Cittadinanza italiana, cambia tutto: chi ha ancora diritto e cosa deve fare
- 26 Giugno 2025
- Mondo Popolazione
Il passaporto italiano non sarà più automatico per chi ha antenati nel Belpaese. A tre mesi dal varo e a un mese dalla conversione in legge, il decreto sulla cittadinanza per ius sanguinis entra nella sua fase applicativa piena. I Comuni stanno aggiornando le prassi, i consolati stanno rivedendo gli appuntamenti, e per migliaia di italiani all’estero — soprattutto in America Latina — si aprono nuove opportunità, ma anche nuovi vincoli.
Chi intende ottenere la cittadinanza italiana per discendenza deve ora dimostrare un legame reale con il Paese, oppure prepararsi a un progetto di rientro. La legge punta su chi vuole davvero tornare, vivere, lavorare e contribuire in Italia. “Non si tratta di chiudere – chiarisce Gerardo Sine, Ceo di Back to Italy – ma di trasformare la cittadinanza in una leva strategica per il rientro di competenze e il contrasto al declino demografico”.
Limiti di generazione e prove più rigorose
Fino a ieri, chiunque dimostrasse di avere un antenato italiano — anche trisavolo — poteva ambire al passaporto, spesso senza mai aver vissuto in Italia. Oggi non è più così. La nuova legge (DL 36/2025, convertito in legge 74/2025) stabilisce che la cittadinanza per ius sanguinis può essere riconosciuta solo a figli o nipoti di cittadini italiani nati in Italia. I pronipoti restano fuori, a meno che non rientrino in altri criteri specifici.
Non basta: anche chi rientra nel limite generazionale deve dimostrare un legame concreto, come ad esempio:
- essere figlio o nipote di italiano nato in Italia;
- avere un genitore che ha risieduto legalmente in Italia almeno due anni prima della nascita.
Per chi ha già avviato la procedura prima del 28 marzo 2025 — o ha prenotato un appuntamento al consolato entro quella data — restano valide le regole precedenti. Ma per tutti gli altri, la linea di demarcazione è netta: senza legami effettivi o piani concreti di rientro, il percorso si interrompe in partenza.
Le richieste saranno ora valutate caso per caso, anche con criteri più stringenti sulla documentazione. Non sono più accettabili testimonianze o giuramenti. L’onere della prova è interamente a carico del richiedente.
Cittadinanza ai figli minori? Serve la residenza stabile in Italia
La riforma interviene anche sulle regole per i figli minori. Prima, bastava che un genitore diventasse italiano perché anche i figli, residenti all’estero, ottenessero la cittadinanza in automatico. Ora non più.
Perché un figlio minorenne possa diventare cittadino italiano, è necessario che:
- abbia vissuto legalmente in Italia per almeno due anni continuativi, al momento dell’acquisizione della cittadinanza da parte del genitore;
- oppure che sia nato o adottato in Italia, e risulti legalmente residente fin dalla nascita o adozione.
Un cambio di passo netto. L’Italia vuole che chi ottiene la cittadinanza – anche se minorenne – sia già integrato nel contesto italiano, e non solo anagraficamente collegato. “Questo è un elemento cruciale per costruire un ritorno stabile e non precario – spiega Sine – ed è coerente con l’idea di un rientro che produca effetti concreti sul territorio, non solo numeri su un registro”.
Discendenti all’estero
Non tutto è sbarrato: per molti discendenti italiani all’estero, si apre invece un canale preferenziale per rientrare. La nuova legge infatti prevede un ingresso facilitato per lavoro subordinato fuori dalle quote del decreto flussi. In altre parole, un argentino o brasiliano con nonno italiano può venire in Italia con un regolare permesso di soggiorno per lavoro senza attendere il click day.
Si tratta di una novità significativa: non si chiudono le porte, ma si propone un’alternativa concreta alla cittadinanza “istantanea”. Chi vuole rientrare, lavorare e integrarsi ha ora un percorso agevolato, e dopo due anni di residenza legale, potrà comunque chiedere la cittadinanza.
Questo approccio va nella direzione voluta da realtà come Back to Italy, startup che mette in contatto talenti italiani all’estero con imprese e territori del Paese. “Non si tratta solo di offrire un lavoro – sottolinea Sine – ma di costruire un ecosistema di rientro: casa, scuola, burocrazia. La legge ci aiuta a creare percorsi sostenibili per chi torna, e ad attrarre le competenze di cui il Paese ha bisogno”.
Recuperare chi è partito
La riforma pensa anche a chi è nato in Italia o vi ha vissuto almeno due anni, ma ha perso la cittadinanza per naturalizzazione all’estero o per regole ormai superate. Per queste persone, è stata prevista una finestra temporanea dal 1° luglio 2025 al 31 dicembre 2027: basta una dichiarazione formale, senza requisiti di residenza, per riottenere la cittadinanza.
Una misura pensata per recuperare capitale umano già formato e culturalmente vicino all’Italia. Anche in questo caso, la logica è inclusiva ma selettiva: si apre a chi ha un passato concreto in Italia, non a chi vuole un passaporto senza relazioni attive col Paese.
Uno strumento per riformare, non solo regolare
Dietro alla riforma non c’è solo l’esigenza di “mettere ordine” a una normativa vecchia di decenni. Il vero obiettivo è trasformare la cittadinanza italiana da strumento identitario a leva di rilancio socio-economico.
Con una popolazione in calo da 10 anni consecutivi, un tasso di natalità ai minimi (1,18 figli per donna nel 2024) e oltre 250.000 posizioni lavorative qualificate scoperte a inizio 2025, l’Italia ha bisogno di giovani, competenti e motivati. I discendenti italiani all’estero sono una risorsa naturale, ma serve un filtro: “Premiare chi vuole contribuire – sintetizza Sine – e costruire un ponte di ritorno, non solo una scorciatoia burocratica”.