No alle donne: perché l’ONU ha accettato le condizioni dei talebani
- 03/07/2024
- Mondo
L’apartheid delle donne. Così è stata definita la condizione femminile in Afghanistan, diventata drammatica dopo che i talebani hanno ripreso il potere nell’agosto del 2021. Da quel momento nel Paese tutti i diritti umani, con particolare attenzione alle donne, hanno subito una stretta tragica.
E ora l’apartheid, quindi l’esclusione, è stata portata anche fuori dai confini nazionali.
Per partecipare alla terza conferenza Onu sul futuro dell’Afghanistan, il gruppo fondamentalista ha riproposto le sue condizioni, già avanzate in occasione del precedente incontro, ovvero niente donne afghane e non si parla di diritti umani.
Ma mentre la scorsa volta il segretario generale dell’Onu António Manuel de Oliveira Guterres le aveva definite ‘inaccettabil’, e i talebani non si erano presentati, stavolta l’ONU le ha accettate, tra le polemiche.
E su queste basi l’incontro si è svolto a Doha, in Qatar, domenica e lunedì scorso, con la partecipazione di una trentina di Paesi e organizzazioni internazionali, tra cui l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina. Assenti le donne afghane e i rappresentanti della società civile e delle organizzazioni per i diritti umani. Questi ultimi sono stati ascoltati dalla sottosegretaria dell’ONU per gli Affari Politici e di Pace, Rosemary DiCarlo, ma separatamente, al di fuori della Conferenza.
Perché l’ONU ha accettato
La concessione fatta ai talebani si spiega col tentativo dell’ONU di riaprire un dialogo, sia diplomatico che economico, e attraverso di esso arrivare a migliorare le condizioni di vita degli afghani. Ricordiamo che, martoriati da guerre e occupazioni straniere, e dal governo dei talebani, la popolazione è impoverita, l’85% vive con meno di un dollaro al giorno.
Oltre a questo, i fondamentalisti hanno tolto man mano i diritti a tutti, ma con il trattamento peggiore riservato alle donne, che si sono viste vietare l’accesso all’istruzione dopo i 12 anni, che sostanzialmente non posso lavorare, e per le quali a marzo è stata reintrodotta la lapidazione per adulterio.
Non solo: se si spostano per oltre 77 km devono essere accompagnate da un parente maschio, non possono andare al parco o in luoghi pubblici, né in generale uscire da casa senza un buon motivo, e comunque sempre col burqa o l’hijab. Un’esclusione quasi totale dalla vita pubblica e civile che spiega perché si parli di apartheid di genere.
Secondo i talebani però la questione rientra nei loro affari interni che quindi non deve avere rilevanza a livello internazionale. Peraltro, la Carta delle Nazioni unite sancisce il principio di non interferenza negli affari interni di un altro Stato, purché si ritengano tali la vessazione, l’invisibilizzazione e la segregazione di metà della popolazione.
Per i talebani sì, appunto, perché il trattamento riservato alle donne rientrerebbe, sostengono, nelle tradizioni del Paese e della fede islamica. Un’opinione sconfessata dagli altri Paesi a maggioranza musulmana, nessuno dei quali adotta misure così estreme.
Le polemiche
Da qui le polemiche: per molti osservatori le condizioni accettate sono state un prezzo troppo alto, che rischia anche di minare la credibilità dell’ONU nella difesa dei diritti umani e delle donne in particolare, che così ora sono silenziate nei confini afghani e anche fuori.
L’ex ministra afghana per gli Affari femminili Sima Samar ha commentato: “Sottomissione indiretta alla loro volontà”, e ha aggiunto: “Il diritto, la democrazia e la pace sostenibile non sono possibili senza includere metà della popolazione della società che è costituita da donne. Non abbiamo imparato nulla dagli errori del passato.”
Accettare, come è stato fatto, il volere dei talebani rischia infatti di legittimare un regime oppressivo e integralista come quello attualmente al potere, che non è riconosciuto dall’ONU ed è sostanzialmente isolato.
A tal proposito DiCarlo ha specificato che “questo incontro e questo processo non significano normalizzazione o riconoscimento”. Ma si è confermata “l’unità della comunità internazionale nella sua determinazione a continuare a collaborare con l’Afghanistan”.
Anche la valutazione indipendente che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha fatto scrivere a novembre sull’Afghanistan, base delle conferenze dedicate al Paese, sottolinea che “qualsiasi forma di rintegrazione dell’Afghanistan nelle istituzioni e nei sistemi globali deve passare dall’inclusione delle donne afghane anche nelle posizioni di leadership”.
Gli Stati che hanno iniziato a riavvicinarsi
Intanto però alcuni Stati si sono già riavvicinati al regime, soprattutto perché il Paese è in una posizione fortemente strategica (basti pensare al petrolio e alla Nuove rotta della seta), che da sempre lo ha messo al centro degli appetiti e dei giochi geopolitici.
La Cina, ad esempio, è stato il primo Stato a nominare un ambasciatore in loco dopo i fatti del 2021 e anche la Russia, isolata a sua volta per l’invasione dell’Ucraina, ha fatto dei passi verso i talebani, sebbene li consideri ancora formalmente come un’organizzazione terroristica.
Lunedì scorso, all’ONU, l’ambasciatore russo Vasilij Nebenzja ha lasciato intendere che il suo Paese possa revocare le sanzioni contro il regime fondamentalista.
Considerando tutto, sarà molto difficile per le Nazioni Unite migliorare la condizione del popolo e soprattutto delle donne afghane, sempre più invisibili anche a livello internazionale.
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