Cos’è il Blue Monday, il giorno più triste dell’anno
- 11/01/2024
- Popolazione
Se pensavate che lunedì primo gennaio 2024, con l’avvio del nuovo anno, fosse un giorno complicato, preparatevi a ricredervi. Il giorno più duro e triste di tutti i 365 giorni è un altro. La nostra tenuta psicologica, infatti, viene messa a dura prova oggi 15 gennaio, il cosiddetto ‘Blue Monday’: 24 ore in cui malinconia e infelicità sono al massimo.
Non c’è nulla di veramente scientifico, ma un’equazione matematica messa a punto nel 2005 dal dottor Cliff Arnall, psicologo all’Università di Cardiff in Galles, ha stabilito che il terzo lunedì di gennaio è il giorno più deprimente di tutto l’anno. Il ‘Blue Monday’ per antonomasia insomma: in inglese, infatti, ‘blue’ significa triste, depresso, malinconico.
Sicuramente le premesse per non fare i salti di gioia ci sono. Scarsa luce e basse temperature, fine delle feste con la loro euforia e la loro sospensione dal solito tran tran, buoni propositi formulati il 31 dicembre e già falliti a metà gennaio, corpi appesantiti dai cenoni e portafogli alleggeriti dalle spese natalizie e dai saldi: sono tanti i fattori che portano a essere tristi e a farci desiderare solo di infilarci sotto al piumone e dimenticarci di tutto e tutti.
Nella settimana del Blue Monday il picco di richieste di aiuto psicologico
E se lo stesso Arnall si è poi scusato per averlo reso un mese triste, spiegando che lui più che sottolineare le difficoltà voleva spronare le persone all’azione, rimane il fatto che gennaio è un mese complicato. Lo dimostra un’analisi di ProntoPro, che segnala un picco nella richiesta di psicologi proprio nella settimana del Blue Monday: anche il 10% in più del periodo precedente.
Nel gennaio 2023, le richieste avvenute in concomitanza del ‘lunedì triste’ hanno raggiunto il 28%, contro il 17% della prima settimana e una media mensile del 20%. Stesso andamento nel 2022, nel 2021 e nel 2020, dove nella settimana del Blue Monday si sono concentrate rispettivamente il 24%, il 22% e il 25% delle richieste, contro una media mensile intorno al 20%.
Ma anche in confronto al resto dell’anno gennaio non ha rivali: nel primo mese del 2023, ad esempio, le richieste hanno raggiunto il 21%, contro una media annuale di poco superiore all’8%.
Chiede aiuto soprattutto la Gen Z: lo psicologo non è più un tabù
Molto rilevante il fattore generazionale: il 44% di chi cerca uno psicologo ha tra i 19 e i 25 anni (Gen Z), a dimostrazione che i giovani, a differenza degli adulti, hanno più a cuore la salute mentale e stanno superando il tabù dello psicologo, spesso visto come ‘medico dei matti’ e perciò come una cosa di cui vergognarsi. Anche i Millennials (26-35 anni) si fanno meno problemi: viene da loro il 26% delle richieste di supporto. Solo il 14% della domanda di aiuto viene, invece, da persone tra i 36 e i 50 anni, percentuale che scende ulteriormente al 7% per chi ha più di 51 anni. Infine, l’8% delle richieste riguarda ragazzi tra i 10 e i 18 anni.
Diversi i motivi per cui si chiede un sostegno per il proprio benessere mentale: i ragazzi tra i 10 e i 18 anni presentano più spesso disturbi alimentari (16%, a fronte di una media nazionale di chi si rivolge allo psicologo pari al 12%), mentre tra i 26 e i 35 anni si va in terapia soprattutto per le dipendenze (10%) e per i problemi relazionali (33%, un dato superiore solo nella fascia 19-25). Fra i 36-50 anni invece si trova la percentuale più alta di ricerca di supporto per problemi di coppia (27% delle richieste, contro la media nazionale del 18%). Infine, le richieste per depressione arrivano in particolare dagli over 50.
Italiani popolo triste, la depressione costa 10 anni di vita
Mito o leggenda, scienza o ‘astrologia’, il Blue Monday rimane un’occasione per riflettere sulla salute mentale e in particolare sulla depressione che, spiega all’Adnkronos Salute lo psichiatra Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia e past president della Società italiana di psichiatria (Sip), “insieme ad altre patologie psichiche ha un andamento stagionale”.
E la riflessione non può che partire dal fatto che l’Italia sembra essere davvero poco in forma quanto a serenità: secondo un’indagine Ipsos promossa dal gruppo Axa siamo il Paese, insieme al Giappone, con la più bassa percentuale al mondo di persone che avvertono uno stato di pieno benessere mentale (18%).
Un problema che, per motivi diversi, riguarda soprattutto donne e giovani. Le prime alle prese con la discriminazione di genere e con un carico di cura della famiglia spesso insostenibile, i secondi in lotta con le dinamiche impietose dei social e con le continue crisi che rendono difficile guadagnare una vera indipendenza e mettere su famiglia. Senza contare il colpo inferto dal lockdown alla salute mentale delle persone e in particolare degli adolescenti, costretti all’isolamento in una fase di vita in cui socialità e confronto sono fondamentali.
La depressione ha molti costi: si ‘mangia’ il 4% del Pil e 10 anni di vita, spiega la Società italiana di Psichiatria (Sip). Eppure, l’obiettivo del 10% della spesa del Fondo sanitario dedicata alla salute mentale, indicato dall’Europa, è lontanissimo, così come lo standard minimo del 5% di spesa, che invece è addirittura sceso dal 3,8% del 2018 al 2,75% del 2020.
Le istituzioni dunque hanno una grossa responsabilità, ma occorre anche abbattere definitivamente lo stigma legato alla salute psicologica e “migliorare la consapevolezza in merito alle malattie mentali – spiega Matteo Balestrieri, ordinario di Psichiatria all’Università di Udine -. Perché il sistema nervoso centrale sia finalmente percepito come una parte del nostro organismo alla pari di altri organi fondamentali quali, tra gli altri, il fegato o il cuore”.
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