamica potrebbe comportare una sorta di ribaltamento dei benefici dalle famiglie molto numerose a quelle moderatamente numerose, ma anche più probabili in termini statistici. Infatti, mentre precedentemente l’extra mensile di 150 euro e l’assegno maggiorato erano riservati, rispettivamente, ai nuclei con almeno quattro figli e a quelli con tre figli (con un Isee di massimo 43 mila euro), ora le proposte mirano a estendere tali benefici ai nuclei con due e tre figli.
Non ci sono ancora certezze sull’entità degli aumenti per le famiglie con due o più figli perché la proposta è in fase di studio. Il pacchetto dedicato a famiglia e natalità nel complesso potrebbero costare sui 4-5 miliardi.
Inoltre, nel 2024 scatteranno anche i nuovi aumenti legati all’inflazione previsti dal decreto legislativo n.230/2021 dato che, come molte prestazioni Inps, l’Assegno unico è correlato al costo della vita. Nel Documento di economia e finanza si stima un’inflazione per il 2023 pari al 5,4%, il che potrebbe incidere sull’importo degli assegni dai primi mesi del 2024.
Un problema di libertà genitoriale
“Il problema è il desiderio di fare figli che non viene realizzato, un problema di libertà genitoriale”, spiega la ministra Roccella ribadendo la bontà degli aumenti all’Assegno unico introdotti già nel 2023. Le parole della ministra intercettano quanto emerge da diversi sondaggi, che è molto diverso dal sentire comune: la principale causa della denatalità non sarebbe la mancata voglia dei giovani di avere figli, quanto il contesto in cui gli aspiranti genitori vivono, oltre che all’effetto struttura, responsabile dell’80% del calo demografico, come spieghiamo in quest’articolo.
Particolarmente interessanti sono i dati dell’indagine promossa da Merck ‘Salute emotiva della Generazione Zeta e dei Millenials: cosa muove i giovani europei?’, pubblicata a giugno 2023 che ha coinvolto circa 7.500 giovani tra i 19 e i 36 anni di 12 Paesi europei, di cui oltre 600 italiani.
L’indagine ha focalizzato l’attenzione su due gruppi di età: 19-26 anni (Generazione Zeta) e 26-36 anni (Millenials) e ha rilevato che il 76% degli intervistati italiani vogliono concretamente diventare genitori, un 5% in più rispetto alla media del campione, pari al 71%. Però i giovani, prosegue l’indagine, vorrebbero avere figli in una società molto diversa da quella attuale, più attenta all’ambiente e all’equilibrio tra vita personale e lavoro.
Il lavoro, appunto, l’altro grande tema legato saldamente alla natalità su cui il governo vuole confermare il proprio impegno. Il vero nocciolo della questione sono gli stipendi: l’Italia è l’unico Paese europeo dove gli stipendi sono diminuiti rispetto a 30 anni fa, mentre il costo della vita aumenta senza sosta e il boom degli affitti rende difficile andare a vivere da soli prima dei 30 anni.
Secondo dati Ocse, tra il 1990 e il 2020 nel nostro Paese si è registrato un calo del salario medio annuale pari al 2,9%. Nel frattempo in Germania e in Francia i salari medi hanno avuto un aumento rispettivamente del 33,7% e del 31,1%, nonostante partissero da livelli già alti. Anche nell’Europa meridionale che ha visto crescite dei salari più contenute, il saldo resta positivo. In Grecia, Paese che da anni affronta le conseguenze di un enorme debito pubblico, i salari sono aumentati in media del 30%. Anche in Spagna, seppure di poco, il salario medio è cresciuto in questi 30 anni (+6,2%).
Altre misure a sostegno della famiglia
Le proposte dei ministri nelle scorse settimane si sono moltiplicate e vanno dal quoziente familiare per l’Irpef, avvalorato dal viceministro all’Economia Maurizio Leo, all’Ires ridotta per le imprese che assumono donne con almeno tre figli.
Su quest’ultimo punto, l’ipotesi è di una detassazione Ires per le aziende che assumono donne con tre figli (circa 1,22 milioni in Italia).
Il quoziente familiare è un particolare indicatore di reddito che si ottiene dividendo il reddito complessivo del nucleo familiare per il numero dei suoi componenti. Rispetto all’Isee, il quoziente familiare tiene conto solo dei redditi della famiglia e non anche della composizione del suo patrimonio.
L’adozione di questo parametro riguarderebbe molto da vicino l’Irpef con effetti importanti: a parità di reddito, infatti, sarà avvantaggiato il nucleo familiare che ha un maggior numero di persone. La nota negativa è che il quoziente familiare tasserebbe con la stessa aliquota l’intero reddito del nucleo familiare e il coniuge che guadagna meno sarebbe, quindi, disincentivato a lavorare. Di sicuro un elemento non desiderato a Palazzo Chigi dove si cerca di rispettare delicati equilibri in vista della Manovra fiscale, l’unico strumento che può incidere pesantemente sulle politiche di incentivo alla natalità.
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