Troppe poche nascite in Cina, Pechino tassa i preservativi
- 11 Dicembre 2025
- Mondo
Tassare i preservativi per favorire le nascite: è questa la mossa scelta dal governo cinese per reagire al crollo della natalità, un fenomeno che ormai riguarda anche un Paese che, con i suoi 1,4 miliardi di abitanti, difficilmente associamo a una crisi demografica ma che invece ne è pienamente investito. Dal 2026 dunque Pechino reintrodurrà dopo 30 anni l’iva al 13% sugli anticoncezionali, sia farmacologici sia ‘meccanici’.
La ‘politica del figlio unico’
E pensare che nel 1993 l’Iva venne tolta esattamente per il motivo contrario, ovvero per arginare il forte aumento della popolazione. In Occidente tutti ricordano la politica del figlio unico, introdotta nel 1979 sotto la leadership di Deng Xiaoping in risposta a un’esplosione demografica che rischiava di ostacolare lo sviluppo economico del Paese e esercitare troppa pressione sulle risorse (cibo, energia, servizi).
La norma imponeva, con alcune eccezioni, che ogni coppia potesse avere soltanto un figlio, prevedendo incentivi per chi la rispettava (sussidi, benefici sociali), sanzioni per chi la violava (multe, perdita del lavoro pubblico) e controllo capillare da parte delle autorità locali.
Nel tempo vennero poi introdotti permessi speciali, ad esempio per le coppie delle minoranze etniche o di quelle rurali se il primo figlio era femmina, o nel caso di genitori entrambi figli unici.
L’obbligo del figlio unico finì nel 2015, con l’introduzione della politica dei due figli, e fu spazzata via definitivamente nel 2021 quando si passò alla politica dei tre figli.
Cina in crisi demografica
Ma intanto la politica del figlio unico ha funzionato fin troppo bene, e ora Pechino si trova col problema opposto: non riuscire a invertire il trend. In Cina il tasso di natalità (nati vivi per 1.000 abitanti) e quello di fertilità (numero medio di figli per donna) sono bassi e storicamente in diminuzione, con qualche oscillazione annuale. Per avere un’idea della situazione, negli ultimi 10 anni il tasso di fertilità totale nel Paese è sceso da circa 1,7 figli per donna del 2015 a circa 1,0 – 1,02 figli per donna nel 2023-2025, indicando un declino continuativo e persistente ben al di sotto del livello necessario per mantenere stabile la popolazione (2,1 figli per donna).
Qual è il problema? Lo stesso che attanaglia l’Occidente: le nascite rimangono troppo basse per compensare l’invecchiamento della popolazione e i decessi, portando a squilibri nel mercato del lavoro, perdita di produttività e a problemi per l’assistenza e la sanità.
La ‘nuova cultura del matrimonio e della maternità’
Dal divieto di fare più di un figlio si è passati così a un nuovo approccio, quello della “nuova cultura del matrimonio e della maternità”, che nasce tra il 2021 e il 2023 e che viene formalizzato in documenti ufficiali della China Family Planning Association e in linee guida del Consiglio di Stato, i quali lo collocano all’interno dello sforzo nazionale per “creare una società favorevole alla natalità”.
Non si tratta di una legge, ma di un insieme di misure politiche, sociali e culturali pensate per aumentare matrimoni e nascite in un Paese dove l’età media del primo matrimonio cresce, la scelta di non sposarsi è sempre più diffusa e la natalità ha raggiunto valori minimi storici. Da qui, campagne pubbliche per incoraggiare i giovani a sposarsi “in età adeguata”, la diffusione di modelli familiari tradizionali nei media e nelle scuole, anche presentando maternità e famiglia come contributi allo sviluppo del Paese, e incoraggiamento a contrastare il “non-marriage trend” tra i giovani.
Previsti anche incentivi economici e sostegno ai genitori (sussidi alla nascita, aumenti dei congedi di maternità e paternità, riduzione dei costi di educazione e cura dei bambini, che in Cina sono e rimangono altissimi) e il contrasto agli aborti, etichettati come “trattamenti non essenziali”.
Ma intanto la popolazione cinese continua a calare, e il Paese nel 2023 ha perso lo scettro di Paese più popoloso del mondo a favore dell’India. Ed è improbabile che in sé per sé tassare gli anticoncezionali possa davvero fare effetto, tanto che da molti è la decisione è vista più in senso simbolico: se non ci si può permettere di pagare di più per i preservativi, è improbabile che si abbiano invece le risorse per crescere un bambino (o addirittura tre, come vorrebbe il governo).

