L’Italia nel 2050, -9% di Pil se non cambia la rotta demografica: l’allarme di Bankitalia
- 16/04/2025
- Popolazione Welfare
Un’economia sempre più fragile, minata dal declino demografico e da una partecipazione al lavoro ancora troppo bassa. È questo lo scenario tratteggiato dalla Banca d’Italia, secondo cui – in assenza di interventi strutturali – il prodotto interno lordo potenziale dell’Italia potrebbe ridursi di circa il 9% entro il 2050. A lanciare l’allarme è Andrea Brandolini, vicecapo del Dipartimento Economia e Statistica di Bankitalia, ascoltato in audizione dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli effetti economici e sociali della transizione demografica in atto.
Seppur mitigato in parte dall’immigrazione, il trend di decrescita della popolazione residente nel Paese è in atto dal 2015 e si prevede che peggiori nei prossimi decenni. Secondo quanto affermato da Brandolini, l’Italia appartiene al gruppo di Paesi in cui l’evoluzione demografica è già in corso da tempo e, se nulla cambierà, sarà destinata a diventare più accentuata.
La diminuzione della popolazione attiva, unita all’invecchiamento della società, si traduce in un quadro demografico che mette in pericolo le prospettive di crescita economica del Paese. La proiezione della Banca d’Italia è chiara: nel 2050 la popolazione in età da lavoro, quella compresa tra i 15 e i 64 anni, scenderà sotto i 30 milioni, con una riduzione di circa un milione di unità rispetto al 1950. Questo fenomeno è il risultato di un calo delle nascite e dell’invecchiamento delle coorti del baby-boom, che comporteranno un’ulteriore intensificazione della diminuzione della forza lavoro.
La discesa della popolazione attiva rappresenta una sfida a livello economico, perché, come osservato da Brandolini, “per ogni dieci persone in età da lavoro, vi saranno otto bambini e anziani, rispetto agli attuali sei”. In altre parole, la struttura della popolazione diventerà sempre più sbilanciata, con un numero maggiore di persone che richiederanno supporto, senza che ci sia una crescita adeguata del numero di lavoratori. Il rischio, quindi, è che il Paese non sia in grado di mantenere lo stesso livello di benessere, rendendo più difficile mantenere l’attuale tenore di vita.
In questo contesto, il calo delle nascite e l’aumento dell’aspettativa di vita pongono un ulteriore problema legato all’inevitabile invecchiamento della popolazione. Un problema che non è solo italiano, ma globale, come sottolineato dallo stesso Brandolini: “L’invecchiamento della popolazione è un processo globale e più veloce di quanto non ci si aspettasse solamente dieci anni fa”.
Le sfide del mercato del lavoro
La difficoltà nel reperire calo delle nascite qualificata non si limita al calo demografico, ma è anche strettamente legata alla scarsità di partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne e dei giovani. La Banca d’Italia ha messo in evidenza che, se non ci sarà un cambiamento radicale, la riduzione della forza lavoro si rifletterà direttamente sul prodotto interno lordo. Infatti, se l’occupazione femminile e giovanile non dovesse aumentare in modo significativo, “il Pil calerà di quasi il 9% da qui al 2050, dell’1,6% in termini pro capite”, ha sottolineato Brandolini. Questo scenario sarebbe ancora più grave in assenza di un aumento della produttività.
Il tasso di partecipazione al lavoro delle donne in Italia è storicamente inferiore rispetto alla media europea. Secondo le ultime statistiche, solo una donna su due è attivamente coinvolta nel mercato del lavoro, mentre la media dell’Unione Europea è ben più alta. La situazione giovanile non è meno critica. La disoccupazione giovanile resta tra le più alte d’Europa, con un tasso che supera il 30% tra i giovani under 30. L’inclusione nel mercato del lavoro delle donne e dei giovani è quindi un obiettivo cruciale per mantenere il dinamismo dell’economia. Tuttavia, questo da solo non basta. Brandolini ha affermato che un aumento dei tassi di occupazione giovanile e femminile, pur significativo, non sarebbe sufficiente a compensare gli effetti del calo demografico senza un miglioramento della produttività. Un “salto” in questo ambito, quindi, è necessario per mantenere la competitività del Paese.
La produttività è l’altro grande tema emerso dall’audizione di Brandolini davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta. Se da un lato è fondamentale aumentare la partecipazione al mercato del lavoro di donne e giovani, dall’altro è altrettanto importante risolvere il problema della stagnazione della produttività, che dal 2000 ad oggi è rimasta sostanzialmente immutata. Questo fattore ha un peso decisivo sul futuro del Paese, poiché il miglioramento della produttività è il vero motore per sostenere la crescita economica e il benessere della popolazione.
Come ha sottolineato Brandolini, un miglioramento della produttività è “una condizione necessaria per la crescita economica del Paese”. Il punto critico è che, senza una sostanziale ripresa della produttività, anche un aumento dell’occupazione femminile e giovanile non basterà a evitare la contrazione del Pil. Secondo le stime della Banca d’Italia, se nel 2050 i tassi di partecipazione di giovani e donne raggiungessero quelli della media dell’Ue, ma senza un aumento della produttività, “il Pil pro capite rimarrebbe sostanzialmente stabile, ma quello complessivo si ridurrebbe del 6,8%”.
L’Italia, infatti, è tra i Paesi che hanno visto una crescita della produttività relativamente bassa negli ultimi decenni. Per invertire questa tendenza, Brandolini suggerisce due azioni chiave: “La diffusione delle nuove tecnologie e le competenze dei lavoratori italiani”.
Il welfare sotto pressione
Un altro aspetto cruciale della transizione demografica è l’impatto sul sistema di welfare italiano. Con il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione, il Paese si trova a dover affrontare una spesa pubblica destinata a crescere in modo insostenibile. Secondo le previsioni di Brandolini, “nei prossimi venticinque anni, la spesa pubblica legata all’invecchiamento della popolazione è destinata a crescere in rapporto al Pil”. L’aumento della spesa pensionistica, in particolare, è uno degli effetti diretti di questo cambiamento demografico.
Nel contesto europeo, l’Italia è il Paese che spende di più per le pensioni. Con cinque punti percentuali di Pil in più rispetto alla Germania, e due rispetto alla Spagna, il nostro sistema pensionistico è messo a dura prova dalla crescente popolazione anziana. Tuttavia, la spesa per la sanità e l’assistenza a lungo termine è inferiore a quella di altri Paesi europei come la Francia e la Germania. La sfida per il futuro sarà quella di conciliare queste crescenti necessità con l’esigenza di ridurre il debito pubblico.
Brandolini conclude che, per affrontare questi temi, sarà necessario un forte intervento delle politiche pubbliche, non solo in termini di welfare, ma anche di produttività e partecipazione al mercato del lavoro. In sintesi, la sfida della transizione demografica italiana è complessa, ma non insormontabile, se affrontata con tempestività e con un approccio integrato che comprenda la crescita economica, l’innovazione tecnologica, e una maggiore inclusione nel mercato del lavoro.