Spagna, boom di parti indotti e cesarei: “Rischioso per la salute”
- 28/03/2024
- Mondo
Un eccesso di parti indotti in Spagna ha portato ostetrici e ginecologi a lanciare un allarme. Con il termine “parto indotto” si intende l’induzione del travaglio tramite un processo mediante il quale l’utero viene stimolato artificialmente, con somministrazione di prostaglandine, ossitocina sintetica o rottura artificiale del sacco del liquido amniotico. Questo è il caso di numerose donne che si ritrovano, senza ricevere spiegazioni sui rischi o sulle complicazioni, ad affrontare un travaglio non naturale e che porta alla nascita di un figlio prima del tempo prestabilito.
Durante il processo, può capitare che il reparto di ginecologia neonatale possa decidere, senza previo consenso della futura mamma, di effettuare così la rottura delle acque, la manovra di Kristeller, episiotomia o, in alcuni casi, anche la presenza di studenti e tirocinanti nella stanza. Quest’insieme di pratiche potrebbe peggiorare l’esperienza del parto, danneggiando il primo contatto che si ha con il neonato e portando anche a depressione o stato di choc per la neomamma.
Secondo gli ultimi dati ufficiali del Ministero della Salute spagnolo, come riporta il quotidiano El Pais, tra il 2010 e il 2018 il numero delle nascite indotte è aumentato di oltre 15 punti percentuali (dal 18,61% nel 2010 al 34,18% nel 2018). A lanciare l’allarme è stata l’ostetrica Ana Polo che ha partecipato, nel 2007, alla Strategia per il parto normale del Ministero della Salute: “La più grande epidemia in Spagna è il parto indotto”. A confermare la propria preoccupazione è stato anche il ginecologo Charo Quintana, membro del gruppo che ha sviluppato la Guida pratica clinica per l’assistenza durante il parto naturale e membro dell’Osservatorio sulla violenza ostetrica. “Negli Stati Uniti – ha sottolineato il dottore – nel 2020, il 31,4% delle nascite erano indotte, mentre nel 1990 il tasso era del 9,5%”. Un fenomeno, quindi, che si è diffuso in gran parte del mondo.
Le cause dell’aumento del parto indotto
Secondo il dottor Charo Quintana, l’aumento dei tassi di induzione del parto avviene per ragioni di comodità dei professionisti o su richiesta delle donne incinte e delle loro famiglie: “Una nascita dovrebbe essere indotta solo quando si considera veramente elevato il rischio materno o fetale associato all’interruzione della gravidanza”.
Ma quando si esegue realmente il parto indotto? Si tratta di una metodica che dovrebbe essere messa in pratica in alcuni particolari casi:
- Gravidanza protratta oltre il tempo limite. Questa particolare circostanza si verifica quando la durata normale della gravidanza (40 settimane) viene superata di circa 15 giorni. Il rischio è che il feto cresca troppo e possa apportare danni al feto e alla mamma.
- Rottura prematura delle acque. Questo segnale indica l’inizio del travaglio. In alcuni frangenti, però, può capitare che la rottura delle acque e cioè delle membrane, avvenga prima delle 40 settimane. Questo potrebbe portare ad un rischio maggiore di infezioni.
- Distacco della placenta. Questo fenomeno è forse il più noto e si verifica con la separazione della placenta dalla parete interna dell’utero. Ciò può causare un’emorragia ed è quindi necessario intervenire con induzione.
- Altre cause possono essere relative alla condizione della mamma che potrebbe soffrire di diabete gestazionale, malattia renale cronaca o obesità.
Uno dei metodi più comuni e frequenti con i quali si verifica il parto indotto e il ricorrere al taglio cesareo.
I dati in Italia
In Italia, il numero dei parti cesarei è aumentato di oltre 20 punti percentuali in soli vent’anni passando dall’11,2% nel 1980 al 33,2% nel 2000. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, il dato italiano risulta molto più elevato di quello degli altri Paesi europei e del 10-15% maggiore rispetto a quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La regione in cui si verifica più frequentemente è la Campania, a seguire la Calabria, mentre valori inferiori nella Provincia di Bolzano.
“I dati presentati confermano, per quanto riguarda il taglio cesareo e, in generale l’assistenza in gravidanza e al parto, l’aumento in Italia del ricorso a una serie di procedure la cui utilità non è basata su evidenze scientifiche e non è sostenuta da un reale aumento delle condizioni di rischio – ha spiegato lo scorso dicembre in una nota la dottoressa Angela Spinelli, Laboratorio di epidemiologia e biostatistica, Istituto Superiore di Sanità -. Il loro utilizzo è spesso totalmente indipendente dalle caratteristiche sociodemografiche delle donne e dalle loro condizioni fisiche ed è invece associato principalmente alla disponibilità delle strutture coinvolte e alla loro organizzazione. Tutto ciò deve portarci a riflettere sui motivi che hanno determinato questo fenomeno e a cercare di individuare interventi per invertire questa tendenza”.
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