Ambienti di lavoro tossici, gli effetti sulla salute sono paragonabili al fumo
- 19/05/2025
- Popolazione Welfare
“Gli ambienti di lavoro tossici prosciugano tutta l’energia e l’entusiasmo dei dipendenti e li sostituiscono con la paura”, spiegava un anno fa la professoressa Mindy Shoss dell’Università della Florida Centrale. Ora ne abbiamo un’ulteriore conferma. Secondo uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, smettere di fumare prima dei 40 anni riduce del 90% il rischio di morte prematura legato al fumo, mentre un’altra ricerca condotta da Stanford e Harvard (Goh, Pfeffer & Zenios, 2015), ha stimato che ogni anno, negli Usa, 120.000 persone muoiano per condizioni di lavoro deleterie, che vanno dai turni di lavoro massacranti alle scarse norme di sicurezza.
Paragonando i dati due studi, emerge come lasciare un ambiente di lavoro tossico abbia sulla salute benefici analoghi a quelli provati da chi smette di fumare.
Burnout, ansia, depressione e numerosi disturbi fisici correlati allo stress sono solo alcune delle conseguenze riportate da chi si trova intrappolato in contesti lavorativi malsani. Uscirne, secondo gli esperti, rappresenta un processo di disintossicazione simile a quello necessario per abbandonare la dipendenza da nicotina: difficile ma essenziale per recuperare salute e benessere.
Ambiente di lavoro tossico, Italia prima in Europa e rischi connessi
Secondo il sondaggio “Work in America” condotto dall’American Psychological Association e citato in vari studi, circa il 19% dei lavoratori definisce il proprio ambiente lavorativo “tossico” o “piuttosto tossico”. Un dato che sale al 24% tra le persone con disabilità cognitive, emotive, di apprendimento o mentali. L’Italia è prima in Europa per stress lavorativo e ora neanche il posto fisso basta più: 4 italiani su 10 sono pronti a cambiare lavoro secondo l’European Workforce Study 2025 di Great Place to Work, un’indagine che ha ascoltato quasi 25mila collaboratori in 19 Paesi europei. Con il 40% dei lavoratori italiani pronti a cambiare azienda, l’Italia conquista un primato tutt’altro che invidiabile, superando Francia e Polonia (entrambe al 38%), Portogallo (37%) e Irlanda (35%), ben lontani dal 25% della Norvegia, dove solo un lavoratore su 4 vorrebbe cambiare.
Secondo lo ‘State of the Global Workplace Report 2024’ di Gallup, solo quattro lavoratori su dieci, in Italia, si sentono felici al lavoro mentre uno su cinque soffre quotidianamente per il proprio impiego.
Cosa rende “tossico” un ambiente di lavoro
Ma cosa rende “tossico” un ambiente di lavoro? Gli elementi identificati dagli esperti includono: conflitti interni, intimidazioni, micromanagement, aspettative irrealistiche o poco chiare, scarso equilibrio tra vita privata e professionale, comunicazione non chiara, critiche continue, discriminazioni, favoritismi e mancanza di riconoscimenti (ancora una volta, l’Italia risulta ultima, su 12 Paesi europei, per meritocrazia). Questi fattori non si limitano a rendere spiacevole la permanenza in ufficio, ma generano un vero e proprio stress cronico con ripercussioni potenzialmente devastanti nella vita privata.
Per approfondire: Lavorare troppo a 20 anni e ritrovarsi depressi a 50
Gli effetti sulla salute: un parallelo con il fumo
Lo stress cronico derivante da ambienti di lavoro tossici può condurre a depressione, cardiopatie, cancro e altre malattie gravi, come evidenziato dal Surgeon General degli Stati Uniti, Vivek H. Murthy.
Un parallelo interessante emerge confrontando questi effetti con quelli del fumo: entrambi rappresentano fattori di rischio significativi per la salute pubblica, con meccanismi d’azione che, seppur diversi, producono conseguenze simili. Come il tabacco introduce nel microambiente sostanze nocive quali monossido di carbonio, ammoniaca e cianidi (tanto che Milano lo ha messo al bando dal 2025) l’ambiente di lavoro tossico genera un “inquinamento psicologico” che contamina il benessere mentale. E proprio come nel caso del fumo passivo, anche gli ambienti tossici colpiscono non solo chi ne è direttamente vittima ma si propagano, influenzando negativamente colleghi e persino la vita dei familiari.
Una normale conseguenza è che l’ambiente di lavoro tossico pesa anche sulle casse della salute pubblica. Secondo dati dell’European Trade Union Confederation (Etuc), l’economia europea perde circa 620 miliardi di euro all’anno solo a causa della depressione legata al lavoro. Un costo enorme che si aggiunge a quello generato dall’assenteismo, dal turnover elevato e dalla ridotta produttività che, in Italia, costituiscono un circolo vizioso per la demografia.
Si stima che un’azienda con 10.000 dipendenti, di cui 3.000 fumatori che consumano mediamente 6 sigarette durante l’orario di lavoro (con pause di circa 5 minuti ciascuna), subisca una perdita economica di circa 3,1 milioni di euro all’anno. Un parallelo economico che rafforza l’analogia tra fumo e ambienti di lavoro tossici, seppure sotto una nuova prospettiva: entrambi comportano costi elevati, sia per l’individuo che per la collettività.
L’escalation del fenomeno post-pandemia
La situazione è peggiorata significativamente dopo la pandemia di Covid-19. Secondo il barometro dell’Eu-Osha, il 44% dei lavoratori concorda sul fatto di sperimentare maggiore stress lavorativo come risultato della pandemia. La pressione temporale o il sovraccarico di lavoro è saltato dal 19,5% al 46% tra il 2020 e il 2022 acuendo altri problemi psicologici già provocati dal lockdown.
“La pandemia, insieme alle crisi economiche post-pandemia, alle crisi ambientali e alle tensioni geopolitiche, ha solo esacerbato queste sfide” osserva Sonia Nawrocka, ricercatrice in salute, sicurezza e condizioni di lavoro presso l’European Trade Union Institute. In Italia, il lavoro è stressante anche perché mal retribuito e anche su questo la pandemia ha inciso, facendo schizzare in alto il costo della vita. Nel Belpaese i salari medi lordi nel 2019 erano pari a 46.460 dollari a parità di potere d’acquisto, mentre nel 2022 il valore è sceso sotto i 45mila. Il calo più marcato si è verificato tra il 2019 e il 2020, quando la variazione è stata pari al -4,8%.
Smettere: un percorso di guarigione
Come per il fumo, anche per i contesti lavorativi nocivi la soluzione più efficace può essere, talvolta, quella di allontanarsi. Il percorso di uscita da un ambiente tossico, come quello di abbandono del fumo, richiede consapevolezza, determinazione e supporto. In entrambi i casi, il primo passo è il riconoscimento del problema. “Uscire da un lavoro tossico rappresenta più di un semplice cambio professionale: è un atto di auto-preservazione”, scrive Tracy Kennedy su Forbes.
E proprio come per chi smette di fumare, anche chi abbandona un ambiente lavorativo tossico sperimenta benefici quasi immediati: riduzione dello stress, miglioramento del sonno e della qualità della vita, ripristino dell’equilibrio emotivo.
Il parallelo con i dati sui fumatori in Italia
Guardando ai dati sul fumo in Italia, emerge un quadro che mostra alcuni cambiamenti nelle abitudini della popolazione negli ultimi anni. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità inclusi nel documento “Come creare un ambiente di lavoro libero da fumo”, la prevalenza del fumo varia significativamente per fascia d’età e genere.
Per gli uomini, le percentuali di fumatori sono:
- 31,2% nella fascia 15-24
- 37,8% nella fascia 25-44
- 31,3% nella fascia 45-64
- 16,6% nella fascia 65 o più
Per le donne, invece:
- 26,9% nella fascia 15-24
- 29,8% nella fascia 25-44
- 21,2% nella fascia 45-64
- 10,5% nella fascia 65 o più
Questi dati evidenziano come il fumo sia particolarmente diffuso tra i giovani adulti, proprio la fascia demografica maggiormente esposta anche ai problemi di salute mentale legati al lavoro. L’Iss ha inoltre stimato che in Italia muoiono più di 300 persone all’anno per tumore polmonare causato dal fumo passivo, oltre 200 per malattie cardiache e più di 2.000 bambini nascono sottopeso a causa dell’esposizione al fumo.
Verso ambienti di lavoro più sani: le iniziative europee
L’Unione Europea sta riconoscendo sempre più l’importanza di affrontare i rischi psicosociali sul posto di lavoro. Il Parlamento europeo ha recentemente chiesto alla Commissione di presentare una legislazione sui rischi psicosociali. L’Etuc (Confederazione Europea dei Sindacati) sta sollecitando una direttiva sui rischi psicosociali, oltre a progressi rapidi nel processo legislativo in corso verso una direttiva sul telelavoro e il diritto alla disconnessione.
“Non si può ignorare lo stress etico. Persone che tengono al proprio lavoro ma spesso non hanno il tempo, l’attrezzatura o il supporto necessario per svolgerlo correttamente”, ha dichiarato Esther Lynch, segretario generale dell’Etuc.
Come ricorda un documento pubblicato dall’European Trade Union Institute: “Stabilendo standard minimi sui rischi psicologici sul lavoro, indipendentemente dai diversi contesti nazionali, una simile direttiva stimolerebbe cambiamenti politici e incoraggerebbe gli ispettorati del lavoro ad affrontare tali rischi”.
Anche in Italia si può cambiare
Qualche speranza c’è, anche per l’Italia che, come abbiamo visto, è molto lontana dall’offrire un contesto lavorativo tranquillo, moderno, redditizio e meritocratico (non a caso la fuga dei cervelli continua imperterrita).
Sace, il gruppo assicurativo-finanziario italiano partecipato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha sperimentato con successo un modello chiamato Flex4Future che si basa su un rinnovato rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore. I risultati, raccolti lungo un intero anno, sono eloquenti:
- Il 65% dei dipendenti ha riportato un migliore work-life balance;
- Il 58% si è sentito più responsabile e più capace di gestire obiettivi e attività;
- Il 47% ha riferito un calo dello stress lavorativo;
- Il 51% ha aumentato l’utilizzo dell’Ai generativa;
- La produttività totale è aumentata del 26%.
L’equazione è semplice: maggiore è il benessere dei dipendenti, maggiore (e migliore) è la produttività. “Crediamo fortemente nel binomio benessere e produttività come motore di una crescita sostenibile”, ha dichiarato soddisfatta l’Amministratore Delegato di Sace, Alessandra Ricci, che ha aggiunto: “i risultati della ricerca dimostrano che avevamo ragione: dare alle persone il potere di decidere quando, dove e con che intensità lavorare sviluppa l’imprenditorialità, migliora il benessere fisico ma anche emotivo, e quindi aumenta la produttività”.
Per approfondire: Settimana corta, smart-working e addio badge: così Sace ha aumentato il benessere dei lavoratori e la produttività
Un futuro migliore è possibile.