Denatalità, pesano più i fattori economici o quelli culturali?
- 29/09/2023
- Popolazione
Pesano più i fattori economici o quelli culturali? Quando si parla di denatalità, ma anche dello spopolamento dei territori, il dibattito ruota soprattutto intorno a questa prima, sostanziale, discussione. Se ne è parlato durante la prima sessione di lavori di ‘SUDeFUTURI‘, il meeting internazionale giunto alla V edizione organizzato dalla Fondazione Magna Grecia. Un confronto aperto che ha focalizzato l’attenzione sui fattori che concorrono all’attuale trend demografico, da punti di vista diversi. Moderati da Fabrizio Frullani, vicedirettore del Tg2, si sono confrontati Pietro Massimo Busetta, professore di statistica economica alla UniPa, la pedagogista Maria Rita Parsi, Emiliana Mangone, professoressa di sociologia dei processi culturali e comunicativi alla UniSa, e Fabio Insenga, vicedirettore Adnkronos.
Lo spopolamento del Mezzogiorno
Ogni anno, ha evidenziato Pietro Massimo Busetta, “centomila persone vanno via dal Mezzogiorno”. Un numero impressionante che colpisce un territorio che ha tutte le potenzialità per invertire il trend. Come? “Questo fenomeno si combatte con una attività economica adeguata, offrendo una prospettiva di futuro ai ragazzi che nascono in queste aree. Non basta il turismo che da un 7 per mille di occupazione, bisogna cambiare paradigma”, suggerisce Busetta. Serve anche una consapevolezza diversa: “Oggi chi vive al Sud e dice ‘Mio figlio lavora a Milano’ lo dice con soddisfazione, come se la realizzazione debba necessariamente passare per l’esilio”.
L’operazione culturale
Il calo delle nascite origina anche, osserva in un intervento appassionato Maria Rita Parsi, in “un meccanismo legato all’incapacità di sentirsi genitori mentre si è occupati a realizzarsi”. E con questa incapacità si può fare i conti solo con un’operazione culturale che rimetta al centro modelli diversi da quelli che si propongono oggi. Secondo la pedagogista, “non è vero che senza soldi non si fanno figli”. O, meglio, l’ostacolo economico che indubbiamente c’è viene vissuto oggi in maniera diversa rispetto al passato. “Ai miei tempi il numero minimo erano quattro ma anche in molte famiglie molto più povere della mia ce ne erano molti di più”, ricorda.
I tempi lunghi
Emiliana Mangone si sofferma sui tempi necessari a ottenere risultati. “I problemi di denatalità e spopolamento vanno affrontati in maniera strutturale con interventi a medio e lungo termine. Oltre agli aiuti di carattere economico e di supporto alle famiglie, bisogna far comprendere sin dall’infanzia come la comunità, partendo dalla famiglia, sia fondamentale per un territorio”. Citando l’esperienza diretta dell’Università, Mangone mette tra le priorità l’impegno per una maggiore conoscenza, che va declinata non solo come ricerca scientifica ma anche come comprensione, dialogo e diffusione delle informazioni.
La responsabilità dei media
Proprio partendo dalla necessità di promuovere informazione di qualità nasce il progetto Demografica dell’Adnkronos. Ne parla il vicedirettore dell’agenzia, Fabio Insenga, mettendo l’accento sulla necessità di rendere il dibattito pubblico più largo e plurale possibile. “La società si evolve rapidamente e la complessità con cui ci si deve confrontare non si può permettere semplificazioni, banalizzazioni e strumentalizzazioni”, premette. Per poi illustrare le linee principali del progetto. “E’ un’iniziativa editoriale che parte dalla convinzione che sia necessario conoscere di più, informare meglio e far confrontare tutti i soggetti che concorrono all’andamento del trend demografico. È un’inchiesta aperta che aggiorniamo quotidianamente e che utilizza tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione: la produzione testuale, quella video, i podcast, i talk e gli eventi per fare in modo che di denatalità e trend demografico si parli nella maniera più corretta possibile”.
Il divario del Sud
Nino Foti, Presidente della FMG, sintetizza così il dibattito, privilegiando il punto di vista del Meridione. “La denatalità ha finito per indebolire la produttività dei territori del Mezzogiorno ampliando notevolmente i divari esistenti fra le aree geografiche del Paese. L’intero meridione si sta impoverendo, all’anagrafe fra culle sempre più vuote, servizi pubblici poco competitivi ed emigrazione giovanile crescente. Una fuga di massa verso luoghi che assicurano condizioni di vita migliori, con servizi più efficienti e la possibilità di ottenere un posto di lavoro in tempi ragionevoli. Così il sud sarà ancora più sofferente con un PIL che nei prossimi 20 anni potrebbe scendere di 22% che uniti a quelli del precedente ventennio significa -40%”.
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