“Trattata come una ladra solo perché nera”, lo sfogo di Daisy Osakue – Video
- 17/12/2024
- Popolazione
Daisy Osakue è sicura: quello subito domenica scorsa a Torino è stato un episodio di razzismo.
L’atleta, primatista italiana di lancio del disco femminile con un record di 64,57 metri, si trovava nell’Apple Store del centro città quando è stata fermata da un addetto akla sicurezza: “Devi pagare prima di andare”, dice l’uomo alla 28enne che stava scendendo al piano inferiore dello store.
L’elemento singolare, denuncia la ragazza, è che prima di lei nessun altro era stato fermato perché cambiava piano. Lei sì, “perché nera”. Incredula, Osakue ha detto che avrebbe pagato dopo aver scelto gli altri articoli, ma l’insistenza dell’addetto ha generato una scena che ha immediatamente attirato l’attenzione degli altri presenti.
Ironia della sorte, Daisy Osakue è anche un membro della Guardia di Finanza.
Lo sfogo di Daisy Osakue
Lo sfogo dell’atleta è diventato subito virale su Instagram: “Momento sfogo. Per una volta che esco perché mi sono svegliata bene mi devono far girare le ‘balle’ e rovinare l’umore”, racconta Osakue nel video dove spiega: “Stavo guardando cover, ascoltando la musica e mi sentivo bene. A un certo punto vado giù per vedere le cuffie e sento qualcuno che si ferma davanti a me. Mi blocca e mi dice: ‘Devi pagare prima di andare’”. Lei risponde: “In che senso? Sto andando giù, pagherò giù”. “Sto solo facendo il mio lavoro”, risponde l’addetto alla sicurezza.
Al che la Osakue va dritta al dunque: “Guarda, senza offesa, hai bloccato me e non hai bloccato altre gente, perché?”, gli chiede l’atleta prima di tirare fuori il tesserino della Gdf: “A quel punto – spiega ancora nel video – ho preso il portafoglio, ho tirato fuori il tesserino e gli ho detto: ‘Hai beccato l’unico militare di colore e l’hai bloccato perché pensavi stesse rubando. Capisco che stava lavorando, la gente ruba e tutto quello che vuoi. Ma il ‘racial profiling’ resta tale e quando ci sono più persone dimostri che ti basi su preconcetti e non fatti”.
Dopo il battibecco è intervenuta una ragazza dello store che ha confermato la possibilità di pagare anche al piano inferiore. L’atleta ha precisato che “i ragazzi del negozio sono stati stracarini e si sono scusati”, ma l’amarezza resta anche alla luce di quanto successo sei anni fa.
Il precedente
Nel 2018, l’atleta italiana è stata colpita al volto da un uovo lanciato da un’auto in corsa mentre tornava a casa, a Moncalieri. L’aggressione le causò una lesione alla cornea che ha rischiato di compromettere la sua partecipazione agli Europei di atletica leggera e tanta paura. “Ho temuto che fosse acido”, aveva dichiarato all’epoca, sottolineando la natura del gesto: “Mi hanno scambiata per una prostituta”.
Puntuale arrivò anche il commento del presidente della Federatletica Alfio Giomi: “L’Atletica Italiana ha tra i suoi valori fondanti l’integrazione e da sempre il nostro movimento opera affinché tutti coloro che la vivono si sentano sempre nel posto giusto. Daisy, a sua volta, è un punto fermo della nostra atletica, orgogliosamente azzurra fin dal suo debutto, e da sempre schierata a difesa dei diritti civili. Sono certo che tutta l’Atletica Italiana sia in questo momento idealmente al suo fianco, le esprima piena solidarietà e la sostenga nel suo sogno di atleta azzurra”.
Quanto razzismo c’è in Italia?
Il 21 marzo scorso, in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione delle discriminazioni razziali, è stata presentata un’indagine curata da Ipsos e Amref sul tema.
Ne è emerso che secondo sette italiani su dieci, in Italia, gli africani sono soggetti ad episodi di razzismo e discriminazione molto spesso (per il 22%) o abbastanza spesso (per il 48%).
“Prendiamo atto che spesso, nostro malgrado, il linguaggio e addirittura lo sguardo vanno a consolidare un razzismo sistemico, che pervade il nostro Paese” ha affermato in quella occasione Roberta Rughetti, Vicedirettrice di Amref Italia invitando istituzioni e cittadini a “rimuovere insieme quegli ostacoli che spingono le persone razzializzate e gli afrodiscendenti verso una marginalizzazione, che ha effetti sia nella sfera privata, che in quella sociale”.
Nel capitolo “L’Africa in Italia”, si rileva che solo un italiano su dieci (11%) ha la percezione corretta di quanti siano gli africani residenti oggi in Italia (circa 1,2 milioni), mentre il 71% del campione ne sottostima la presenza e il restante 18% crede che siano di più di quanti siano veramente.
Il 53% dei rispondenti dichiara che i cittadini africani residenti in Italia sono comunque troppi e non sempre amalgamati con gli italiani. Cosa preclude l’integrazione? Come nel 2021, anche nella ricerca relativa al 2023 la prima causa evidenziata è che “le imprese italiane vedono gli immigrati africani solo come manodopera a basso costo” (41%). Segue al secondo posto “la scarsa voglia di accettare gli usi e le consuetudini italiane da parte degli africani (31%)”, e il fatto che “in Italia non ci sono adeguati programmi di integrazione” (30%). Il 16% ritiene che un ostacolo all’integrazione sia che “gli italiani sono razzisti”.
Il paradosso della cittadinanza
Numeri e risposte che invitano a riflettere sulla necessità di una nuova legge di cittadinanza, che sia più reattiva nel recepire i cambiamenti della società ed eviti il ‘paradosso veneto. Il riferimento è ai tanti comuni della Regione dove persone nate in Italia da genitori stranieri, pur frequentando scuole italiane e vivendo nel Paese sin dal primo giorno, devono attendere anni prima di poter avanzare la richiesta di cittadinanza mentre diversi oriundi italiani, persone nate all’estero, possono ottenere la cittadinanza italiana anche senza aver mai vissuto in Italia, perché il meccanismo di attribuzione si basa sullo ius sanguinis.
Il paradosso risulta forse più evidente nel caso di Bologna, dove il Tribunale di primo grado ha chiesto un parere alla Consulta dopo che 12 brasiliani hanno chiesto la cittadinanza italiana perché avevano un’antenata nata a Marzabotto nel 1876. La questione fa riflettere su cosa significhi essere davvero cittadino di questo o di quel Paese.
A firmare l’atto è stato il giudice Marco Gattuso, lo stesso che un mese fa aveva sollevato alla Corte di Giustizia Ue il rinvio pregiudiziale del decreto Paesi sicuri, attirandosi le critiche dell’esecutivo. In questo caso, Gattuso spiega che “la cittadinanza identifica l’elemento costitutivo del popolo, cui la Carta costituzionale riconosce la sovranità”, “il criterio che consente di distinguere il ‘popolo’ rispetto agli altri popoli”.
Da qui la questione di costituzionalità sullo ius sanguinis, che si applica senza alcun limite temporale purché la trasmissione di cittadinanza non sia mai stata interrotta con un atto formale di rinuncia. Il tribunale chiede alla Consulta di verificare se “tale disciplina sia o meno in contrasto con le nozioni di popolo e di cittadinanza richiamati nella Costituzione, con il principio di ragionevolezza e con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia anche nell’ambito dell’Unione europea”, sottolineando implicitamente l’illogicità del meccanismo.