“Sfruttare l’allungamento della vita”, la crisi demografica secondo la vicepresidente della Commissione Ue
- 22/01/2024
- Popolazione
La crisi demografica si sostanzia in due dinamiche principali: la denatalità e l’invecchiamento della popolazione. Entrambe interdipendenti, crescono insieme mettendo a rischio la tenuta del welfare nei paesi che contano sempre meno lavoratori e più anziani.
Eppure, in questa situazione c’è un potenziale da valorizzare, sostiene la vicepresidente della Commissione europea responsabile per la Democrazia e la Demografia.
Intervenuta a un vertice sulla crisi demografica ad Atene, Dubravka Suica ha riassunto così il proprio pensiero: “L’Europa non è un continente che invecchia, ma un continente che vive più a lungo”. Per impedire che questo diventi un peso per l’economia, c’è solo una soluzione: trasformare l’invecchiamento della popolazione in opportunità e sfruttare la maggiore produttività delle persone nel tempo.
Come è cambiata la popolazione in Ue
“Negli ultimi cinquanta anni l’aspettativa di vita (in Ue, ndr.) è aumentata di dieci anni”, spiega la vicepresidente. Un elemento su cui l’Unione sta lavorando con una prospettiva di ampio respiro: “Lo scorso ottobre – spiega ancora Suica – abbiamo presentato un pacchetto di strumenti e abbiamo individuato quattro pilastri”, ovvero famiglia, giovani, anziani e migranti. Risorse che l’Ue deve imparare a sfruttare in base alle specifiche possibilità fisiche e alle competenze.
La crisi demografica non consente di escludere integralmente alcune parti della popolazione dalla produttività, intesa in senso lato: “Non abbiamo abbastanza persone, non abbiamo abbastanza capitale umano qui in Europa, in Grecia, in molti stati membri”, ha avvertito Suica.
La vicepresidente della Commissione europea ha riconosciuto che il senso di urgenza è aumentato in modo significativo dal momento che i cambiamenti demografici potrebbero interessare molti settori e sfruttare il capitale umano già presente non sarà sufficiente.
La popolazione dell’Unione europea, che nel 2023 superava di poco i 448 milioni di persone, dovrebbe raggiungere il suo picco intorno al 2026 e poi diminuire gradualmente, perdendo 57,4 milioni di persone in età lavorativa entro il 2100.
E la situazione diventa più allarmante se si guarda il rapporto tra gli anziani e le persone in età lavorativa: entro la fine del secolo si passerà dall’attuale 33% al 60%.
Il quarto pilastro: i migranti
“L’Europa deve trovare una via d’uscita. Questo è il motivo per cui abbiamo installato il quarto pilastro, che sono i migranti e quando dico migranti, intendo migranti legali”, specifica Dubravka Suica che aggiunge: “So che questo argomento è molto delicato. Parliamo di fuga di cervelli, ma non c’è solo la fuga di cervelli, c’è anche l’afflusso di cervelli e la circolazione dei cervelli. Ci sono persone che acquisiscono conoscenze qui in Europa e poi tornano a casa”, ha sottolineato la vicepresidente alludendo alla necessità di trattenere nell’Unione queste risorse, sempre più importanti per l’economia europea.
Lo sa bene il Belpaese, dove aumentano gli immigrati che acquisiscono la cittadinanza italiana, ma molti vogliono andar via. Come rileva l’Istat, infatti, nel 2022 hanno acquisito la cittadinanza italiana 133.236 stranieri (50,9% donne, 49,1% uomini), il 9,7% in più rispetto al 2021, anno in cui si sono registrati 121.457 nuovi cittadini italiani. In pratica, 1 straniero su 38 è diventato cittadino italiano nel corso del 2022.
Guardando alle loro intenzioni future, il Rapporto Annuale Istat 2022 “Famiglie, stranieri e nuovi cittadini”, ha dimostrato che la percentuale di studenti stranieri di scuole superiori che vivono in Italia, ma vogliono trasferirsi all’estero è del 59% (contro il 42% degli italiani). Questo desiderio è molto più diffuso tra le ragazze (66,3%) rispetto ai coetanei maschi (52%).
Circa un mese fa, l’Unione ha trovato l’accordo sul Patto migranti introducendo un meccanismo di solidarietà obbligatorio che lascia molto soddisfatto il governo italiano, il quale da una parte sottolinea l’importanza della migrazione legale, dall’altra prova a contrastare più duramente quella illegale.
Il diverso apporto demografico dei migranti
Sul tema l’esecutivo Meloni si è più volte esposto, specificando come la crisi demografica non possa essere risolta con la (sola) immigrazione. Nello specifico, la ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità Eugenia Roccella ha spiegato che: “Non possiamo sostituire la natalità con l’immigrazione perché la natalità non è solo questione di numeri ma un problema di vitalità”. Parole che fanno eco a quelle del presidente del Consiglio Giorgia Meloni che ha sottolineato come l’immigrazione sia preziosa per contrastare la crisi demografica, ma non possa essere l’unica strada da seguire.
Anche perché l’apporto della popolazione straniera alla natalità è calato molto negli ultimi anni: in sedici anni (dal 2006 al 2022) le donne straniere in Italia sono passate da un tasso di fecondità pari a 2,79 figli per donna all’1,87 figli per donna anche a causa dei processi di integrazione dell’adeguamento agli stili di vita del Paese ospitante.
Dati alla mano, dunque, occorre anche lavorare sul pilastro degli anziani per dare nuova linfa alla demografia italiana.
Gli anziani come risorsa
Le parole della vicepresidente Suica invitano a cambiare prospettiva sul ruolo degli anziani nella società. In tal senso, uno spunto per la civiltà europea arriva dall’isola giapponese di Okinawa, dove l’aspettativa media di vita è 85 anni, circa 13 in più rispetto alla media mondiale, e gli anziani vengono intesi come parte attiva della società.
Come riporta National Geographic, sull’isola di Okinawa spesso gli anziani si dedicano all’artigianato locale tessendo le stoffe basho-fu. La pulizia delle fibre e la procedura di avvolgimento del filo richiede una grande dedizione, e non è solo un modo per stimolare gli anziani, ma è anche un’opportunità per le tessitrici di contribuire a migliorare il reddito proprio e degli altri. Gli ultranovantenni non smettono di lavorare e praticano anche arti marziali, sono rispettati e onorati, e un senso di profonda solidarietà sociale fa sì che non manchi loro assistenza e aiuto anche quando vivono da soli nei villaggi.
Forse è proprio il senso di appartenenza a una collettività che fa la differenza.
Anche nella nostra cultura, infatti, gli anziani hanno grandi potenzialità ma il loro apporto resta nei confini della famiglia. È innegabile, infatti, che nella nostra società i nonni rappresentino una grande forma di welfare privato per le giovani famiglie con figli. Il loro ruolo “sociale”, tuttavia, resta circoscritto in questi confini e le iniziative per far sentire gli anziani ancora importanti per la collettività sono rare e quasi sempre delegate ai privati.
Se è vero che, in parte, la denatalità si spiega con il maggiore individualismo della nostra società, l’esempio di Okinawa diventa l’orizzonte da seguire. E anche le parole della vicepresidente Suica vanno in questa direzione.
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