Gli stereotipi di genere sono duri a morire, e anche le nuove generazioni ne sono vittima
- 06/05/2024
- Giovani Popolazione
Gli stereotipi di genere sono vivi e vegeti, e ancora condizionano le scelte delle persone. Delle donne, ma anche degli uomini, che spesso pensano che tali questioni non li riguardino ma che invece ne sono anch’essi vittime. Il problema più grande è che nessuno spiraglio di luce sembra venire nemmeno nelle nuove generazioni, immerse fino al collo nei pregiudizi e nei luoghi comuni. Il punto è che non parliamo di una giustizia generica e astratta, ma di qualcosa di molto pratico: i preconcetti pesano e indirizzano le scelte personali e lavorative, e in base ad essi giudichiamo gli altri e quello che fanno.
Una nuova ricerca conferma che il cammino verso l’abbattimento degli stereotipi è ancora lungo: l’Osservatorio Henkel ‘Genere e stereotipi’, in collaborazione con Eumetra, dal 2022 indaga i diversi ruoli nell’organizzazione e nella cura della famiglia su un campione rappresentativo della popolazione italiana, composto da 2.000 individui tra i 18 e i 55 anni appartenenti alla community del magazine ‘DonnaD, Amica Fidata’. In questa edizione, è stato realizzato un approfondimento su come e quanto i pregiudizi di genere influenzino le scelte personali, intervistando 1.000 persone, il 10% delle quali giovani della GenZ tra i 15 e 25 anni.
Intanto quello che emerge è che i preconcetti si abbattono con forza su ogni aspetto della vita: dalla scuola al lavoro al tempo libero, impedendo alle persone di essere realmente se stesse e di seguire i propri desideri e le proprie inclinazioni. Una situazione che va a svantaggio soprattutto delle donne ma che non risparmia nemmeno gli uomini, anch’essi vittime di luoghi comuni e di aspettative sociali che diventano gabbie. In definitiva, possiamo dire che gli stereotipi siano sinonimo di limite.
Ma la cosa davvero preoccupante che emerge dall’analisi è che le donne stesse sono parte attiva degli stereotipi, anche quando gli si ritorcono contro: anche loro infatti dividono il mondo, i gusti, le attività e in definitiva le opportunità tra quelle ’maschili’ e quelle ‘femminili’.
Matematica per i maschi, cura degli altri per le femmine
E si comincia presto, dall’istruzione: la convinzione di base è che ci siano scuole e indirizzi universitari per maschi e altri per femmine, perché fondamentalmente ci sarebbero attitudini diverse tra i due sessi. La pensa così il 53% degli uomini, il 52% delle donne, il 45% dei ragazzi GenZ e il 38% delle ragazze GenZ.
Il problema qui è a monte:
• per il 43% degli uomini, il 33% delle donne, il 42% dei ragazzi GenZ e il 32% delle ragazze GenZ i due sessi hanno capacità pratiche diverse
• per il 27% degli uomini, li 26% delle donne, il 33% dei ragazzi GenZ, e il 25% delle ragazze GenZ hanno capacità cognitive diverse.
Facile immaginare quali siano gli indirizzi abbinati all’uno o all’altro genere: gli stereotipi li conosciamo tutti. Perciò materie scientifiche, tecnologiche o pratiche sono ritenute ‘da maschi’, quelle umanistiche o dedicate alla cura della persona sono ‘da femmine’. E questo per natura. La donna biologicamente non capirebbe la matematica, l’uomo biologicamente non sarebbe portato a cambiare un pannolino, accudire un familiare malato o fare l’educatore d’asilo.
Il risultato è che, nonostante i tanti esempi di papà che riescono benissimo ad occuparsi dei propri figli o dei genitori anziani, e di donne con brillanti menti scientifiche, le ragazze continuano a non iscriversi agli indirizzi STEM (Science (scienza), Technology (tecnologia), Engineering (ingegneria) e Mathematics (matematica)). E questo perché si autolimitano prima, non ritengono di essere in grado semplicemente perché sono femmine, mentre è del tutto naturale che i maschi diventino fisici o ingegneri. Ed è altrettanto ovvio che i ragazzi non si iscrivano a lettere. O, allargando un po’, a danza classica.
Per gli uomini il calcio è uno sport da maschi
Anche lo sport infatti cade sotto la scure del pregiudizio: ci sono quelli da maschi e quelli da femmine. Il che si traduce nel fatto che il calcio è roba da uomini per il 63% di loro, mentre il 76% delle donne lo ritiene adatto a tutti. Lo stesso per la danza, vista come attività femminile dal 64% degli uomini, a fronte dell’83% delle donne che non condivide questa idea. In ogni caso il risultato è che il 18% della Generazione Z sceglie lo sport in base al proprio genere, con il 17% dei ragazzi e il 14% delle ragazze influenzato dalle scelte degli amici maschi o femmine.
La cura della famiglia è cosa da donne, i soldi da uomini
Tornando alle grosse scelte di vita, la musica non cambia: il 62% delle donne pensa che esistano lavori adatti a loro e altri ai maschi, opinione condivisa dal 74% degli uomini. Risultato: il 56% delle donne ritiene di avere una retribuzione più bassa dei colleghi uomini e solo il 38% pensa di ricevere uno stipendio equo. Non solo: il 33% della popolazione femminile afferma di aver dato priorità alla famiglia piuttosto che alla carriera, e potremmo aggiungere al lavoro in generale, visto che il tasso di occupazione femminile italiano tra i 20 e i 64 anni è solo del 55% (IV trimestre 2022) a fronte di una media europea del 69,3%. Il lato interessante è che il 25% degli uomini ritiene di fare rinunce a favore della famiglia, sebbene solo il 5% abbia lasciato il lavoro. Insomma, c’è un problema di percezione ampio, senza nulla togliere a quel 5% che si è effettivamente sacrificato.
D’altronde che il carico familiare e di rinunce sia ancora prerogativa prettamente femminile, lo confermano ulteriori stereotipi: la cura della casa e dei parenti è ancora appannaggio delle donne, mentre di burocrazia e soldi si occupano gli uomini. Attenzione: occuparsi significa anche decidere. E decidere significa potere, e libertà: se non puoi decidere non sei libero, e la mancanza di autonomia finanziaria è uno dei grandi problemi per i quali le donne rimangono in relazioni infelici se non addirittura tossiche. E più in generale spesso non possono determinare la propria vita.
Spiraglio positivo: per l’80% dei giovani della GenZ, ci si deve occupare delle necessità familiari in maniera paritaria. Un passetto avanti rispetto al 18% degli intervistati che pensa che chi guadagna di più debba anche avere voce in capitolo sulle decisioni economiche. Peccato che nella maggior parte dei casi sia l’uomo a portare in casa più soldi, perché hanno lavori meglio retribuiti o perché a parità di mansioni prendono di più, perché le donne lasciano l’impiego per motivi familiari o perché ripiegano sul part time e la carriera spesso è un totale miraggio.
Ma un dato incoraggiante c’è, ed è che per il 68% degli uomini la cura della casa deve essere insegnata anche ai maschi, percentuale che raggiunge addirittura il 100% nella GenZ.
Tuttavia, le ragazze continuano a godere di minor libertà, e dunque di minori opportunità: il 53% di loro riceve una paghetta a fronte del 64% dei fratelli, il 57% non ha un coprifuoco quando esce a fronte del 74% dei ragazzi, il 66% non ha mai nemmeno parlato con i genitori di studiare all’estero mentre il 64% dei maschi ha potuto godere di un periodo formativo fuori dall’Italia.
Gli stereotipi sembrano davvero un circolo vizioso da cui sembra difficile uscire, a maggior ragione perché si tramandano a partire dall’educazione, dal momento apparentemente innocente in cui si scelgono i giocattoli dividendoli in cose da femmine o da maschi (lo fa il 47% dei padri, mentre per il 62% delle madri i giochi non hanno genere). Le disuguaglianze di genere vengono perpetuate così, a vari livelli, anche nella vita quotidiana, attraverso scelte che sembrano banali ma che influiscono sui pensieri e la direzione che prenderà la vita di ognuno. A cominciare da quel vestitino rosa e da quelle scarpe con i dinosauri sopra, da quel bambolotto e da quelle macchinine regalate per Natale.
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