La Grande Sirena di Copenaghen è davvero “brutta e pornografica”?
- 6 Agosto 2025
- Mondo
La città di Copenaghen, da sempre associata alla celebre fiaba de “La Sirenetta” di Hans Christian Andersen e alla sua iconica statua in bronzo del 1913, si trova ora al centro di un acceso dibattito artistico e sociale a causa di una versione “moderna” dell’opera. Parliamo della “Grande Sirena” (Den Store Havfrue), realizzata in pietra dall’artista Peter Bech, che è stata oggetto di polemiche fin dalla sua installazione nel 2006, prevalentemente per la scelta di rappresentare il corpo della donna in un determinato modo.
A differenza della sua controparte più piccola e famosa, la statua di Bech, che misura quattro metri per sei e pesa 14 tonnellate, non è seduta, ma si erge con le mani appoggiate su una roccia, mettendo in mostra il suo “seno rotondo e voluminoso”. L’artista ha dichiarato di averla creata in risposta ai commenti dei turisti che lamentavano le dimensioni ridotte della Sirenetta originale.
‘Pornographic’ mermaid statue is to be removed in Denmark after it was deemed ‘a man’s hot dream of what a woman should…
Pubblicato da Matt Costello su Martedì 5 agosto 2025
Dalle polemiche alla rimozione
La “Grande Sirena” è stata inizialmente collocata nel 2006 al Langelinie Pier, accanto alla Sirenetta storica. Nel 2018, i residenti l’hanno definita “una copia volgare” dell’originale: l’opera è stata rimossa. Spostata in una storica fortificazione marittima, il Forte di Dragør, l’opera è tornata al centro del dibattito pubblico quando l’Agenzia danese per la conservazione del patrimonio ha annunciato la decisione di rimuoverla anche dalla sua attuale collocazione perché “non si allinea con il patrimonio culturale” della città.
Le polemiche nei confronti della statua in questi anni sono state aspre. Il critico d’arte Mathias Kryger e il quotidiano Politiken l’hanno definita “brutta e pornografica”. Sorine Gotfredsen, giornalista di Berlingske, ha scritto che “è improbabile che erigere una statua che rappresenti il fervente sogno di un uomo su come dovrebbe apparire una donna aiuterà le donne ad accettare il proprio corpo”. Queste osservazioni riflettono una preoccupazione più ampia riguardo alla rappresentazione del corpo femminile nell’arte e nella società.
Lo scultore, Peter Bech, dal canto suo, ha difeso l’opera sostenendo di non comprendere la controversia, affermando che il seno della figura in pietra è semplicemente “di dimensioni proporzionali” alla sua scala complessiva e che molte persone a Dragør amano la sua scultura. Nonostante ciò, il comune di Dragør ha respinto l’offerta di Bech di donare la scultura alla città, motivando il rifiuto con il fatto che “occupa molto spazio”.
La rappresentazione del corpo femminile è ancora un problema?
La discussione intorno alla “Grande Sirena” si è estesa oltre la mera estetica, diventando un vero e proprio dibattito sulle attitudini della società verso il corpo femminile. Aminata Corr Thrane, curatrice d’opinione di Berlingske, ha interpretato lo scrutinio delle dimensioni del seno della statua come qualcosa che rasentava il “body shaming“. “I seni femminili nudi – ha scritto l’autrice – devono avere una forma e una dimensione accademica specifica per poter essere mostrati in pubblico? Forse le due statue – la Grande Sirena e la Sirenetta – rappresentano i due lati della donna, e l’eterno tira e molla su cosa sia una vera donna. E forse anche su cosa sia una donna sbagliata”.
Questo punto è cruciale e trova profonde risonanze nelle riflessioni teoriche sul fenomeno e sulla percezione del corpo femminile nelle rappresentazioni pubbliche moderne.
Il fenomeno, come descritto nella ricerca internazionale promossa e finanziata dall’Università di Torino, “Nella rete del body shaming“, è un “dispositivo per disciplinare e controllare corpi, sensi e menti non conformi”. La critica rivolta alla “Grande Sirena” per la sua “fisicità” e per le dimensioni del seno, pur trattandosi di una statua, rientra in questa logica di giudizio e vergogna che si articola attorno alla “normatività corporea”. Come già sottolineava nel 1975 il filosofo e sociologo Michel Foucault, il potere si esercita sui corpi non solo mediante la coercizione diretta, ma anche attraverso la produzione e normalizzazione di ideali corporei, che definiscono ciò che è considerato normale o deviante.
La società contemporanea investe in corpi sani, performanti e produttivi. La statua, in quanto rappresentazione, ha innescato una reazione che svela come i “canoni estetici” e gli “standard corporei” siano profondamente radicati e influenzino persino la percezione dell’arte. La critica che la statua rifletta il sogno di un uomo su come dovrebbe apparire una donna sottolinea come la teoria dell’oggettivazione suggerisca che le donne in culture occidentali siano spesso valutate principalmente per il loro aspetto fisico, un concetto promosso anche attraverso i media.
Nello studio “The impact of social media on women’s physical appearance and self-esteem: A feminist perspective”, pubblicata a gennaio 2025 da Frontiers in Psychology, si evince come oggi, le piattaforme social e, per estensione, le rappresentazioni pubbliche, “perpetuino ideali di bellezza irrealistici” e “promuovano l’insoddisfazione corporea”. Sebbene la statua non sia un’immagine di social media, la reazione pubblica e il dibattito che ne è scaturito replicano le dinamiche di valutazione e confronto che i media digitali amplificano. Il desiderio di conformarsi a tali standard genera spesso un “mercato molto redditizio di prodotti, servizi e interventi sul corpo”, evidenziando come la “normalità” sia un costrutto sociale che offre vantaggi a chi vi si conforma e penalizza chi se ne discosta.
L’autopercezione femminile
A gravare più del giudizio degli altri, spesso, però, è proprio il giudizio che le stesse donne hanno sul proprio corpo. In una ricerca Eurispes, è emerso che oltre un terzo (36,4%) delle donne ha un rapporto negativo con la propria fisicità e il 43% non si piace, con la maggioranza (57,2%) che desidererebbe cambiarlo, in particolare per essere più magra (54,7%). Nonostante l’insoddisfazione, la cura dell’aspetto è fondamentale per il 74,5% delle donne, con trattamenti estetici diffusi (es. snellire/tonificare per il 56,7%) e un quarto (25,3%) che ha fatto ricorso alla chirurgia estetica. Questa percezione è aggravata da significative pressioni esterne: il 72,8% delle donne ha ricevuto giudizi sulla corporatura e più della metà (52,9%) si sente inadeguata rispetto ai canoni di bellezza irraggiungibili proposti dai media (60,3%). Inoltre, il 64,6% ha subito catcalling e molestie online, il 18,6% è stata vittima di body shaming.
Le donne affrontano anche discriminazioni professionali, con il 42,6% che ha subìto insinuazioni sulla carriera legate al proprio corpo. Tale contesto si inserisce in una società che quasi la metà delle donne (49,5%) percepisce come patriarcale, nonostante meno della metà (46,3%) si identifichi come femminista. Dati che, in sintesi, dimostrano quanto lavoro ci sia ancora da mettere in pratica sulla percezione del corpo in ogni ambito della società.
La provocazione artistica nella storia: la Grande Sirena non è sola
La controversia attorno alla “Grande Sirena” non è un caso isolato, ma si inserisce in una lunga tradizione di opere d’arte che hanno sfidato le norme estetiche e morali del loro tempo.
Da “Olympia” di Édouard Manet, che nel 1863 scandalizzò il pubblico parigino per la sua rappresentazione diretta e non idealizzata della nudità femminile, fino a “Origin of the World” di Gustave Courbet, censurato per decenni per la sua esplicita raffigurazione dei genitali, l’arte ha spesso agito come specchio e detonatore sociale. Anche opere contemporanee come “My Bed” di Tracey Emin o le figure distorte di Willem de Kooning hanno suscitato reazioni forti, accusate di essere volgari, provocatorie o addirittura misogine.
Eppure, proprio queste reazioni dimostrano il potere dell’arte di interrogare il nostro sguardo, di mettere in crisi ciò che consideriamo “normale” o “accettabile”.