Lapecorella (Ocse): “La crisi demografica rallenta la rivoluzione green e pesa sui giovani”
- 12/04/2024
- Europa Giovane Popolazione
“Siamo abituati a parlare di inverno demografico parlando dell’Italia. Ma dobbiamo renderci conto che non è un problema solo italiano, ma europeo in generale e come tale andrebbe affrontato”, esordisce così il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo durante l’evento “Per un’Europa più giovane: transizione demografica, ambiente, futuro” di oggi, venerdì 12 aprile, promosso dal ministero per la Famiglia e le Pari Opportunità presso la Camera di Commercio di Roma.
“450.000 persone hanno davanti a loro 17 miliardi e mezzo di anni di futuro (dati 2022)”, spiega Blangiardo. Cosa significa? “39 anni in media da vivere e 43 anni vissuti. Quindi, una prima osservazione: la strada da percorrere è inferiore a quella già percorsa, soprattutto nell’Est Europa”, dice il presidente dell’Istat con l’ausilio di alcuni grafici.
“Di fatto – spiega – solo l’Irlanda e il Lussemburgo non hanno ancora percorso metà della strada. Di fatto ci sono 4 Paesi che hanno più da vivere di quanto abbiano vissuto mediamente e l’Italia è settima dal fondo, c’è anche chi sta peggio di noi. Nel 2022 i 27 Paesi Ue hanno guadagnato 34 milioni di anni di futuro. Ma come si genera questo incremento? Parliamoci chiaro: con l’immigrazione. In sintesi, ogni morto porta via 10 anni di futuro, ogni bambino ne porta 80 in più, ogni immigrato ne porta 51. È interessante questa contrapposizione immigrato-nato perché se ne parla spesso”.
Le previsioni Eurostat
“Secondo le previsioni Eurostat, fino al 2033 resteremo più o meno gli stessi di ora, perdendo solo 1 milione di persone in Ue. La situazione, però, – allerta Blangiardo – cambia molto se si vedono gli anni di vita: i conti ci dicono che nel decennio perderemo 724 milioni di anni di futuro, quindi la prospettiva non è rosea”.
Tornando sul tema dell’immigrazione e sul suo apporto demografico, Blangiardo sottolinea: “L’immigrazione è importante, ma come ha sottolineato la ministra Roccella in apertura, deve trattarsi di un’immigrazione regolamentata, non subìta. Come possiamo colmare i 724 milioni di anni che perderemo entro il prossimo decennio secondo le stime Eurostat? Con la natalità o con l’immigrazione? Io credo con entrambe”.
Un neonato produce di più, un immigrato produce prima
“I dati ci dicono che un italiano, in media: per 20 anni studia, per 45,4 lavora e per 17 anni si gode la pensione. Quando arriva un immigrato, invece: studia per 2 anni, chiaramente perché non sono tutti bambini quelli che arrivano in Italia, lavora per 33,7 anni, ma la pensiona dura 17 anni come per gli italiani. In pratica – spiega il presidente Istat – se arriva un neonato lavora e produce di più, se arriva l’immigrato, produce prima”.
Qual è il messaggio che questi dati danno alla politica? “Intanto che la crisi demografica è un problema europeo e quindi va affrontato in maniera europea e con la cooperazione dei 27. E poi parliamoci chiaro: senza la popolazione non c’è futuro. La demografia diventa un elemento centrale perché ci siano delle politiche coerenti europee che portino avanti questo discorso”, conclude il presidente Istat.
Fabrizia Pecorella (Ocse): “Il peso della crisi demografica è sui giovani”
La parola passa quindi a Fabrizia Pecorella, in rappresentanza dell’Ocse, che ha subito chiarito: “Sono d’accordo con la ministra Roccella quando dice che la crisi demografica è stata trascurata”.
Una problematica di cui l’Ocse si è occupato “affiancando alla prospettiva macroeconomica di base, e quindi del mercato del lavoro e della spesa sociale, la prospettiva della public governance. L’invecchiamento della popolazione è un dato che preoccupa non solo l’Italia o le economie europee ma per tutti i Paesi dell’Ocse. Secondo le nostre proiezioni – afferma entro il 2060 ci saranno in Italia in media 80 persone in età pensionabile, quindi di almeno 65 anni, per ogni 100 persone in età lavorativa”. I dati dimostrano come il problema in Italia sia particolarmente marcato: “In media, nell’Ocse – continua – abbiamo 60, e non 80, pensionati ogni 100 lavoratori”.
Sull’invecchiamento della popolazione, Lapecorella ricorda: “Se da una parte è un aspetto positivo perché significa che si vive di più, dall’altra fa crescere in modo significativo l’onere dei finanziamenti dei nostri sistemi di protezione sociale e sanitaria. Deve essere molto chiaro che a parità di spazio fiscale, l’incremento della spesa previdenziale, assistenziale e sanitaria, legata all’invecchiamento della popolazione, comprime in prospettiva il margine di manovra disponibile per finanziare la transizione verde e la transizione digitale e per disporre delle risorse necessarie a rispondere a shock futuri e inattesi.
L’implicazione più preoccupante – continua Lapecorella – riguarda soprattutto le generazioni dei giovani che saranno tenuti a sostenere l’onere crescente del finanziamento del sistema e potrebbero subire gli effetti negativi dei vincoli finanziari sulla spesa complessiva. Per questo, la transizione demografica va vista nella sua intersezione con la transizione verde e la transizione digitale”.
“Rapporto debito Pil al 180% entro il 2040″
“Il debito pubblico italiano è stimato dall’Ocse come costante per il 2024-2025. Ma le nostre proiezioni indicano un aumento del debito pubblico nel breve termine. Perché? L’incremento della spesa pubblica legato all’invecchiamento della popolazione è uno dei fattori principali che spiega questa proiezione. La spesa previdenziale, assistenziale e sanitaria dovrebbe aumentare di circa il 2,5% del Pil entro il 2040 prima che gli effetti delle riforme pensionistiche si dispieghino completamente.
Questa tendenza al rialzo della spesa può essere molto parzialmente controbilanciata da una riduzione della spesa per l’istruzione che dipende dalla presenza di minori bambini. L’aumento della spesa legato all’aumento degli oneri per il debito pubblico, non bilanciata dalla riduzione di altre voci di spesa, porterà il rapporto tra debito e Pil al 180% entro il 2040. Il tutto – specifica – senza tenere conto dell’effetto dell’invecchiamento sulla produttività che in Italia è stagnante da decenni.
Gli effetti sui giovani
Il risultato di queste tendenze sarà essenzialmente sulle spalle dei giovani italiani: “Questo quadro preoccupante pone a carico delle nuove generazioni l’aumento della spesa e limita la possibilità delle giovani generazioni di beneficiare dell’investimento pubblico per sostenere la rivoluzione verde e digitale e affrontare rischi futuri e incerti”.
Per Fabrizia Lapecorella il problema è molto complesso e “occorre mettere in campo misure di politica economica diverse, complementari e possibilmente sinergiche. Questo quadro inoltre evidenzia che esiste una questione di giustizia intergenerazionale che deve guidare le politiche economiche volte a contrastare gli effetti negativi della crisi demografica. Abbiamo raccolto evidenze empiriche sul miglioramento delle condizioni di vita dove i divari generazionali sono più ridotti. E invece, gli ultimi dati dell’Osservatorio Giovani del 2021 mostrano che in Italia i divari sono aumentati”.
Non va tutto male
“Non va tutto male in Italia”, spiega Fabrizia Lapecorella che aggiunge: “l’Italia è tra i Paesi che hanno voluto adottare una visione strategica rispetto all’impegno a favore dei giovani introducendo nel 2022 una modifica della nostra Costituzione che ha introdotto la tutela dell’ambiente e della biodiversità nell’art. 9. Un passo importante è stato fatto. È un peccato, però, che l’Italia non sia tra i 13 Paesi Ocse che si sono impegnati per l’equità intergenerazionale nelle loro strategie di sviluppo sostenibile. Farlo sarebbe una scelta auspicabile”.
Il toolkit dell’Ocse per le politiche giovanili
“L’Italia – conclude Lapecorella – potrebbe seguire l’esempio di altri Paesi che integrano politiche di giustizia intergenerazionale attraverso strumenti finanziari. In Nuova Zelanda, per esempio, si è dimostrato eccezionalmente utile l’adozione del bilancio di benessere sociale. Su questo, un’ultima riflessione: costruendo sul lavoro della Commissione Ue ed illustrato prima, l’Ocse sta attualmente finalizzando un toolkit per le politiche giovanili che è concepito per rendere disponibili le migliori pratiche di politiche giovanili già implementate negli altri Stati Ocse. Questo strumento è costruito in modo da facilitare i Paesi ad integrare considerazioni sulla giustizia intergenerazionale nelle funzioni principali delle politiche del governo.
Il piano di Marsilio, governatore dell’Abruzzo, per rilanciare le periferie
Il presidente della Regione Abruzzo Marco Marsilio sottolinea quanto lavoro, trasporti e demografia siano intrinsecamente collegati.
“Non si può affidare solo al mercato, occorrono politiche interventiste e le infrastrutture soprattutto di comunicazione. Su questo lancio un appello: non si può fare le analisi costi-benefici solo con un approccio economico. È evidente che se si decide di fare o non fare un aeroporto, una ferrovia, un’autostrada solo seguendo questo calcolo, le si costruiranno solo nelle grandi città dove ci sono già milioni di utenti potenziali che rendono economicamente vantaggioso quell’intervento”.
Il governatore Marsilio fa quindi un esempio a lui molto vicino: “La ferrovia Roma-Pescara oggi impiega almeno 3 ore e mezza per completare 200 chilometri, una vera vergogna. Stiamo iniziando i primi cantieri per velocizzare questa linea. Servono investimenti importanti del governo, ma se ci limitassimo a decidere se spendere questi 9 miliardi di euro solo sulla base dell’analisi costi benefici, non si farebbe mai. È fondamentale – spiega il governatore Marsilio – considerare anche benefici di tipo sociale”.
Arrivando quindi alle conseguenze demografiche, il governatore dell’Abruzzo chiede: “Quante migliaia di cittadini che magari hanno la seconda casa a Tagliagozzo metterebbero lì la loro residenza pur lavorando o andando all’Università a Roma, se sapessero che in 40-50 minuti di comodo e sicuro tragitto in treno arriverebbero nel cuore della Capitale? Questo è lo sforzo del mio mandato ma anche l’invito che mando al governo nel sottolineare che certi investimenti hanno dei vantaggi che vanno oltre il mero risultato economico. Se nelle analisi inseriamo il criterio di quanta vitalità noi restituiamo a certi luoghi, avremmo molti benefici per le popolazioni dei piccoli centri.
Sull’autonomia
Un ultimo passaggio del governatore è dedicato al tema dell’autonomia differenziata: “Da governatore ho subito le conseguenze del problema opposto: il centralismo che ci impone di chiudere gli ospedali o le scuole perché non c’è abbastanza popolazione nei paraggi. Penso che, forse, se avessimo avuto maggiore autonomia in alcune scelte politiche, ci saremmo fatti carico di alcuni costi sociali per evitare che alcune scelte calate dall’alto influenzino gravemente la vita delle persone”, conclude il presidente della Regione Abruzzo Marco Marsilio.
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