Gli animali rallentano il nostro declino cognitivo (ma in modo molto diverso tra loro)
- 14 Luglio 2025
- Popolazione Welfare
La compagnia di un amico a quattro zampe non è solo un piacere per l’anima, ma un vero e proprio scudo protettivo per il cervello che invecchia. Una ricerca dell’Università di Ginevra, pubblicata sulla prestigiosa rivista Scientific Reports, dimostra che avere un cane o un gatto può rallentare significativamente il declino cognitivo nelle persone con più di 50 anni. Lo studio, condotto dalla ricercatrice Adriana Rostekova, rappresenta un punto di svolta nella comprensione del rapporto tra animali domestici e salute cerebrale umana.
Diciotto anni di osservazione per una scoperta rivoluzionaria
L’eccezionalità di questa ricerca risiede nella sua ampiezza temporale e metodologica. I ricercatori hanno analizzato i dati raccolti nel corso di 18 anni dal “Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe”, un’indagine paneuropea che monitora la salute degli europei over 50. Questo enorme bacino di informazioni ha permesso di seguire l’evoluzione delle funzioni cognitive di migliaia di partecipanti, mettendo in relazione il loro stato cerebrale con il possesso di animali domestici.
La conclusione è stata netta: la presenza di un cane o di un gatto è associata a un più lento deterioramento delle facoltà mentali (per la felicità di chi può accedere al Bonus animali 2025).
La scoperta più sorprendente riguarda la specificità dei benefici legati alle diverse specie animali.
Non tutti gli animali sono uguali: cani e gatti fanno la differenza
Chi vive con un cane tende a conservare una memoria più brillante, sia a breve che a lungo termine. I proprietari di cani mostrano prestazioni superiori nei test di memoria immediata e nella capacità di richiamare informazioni dal passato.
Chi convive con un gatto, invece, mostra un declino più lento nella fluidità verbale, ovvero la capacità di trovare e usare le parole con agilità. Questa distinzione suggerisce che i meccanismi attraverso cui questi animali ci aiutano sono diversi e probabilmente legati alla natura unica dell’interazione che stabiliamo con loro.
Come sottolinea la dottoressa Rostekova al Guardian: “La novità principale del nostro studio è stata l’individuazione di notevoli differenze tra le specie”. L’impegno costante e la pazienza richiesti per accudire un animale a quattro zampe potrebbero fungere da vero e proprio allenamento per il cervello, mantenendolo attivo e reattivo.
Gli effetti cambiano con pesci e uccelli
Non tutti gli animali domestici offrono gli stessi benefici cognitivi. Pesci e uccelli, pur essendo compagni affascinanti, non hanno mostrato alcun legame significativo con il rallentamento del declino cognitivo. Il motivo potrebbe risiedere nella natura meno interattiva di questi animali e nella loro incapacità di creare legami emotivi profondi e duraturi.
La breve durata di vita di pesci e uccelli non consente di sviluppare quella connessione emotiva a lungo termine che sembra essere cruciale per i benefici neurologici. In alcuni casi, come quello degli uccelli, il rumore notturno potrebbe perfino peggiorare la qualità del sonno, influendo negativamente sul cervello.
Perché gli animali domestici fanno bene alla salute
La ricerca conferma quanto già emerso da studi precedenti: accarezzare un animale favorisce il rilascio di endorfine e diminuisce i livelli di cortisolo, abbassando la pressione sanguigna, migliorando l’umore e riducendo lo stress. Forse non avranno l’effetto dei funghetti allucinogeni contro la depressione, ma di sicuro sono senza contraddizione. Questo meccanismo biochimico, combinato con la stimolazione sociale e cognitiva quotidiana fornita da cani e gatti, crea un ambiente protettivo per il cervello che invecchia.
Uno studio dell’Università del Michigan, presentato al congresso annuale dell’American Academy of Neurology, aveva già dimostrato che la compagnia di cani e gatti può ridurre il declino cognitivo negli anziani. La ricerca aveva analizzato nel corso di sei anni le capacità cognitive di oltre 1.300 anziani, confermando che i soggetti che vivevano accanto a un quattro zampe riportavano i risultati migliori nei test cognitivi.
Gli italiani e i loro compagni a quattro zampe: i numeri della convivenza
In Italia, la presenza di animali domestici nelle famiglie è una realtà consolidata e in crescita. Secondo i dati del Rapporto Assalco-Zoomark 2024, il 28% delle famiglie italiane possiede almeno un cane, mentre il 22% ha almeno un gatto, anche se questi ultimi sono più dei cani domestici (10,2 milioni contro 8,8 milioni). Ciò significa che spesso chi ha i gatti ne ha (anche molti di più) di uno.
Questi numeri collocano l’Italia al secondo posto in Europa per numero di animali domestici dopo l’Ungheria. Una parte dell’opinione pubblica attribuisci alla crescente diffusione degli animali domestici una delle ragioni della denatalità, ma i dati sembrano smentire questa correlazione.
La legge contro la violenza sugli animali
Di certo, la diffusione degli animali domestici nel nostro Paese riflette sia una crescente consapevolezza dei benefici che questi compagni possono offrire alla salute umana che una maggiore sensibilità per il benessere animale. Con l’entrata in vigore della nuova legge sulla tutela degli animali dal 1° luglio 2025 (c.d. legge Brambilla), che introduce pene più severe per i reati contro gli animali e riconosce la loro natura di esseri senzienti, l’Italia si allinea a una visione più moderna e rispettosa del rapporto uomo-animale.
Più giovani grazie agli animali?
La ricerca svizzera apre scenari inediti per la medicina preventiva dell’invecchiamento, che in Italia rappresenta una costante demografica. Se la compagnia di cani e gatti può effettivamente rallentare il declino cognitivo, questo dato dovrebbe essere considerato nelle strategie di prevenzione delle demenze senili. Non si tratta più solo di benessere emotivo, ma di un vero e proprio intervento terapeutico non farmacologico.
La scoperta assume particolare rilevanza in un’epoca in cui l’invecchiamento della popolazione rappresenta una delle sfide più significative per i sistemi sanitari occidentali.
“Finché non si è amato un animale, una parte dell’anima rimane addormentata”, scriveva Anatole France più di un secolo fa. Oggi la scienza oggi ci dice che questa parte risvegliata potrebbe essere la chiave per mantenere (più) giovane il nostro cervello.