Ceccon: “Sbalzi d’umore dopo l’oro”, cosa succede quando si vince?
- 07/08/2024
- Popolazione
Thomas Ceccon, medaglia d’oro nei 100 dorso e di bronzo con la staffetta 4×100 stile, è uno dei protagonisti della spedizione azzurra a Parigi 2024. Il campione classe 2001 ha espresso la sua gioia per il traguardo raggiunto dopo tanti sacrifici: “Quando avevo 15 anni stavo andando all’allenamento, il mio allenatore mi chiese quale fosse il mio sogno. Io ho risposto che era l’oro alle Olimpiadi“, ha detto visibilmente emozionato ai microfoni di Rai Sport subito dopo il trionfo nel 100 metri dorso.
Altre dichiarazioni del nuotatore azzurro, però, stimolano una riflessione: cosa succede alla mente umana quando si vince?
Quali emozioni genera vincere
Il talento vicentino ha spiegato da Casa Azzurri: “Io ho avuto alti e bassi. È così: dopo che vinci una medaglia d’oro hai sbalzi di umore, nel senso che vai tanto su, però rischi anche di andare tanto giù. Per via delle difficoltà nel villaggio, poi ho fatto anche i 200 dorso… Magari sono calato un po’, e si è visto soprattutto nella staffetta dell’ultimo giorno. Sicuramente gli sbalzi d’umore ci sono, non è facile. Però emozioni tantissime”.
Parole sincere, genuine, capaci di andare oltre le prestazioni sportive così come quelle di altri atleti e atlete azzurre in queste Olimpiadi. I più giovani ci stanno insegnando che il lavoro e la vita devono andare di pari passo, che non esistono i compartimenti stagni. Questo nuovo modo di vivere lo sport, le vittorie e i fallimenti è coerente con le priorità professionali delle nuove generazioni, per le quali il work-life balance e lavorare in ambienti sani non sono più un dettaglio.
Nonostante i “naturali” sbalzi d’umore Ceccon si è goduto il meritato oro, ma perché a volte non siamo in grado di gestire le nostre emozioni davanti ai trionfi? Perché a volte si va più giù che su, nonostante il raggiungimento di un traguardo atteso mesi, anni e a volte una vita intera?
La risposta, come spesso accade quando si tratta della mente umana, non è semplice né univoca.
Due fenomeni psicologici, in particolare, potrebbero gettare luce su questo enigma: la sindrome dell’impostore e l’adattamento edonico. Entrambi, seppur profondamente diversi, possono trasformare i momenti più alti in un’esperienza sorprendentemente vuota.
La sindrome dell’impostore: quando il successo suona falso
Immaginate di salire sul gradino più alto del podio, con la medaglia d’oro al collo, mentre una vocina nella vostra testa sussurra incessantemente: “Non te lo meriti. È stato solo un colpo di fortuna. Presto tutti scopriranno che sei un bugiardo.” Questo è il tormento quotidiano di chi soffre della sindrome dell’impostore.
Questa condizione psicologica, riconosciuta per la prima volta negli anni ’70, colpisce individui di ogni campo, dagli atleti agli accademici, dai CEO agli artisti. Le persone che ne soffrono vivono con la costante paura di essere “smascherate”, convinte che i loro successi siano frutto del caso o di un’abilità nell’ingannare gli altri, piuttosto che del proprio talento e impegno.
Nel mondo dello sport d’élite, dove la pressione è già alle stelle, la sindrome dell’impostore può essere particolarmente devastante.
Questo stato mentale non solo ruba la gioia del momento, ma può anche minare le prestazioni future. L’ansia di dover continuamente dimostrare il proprio valore può portare a un perfezionismo ossessivo, a un allenamento eccessivo o, paradossalmente, a comportamenti di autosabotaggio.
L’adattamento edonico: quando l’eccezionale diventa routine
D’altra parte, l’adattamento edonico offre una prospettiva completamente diversa. Questo fenomeno, noto anche come “tapis roulant edonico“, descrive la tendenza umana ad abituarsi rapidamente a nuove situazioni, positive o negative che siano.
Pensate a quando avete comprato il vostro primo smartphone. All’inizio, ogni funzione sembrava magica, ogni notifica era eccitante. Ma col passare del tempo, quello che una volta era straordinario è diventato ordinario. Lo stesso processo può verificarsi nel percorso di qualsiasi persona, nell’ambito della professione o, semplicemente, della propria vita.
Per un atleta il cammino verso il successo è costellato di successi crescenti: vittorie regionali, nazionali, record personali infranti. Ogni traguardo, inizialmente esaltante, col tempo diventa la nuova normalità. Persino l’oro olimpico, il pinnacolo del successo sportivo, potrebbe non suscitare l’emozione travolgente che ci si aspetterebbe.
L’adattamento edonico non è un difetto, ma un meccanismo evolutivo che ci permette di adattarci a nuove situazioni. Tuttavia, l’equilibrio è molto delicato e il rischio è che si vada alla costante ricerca di nuovi stimoli, il che rende impossibile godersi i traguardi raggiunti.
Come cantava Tiziano Ferro: “È assurdo pensare che giunti a un traguardo, neanche ci arrivi, che diventa un ricordo”.
Due facce della stessa medaglia?
Mentre la sindrome dell’impostore e l’adattamento edonico possono sembrare agli antipodi – uno basato sull’insicurezza, l’altro su un processo naturale di adattamento – entrambi possono coesistere, creando un cocktail emotivo complesso.
Un atleta potrebbe simultaneamente dubitare delle proprie capacità (sindrome dell’impostore) e sentirsi anestetizzato al successo (adattamento edonico). Il risultato? Una vittoria che, anziché essere celebrata, viene vissuta con un mix di ansia e indifferenza.
Oltre l’oro: come ritrovare la gioia del successo
Riconoscere questi fenomeni è il primo passo verso una soluzione. Per gli atleti che lottano con la sindrome dell’impostore, la terapia cognitivo-comportamentale può essere un valido alleato. Imparare a riconoscere e sfidare i pensieri negativi, celebrare i propri successi senza minimizzarli, e condividere le proprie insicurezze con mentor o colleghi fidati può fare la differenza.
Per contrastare l’adattamento edonico, la pratica della gratitudine può essere sorprendentemente efficace. Tenere un diario dei successi, per quanto piccoli, può aiutare a mantenere viva l’emozione del progresso. Inoltre, fissare nuovi obiettivi e sfide può mantenere alta la motivazione, evitando la stagnazione emotiva.
Le federazioni sportive e i comitati olimpici hanno un ruolo cruciale in questo processo. Implementare programmi di supporto psicologico che vadano oltre la preparazione alla gara, focalizzandosi anche sulla gestione del successo, potrebbe fare la differenza nella carriera e nel benessere di molti atleti. Giova sottolineare come Thomas Ceccon sia apparso evidentemente emozionato per i traguardi raggiunti a Parigi. Proprio la consapevolezza sulle dinamiche mentali, che il campione vicentino ha mostrato di avere, è la chiave per non restarne vittima.
Mentre il mondo guarda con ammirazione le imprese di questi atleti straordinari, è importante ricordare che dietro ogni medaglia c’è un essere umano, con le sue insicurezze, le sue paure e le sue sfide personali. Riconoscere e affrontare fenomeni come la sindrome dell’impostore e l’adattamento edonico non solo può migliorare le prestazioni degli atleti, ma può anche arricchire la loro esperienza umana.
In fin dei conti, forse, il vero oro non è quello che brilla al collo, ma la capacità di trovare gioia e soddisfazione nel proprio percorso di vita, con tutte le sue curve e i suoi ostacoli.
Il post di Davide Re
Come ha scritto l’atleta olimpionico Davide Re, primatista italiano della staffetta 4×400 metri, in un post su Instagram: “Ho sempre fatto atletica per me stesso e per migliorare me stesso, come persona di sport sento di essere cresciuto di più da Aprile 2024 ad oggi che negli ultimi 10 anni di carriera.
Ieri come avrà visto chi mi segue ho dovuto rinunciare ai ripescaggi perché purtroppo il mio tendine è peggiorato ulteriormente dopo la batteria; ma sono orgoglioso di poter gridare a tutto il mondo che io a Parigi c’ero, che ho sempre lottato e non mi sono mai tirato indietro seppur ben consapevole dei miei limiti attuali, ed alla fine dopo una straziante e lunga battaglia ad aver ceduto per primo è stato il corpo e non la mente. Questa è la mia vittoria“.
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