Corea del Sud: il voto del 3 giugno cambierà il destino delle donne?
- 27/05/2025
- Mondo
Non solo una scelta amministrativa: le prossime elezioni del 3 giugno in Corea del Sud diventano il banco di prova per la condizione femminile del Paese. Da quando la Corea del Sud è entrata a far parte dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) nel 1996, il Paese ha conservato un triste primato. Il Paese, infatti, possiede il più alto divario retributivo di genere tra i Paesi membri. Secondo gli ultimi dati, le donne sudcoreane guadagnano il 31,2% in meno rispetto ai loro colleghi uomini, quasi tre volte la media Ocse (11,6%).
Questo dato non è frutto di una mera eredità culturale: è il risultato di un sistema del lavoro rigido, strutturalmente diseguale, che ha ignorato per decenni le esigenze e i diritti delle lavoratrici. E le prossime elezioni del 3 giugno hanno i riflettori puntati riguardo questa tematica.
Parità di genere e condizione femminile in Corea del Sud
Mentre il Paese si modernizzava, le sue politiche sociali e lavorative continuavano a favorire il modello patriarcale. Le donne sono rimaste a lungo confinate ai margini delle carriere, penalizzate dalla maternità, escluse dai ruoli decisionali e sottoposte a discriminazioni sistemiche. Ma non sono rimaste ferme. Hanno reagito scegliendo un’altra strada: rinunciare alla maternità per conquistare autonomia economica e dignità professionale.
A dimostrarlo sono i dati più recenti di Statistics Korea che mostrano un’impennata nell’occupazione femminile tra i 30 e i 39 anni: dal 61,3% nel 2021 al 71,3% nel 2024, con una tendenza ancora in crescita nei primi mesi del 2025.
Questo fenomeno non è solo il risultato di migliori politiche per il congedo parentale e la conciliazione tra lavoro e famiglia, ma di un cambiamento profondo nella mentalità: meno donne si sposano e meno scelgono di avere figli.
Secondo il Korea Employment Information Service, il calo dei matrimoni e della natalità ha favorito la permanenza femminile nel mercato del lavoro. Nel 2014, il 37,3% delle donne trentenni aveva interrotto la carriera per motivi familiari; nel 2024 questa percentuale è scesa al 23,9%.
Le donne sudcoreane stanno progressivamente entrando in settori un tempo dominati dagli uomini: informatica, scienza, pubblica amministrazione e sanità. L’“M-curve” – la tradizionale caduta dell’occupazione femminile durante la maternità – si sta appiattendo. Ma questo progresso è, secondo i ricercatori del Korean Women’s Development Institute, più effetto di una crisi demografica che di una vera volontà politica di cambiamento.
Politica cieca di fronte alla disuguaglianza?
E proprio la politica appare il settore più resistente al cambiamento. In vista delle elezioni presidenziali del 3 giugno 2025, la questione della parità di genere è praticamente scomparsa dai programmi dei principali candidati. Il New York Times e The Diplomat hanno evidenziato come le dichiarazioni pubbliche riflettano un crescente rifiuto – anche retorico – di trattare la parità come una priorità.
Emblematica la risposta di Lee Jae-myung, candidato del Partito Democratico, a una domanda sulle sue politiche di genere: “Perché continuare a dividere uomini e donne? Sono tutti coreani”. Una frase che banalizza, se non nega, l’esistenza di diseguaglianze strutturali. Un’analisi dei suoi “10 impegni” programmatici, riportata anche da The Korea Herald, conferma questa tendenza: la parola “donne” compare solo due volte, mentre “uguaglianza di genere” è completamente assente.
Le poche misure proposte – come un sistema di trasparenza sulle retribuzioni e il rafforzamento delle tutele per le imprenditrici – mancano di una visione organica. Persino le politiche sulla violenza nelle relazioni sentimentali non fanno esplicito riferimento al genere.
Alle critiche, il Partito Democratico ha risposto che gli impegni per le donne verranno inseriti in un documento a parte, una giustificazione che suona più come una posticipazione tattica che come un impegno autentico.
Dai conservatori, silenzio o passi indietro
Se il centrosinistra sudcoreano tace, il fronte conservatore arretra. Kim Moon-soo (People Power Party) ha fatto dell’abbassamento del tasso di natalità la sua priorità, promettendo di “costruire un Paese in cui sia bello avere figli”, ma senza alcuna misura concreta per le donne, né menzione dell’uguaglianza di genere.
Peggio ancora il programma di Lee Jun-seok, candidato del Nuovo Partito Riformatore, che ha rilanciato la proposta di abolire il Ministero per l’Uguaglianza di Genere e la Famiglia, una promessa già avanzata (e mai mantenuta) presidente Yoon Suk-yeol. L’unico a distinguersi è Kwon Young-guk del Partito Laburista Democratico, che ha promesso una legge antidiscriminazione, il rafforzamento del ministero per la parità e una riforma sull’aborto. Tuttavia, la sua candidatura rimane marginale nel panorama politico attuale.
Silenziata metà popolazione
Questa assenza di impegni concreti sulla parità di genere ha effetti tangibili anche sulla rappresentanza politica: solo il 19% dei seggi parlamentari è occupato da donne, contro percentuali superiori al 45% in Paesi come Svezia, Islanda e Finlandia. La Corea del Sud resta indietro non solo nei numeri, ma nella visione.
Le disuguaglianze si riflettono anche nelle opinioni dei cittadini. Secondo l’indice annuale del Ministero per l’Uguaglianza di Genere, il Gender Equality Index è sceso da 66,2 nel 2022 a 65,4 nel 2023, segnando una regressione. La 2023 Family Survey mostra che le convinzioni tradizionali stanno tornando a rafforzarsi: la percentuale di sudcoreani che ritiene che “gli uomini debbano provvedere finanziariamente alla famiglia” è salita dal 22,4% al 33,6%; quelli convinti che “i lavori domestici spettino alle donne” sono passati dal 12,7% al 26,4%.
Le donne sempre più protagoniste del cambiamento
Nonostante tutto, le donne sudcoreane stanno ridefinendo il loro ruolo nella società, e lo fanno senza attendere l’approvazione della politica. L’aumento del lavoro femminile, la rinuncia consapevole alla maternità, la crescente consapevolezza dei propri diritti: tutto indica che una nuova generazione di cittadine non è più disposta ad accettare il ruolo assegnato dal patriarcato.
Questa consapevolezza potrebbe tradursi in una pressione elettorale concreta? Già nel 2022, il voto femminile si era distinto per la sua disaffezione verso il conservatorismo: il 59% degli uomini tra i 18 e i 29 anni aveva votato per Yoon, contro appena il 34% delle donne della stessa fascia.
Oggi, secondo un sondaggio di aprile 2025, il Partito Democratico è sostenuto dal 44% delle donne e solo dal 40% degli uomini, mentre il People Power Party raccoglie il 36% dei consensi maschili e il 31% di quelli femminili.
Il voto del 3 giugno come spartiacque
Il 3 giugno si terranno in Corea del Sud delle elezioni presidenziali anticipate, convocate dopo l’impeachment e la destituzione del presidente Yoon Suk-yeo. Yoon era stato accusato di insurrezione e alto tradimento per aver tentato di imporre la legge marziale nel dicembre scorso, un’azione che ha portato a massicce proteste e alla sua rimozione definitiva il 4 aprile. I principali candidati alla presidenza sono Lee Jae-myung, leader del Partito Democratico, attualmente favorito nei sondaggi, e Kim Moon-soo, ex ministro del Lavoro e figura di spicco del Partito del Potere Popolare (Ppp), il partito di Yoon. La campagna elettorale è molto polarizzata, tanto che alcune aziende, come Starbucks e il motore di ricerca Naver, hanno adottato misure per evitare che i nomi dei candidati vengano usati per messaggi politici
Le elezioni del 3 giugno 2025, quindi, saranno molto più di una competizione tra partiti: rappresentano uno spartiacque per la democrazia sudcoreana. Se i leader politici continueranno a ignorare le richieste di metà della popolazione, non solo tradiranno le donne, ma metteranno a rischio i principi stessi della rappresentanza. Le disuguaglianze di genere non sono una questione femminile: sono una questione democratica e senza politiche efficaci, come quote di rappresentanza, trasparenza salariale, investimenti per il lavoro femminile, congedi parentali equi, il Paese rischia di restare prigioniero di un modello superato. E la sua democrazia, incompleta.