Denatalità e aree interne, Pichetto Fratin: “Serve un nuovo equilibrio di convivenza tra persone e territorio”
- 12/04/2024
- Europa Giovane Popolazione
Serve un nuovo equilibrio di convivenza tra persone e territorio. L’ha detto Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, nel suo intervento al convegno “Per un’Europa giovane. Transizione demografica, ambiente, futuro” presso il Tempio di Adriano a Roma. Una frase che riassume il terzo panel della giornata, dedicato al legame tra le aree interne e la sostenibilità, durante il quale ministri ed esperti hanno affrontato il tema dello spopolamento sempre più drammatico delle zone meno centrali. Uno spopolamento che si aggiunge al grave problema dell’inverno demografico italiano, di cui si è parlato nelle altre sessioni.
Il legame tra aree interne e ambiente è di interdipendenza, perché c’è uno stretto collegamento, ha spiegato la professoressa Luisa Corazza dell’Università del Molise, tra problemi come quello del rischio idrogeologico e il depauperamento del territorio. Quest’ultimo infatti comporta uno squilibrio tra aree interne ed aree urbane.
Le aree interne non sono un problema di nicchia
Non è un problema di nicchia, ha precisato l’esperta. Le aree interne – ovvero quelle lontane da servizi quali le scuole, le strutture sanitarie, le infrastrutture di mobilità – sono il 58% del territorio, il 22,7% della popolazione, circa 13 milioni di persone. E se per il resto del Paese si parla di inverno demografico, “in queste zone si parla di età glaciale: lo spopolamento per le aree interne è una vera emergenza”, ha affermato.
E lo è anche dal punto di vista ambientale, perché le aree interne “sono uno scrigno di biodiversità e ambiente preservato. Sono dei presidi essenziali per mantenere il fragile equilibrio, primo di tutti il dissesto idrogeologico”. La professoressa ha chiarito: “Possono sopravvivere solo se continuano ad essere come dei giardini, preservati dall’uomo nei millenni. Se lasciate a se stesse, non ci daranno un ambiente incontaminato; piuttosto verrebbe meno l’interdipendenza con le aree abitate. Dalla buona salute di montagne e colline dipende lo stato di conservazione delle pianure, come dimostrano le alluvioni dell’ultimo anno”.
Che fare? Intanto ci sono segnali di speranza dal ritornato interesse della politica per questi temi, con un cambio di approccio che vede ora una strategia mirata a portare servizi piuttosto che, come in precedenza, sviluppo economico.
Ora siamo in una fase di svolta, grazie al PNRR che “è un’occasione irripetibile per l’entità delle risorse, perché finalmente l’Europa scommette in prima persona a riguardo e perché la coesione territoriale è un obiettivo trasversale”, ha spiegato l’esperta. I primi risultati sono abbastanza confortanti ma rimangono alcune note dolenti: i comuni ultraperiferici, più svantaggiati, sono anche quelli che hanno meno beneficiato dei fondi.
La leva per ripopolare le aree interne, ha continuato Corazza, è il lavoro, utilizzando anche le nuove tecnologie per lavorare a distanza oltre che in presenza. E deve essere un lavoro di giovani, onde evitare il degiovanimento, ovvero che le comunità nei centri più piccoli siano composte soprattutto da anziani.
Infine, Corazza ha sottolineato che i dati dicono che dove le donne lavorano lo spopolamento frena. Dati confermati da Alessandra Faggian, professoressa ordinaria di Economia Applicata presso il Gran Sasso Science Institute (GSSI) a L’Aquila, anche per quanto riguarda nello specifico le aree interne.
I costi dello spopolamento: ambientali, storici, culturali
La studiosa sottolinea che, mentre si vedono bene i problemi di quando c’è troppa gente, in realtà anche quando c’è poca popolazione ci sono danni: viene compromessa l’integrità ecologica. Lo spopolamento provoca problemi di gestione del suolo, dissesto idrogeologico, degrado degli habitat naturali, perdita di biodiversità, perdita del patrimonio culturale. Il che comporta anche un discorso di equità intergenerazionale legato proprio ai costi dell’abbandono dei territori.
“Ecco perché agire sullo spopolamento delle aree interne è ormai un’agenda politica anche europea”, ha affermato Faggian, che vorrebbe “una strategia coordinata nazionale che intanto riconosca il valore di patrimonio insostituibile di queste aree, sia a livello ambientale che anche naturalistico, storico e culturale, andando oltre la sola produttività”.
Occorrono poi, ha precisato, servizi essenziali di qualità e adeguate opportunità lavorative: le nuove tecnologie funzionano anche in settori tradizionali come l’agricoltura.
L’azione del governo: Pichetto Fratin e Sangiuliano
Per quanto riguarda l’attività della politica, Pichetto Fratin nel suo intervento ha menzionato l’impegno del governo sulle comunità energetiche: nel PNRR ci sono 5,7 miliardi, 2,5 miliardi a fondo perduto, per offrire un contributo del 40% sull’investimento per realizzare nei comuni sotto i 5000 abitanti piccoli impianti di produzione dell’energia per autoconsumo (soprattutto fotovoltaico ma anche geotermico o altro). Qui c’è, ha sottolineato il ministro, il fondamentale passaggio mentale di diventare produttori oltre che consumatori. Si stimano 2 mln di famiglie che faranno questo salto.
Anche il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha ricordato nel suo intervento l’azione del governo, citando il Progetto Borghi nell’ambito del PNRR: 1 mld e 40 milioni per recuperare i borghi, specie nella dorsale appenninica – e “farne luoghi di vita anche grazie alle nuove tecnologie”. Le risorse andranno ai giovani che vogliano impiantare attività in questi luoghi.
Quello che il ministro in particolare ha tenuto a sottolineare è che “possiamo assolutamente invertire la curva, mentre spesso c’è un approccio fatalista”. Per quanto riguarda il più generale problema del declino demografico, per Sangiuliano è importante anche, oltre al fattore economico, “centrare il problema in termini strettamente culturali, guardando ai modelli umani contemporanei”, come “la cultura dello scarto denunciata dal Papa o alla cultura dell’Io, senno non ci spiegheremmo perché famiglie benestanti non hanno figli” e altre con meno mezzi cercano di averne.
Una nuova visione mobilitante
Ma quello che serve anche, e l’ha sottolineato nel suo intervento Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, è una visione mobilitante. La mancanza di giovani modifica anche il dibattito, si smette di parlare di futuro. E si sconfina in un “racconto della sventura, che non spinge ad agire, e nemmeno i giovani a fare i figli”.
Per combattere lo spopolamento, ha spiegato Realacci, servono sì misure concrete e anche innovative, come ad esempio la telemedicina, ma è fondamentale avere una visione del futuro. Ed è importante avere un’identità forte che ti consenta di essere aperto: un aspetto che rientra nel discorso della natalità, dell’immigrazione, della comunità.
Un argomento quest’ultimo sottolineato anche dal ministro Sangiuliano, per il quale “è un dovere etico preservare la nostra identità, che si è creata in secoli di storia. Quando parliamo di demografia parliamo di futuro, della società ma anche come civiltà, come portato storico”, ha concluso il ministro citando William Ross Wallace: “La mano che fa dondolare la culla governa il mondo”.
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