Danimarca, verso il divieto del velo integrale a scuola: “Dio deve farsi da parte”
- 9 Giugno 2025
- Mondo
“Dio deve farsi da parte. Hai il diritto alla tua fede e a praticare la tua religione, ma la democrazia viene prima”. La premier danese Mette Frederiksen ha annunciato l’intenzione del governo di estendere il divieto del velo islamico integrale—burqa e niqab—anche a scuole e università. La normativa attualmente in vigore, introdotta nel 2018, si applica esclusivamente ai luoghi pubblici, ma non agli ambienti scolastici.
Frederiksen ha motivato l’iniziativa con l’obiettivo di contrastare fenomeni di “controllo sociale e oppressione delle donne” negli istituti educativi. La proposta prevede anche la rimozione delle sale di preghiera dalle scuole e dalle università, considerate dalla premier “strumenti di controllo sociale e oppressione”, che “non promuovono l’inclusione, ma rischiano di alimentare discriminazioni e pressioni sociali”.
Il governo danese ha annunciato che i ministri dell’Istruzione avvieranno un confronto con le istituzioni scolastiche e accademiche per definire una linea comune sull’utilizzo di simboli religiosi e spazi per la preghiera. Non si parla, al momento, di un divieto immediato, ma di un percorso normativo per ridefinire il perimetro della neutralità negli ambienti educativi.
Contro la proposta si sono espresse diverse organizzazioni per i diritti umani. Amnesty International ha ribadito che ogni donna dovrebbe poter scegliere liberamente il proprio abbigliamento, inclusi i simboli religiosi. Anche alcuni gruppi religiosi e accademici in Danimarca hanno sollevato dubbi sull’opportunità di un provvedimento che rischia di colpire soprattutto le minoranze.
Quando la libertà religiosa entra in conflitto con i principi educativi
La proposta del governo danese tocca un punto delicato: il confine tra tutela dell’individuo e rispetto delle scelte personali. Mette Frederiksen ha dichiarato: “Non è solo una questione di portata del fenomeno. Sono la prima ministra della Danimarca. Sono anche una donna. E non posso tollerare l’oppressione delle donne.” Il riferimento è alle ragazze che, secondo il governo, potrebbero essere spinte a indossare il velo non per scelta, ma per vincoli culturali o religiosi imposti dall’ambiente familiare o comunitario.
La misura, quindi, viene presentata come uno strumento di tutela. Ma apre un interrogativo centrale: come distinguere tra una scelta consapevole e una pressione esterna? E fino a che punto lo Stato può intervenire per proteggere l’autonomia personale, senza sconfinare nella limitazione delle libertà civili? I critici della proposta sottolineano proprio questo rischio. Le norme anti-velo, secondo le Ong, rischiano di colpire proprio le studentesse che si vogliono tutelare, imponendo loro un’alternativa difficile: abbandonare l’abito religioso o rinunciare all’istruzione. Il risultato potrebbe essere l’esclusione scolastica, non l’integrazione.
Secondo i promotori, invece, vietare il velo integrale a scuola rafforzerebbe la libertà delle giovani donne, rendendo gli spazi educativi realmente neutrali. A sostegno della proposta, è stata citata la “Commissione per la lotta dimenticata delle donne”, istituita dallo stesso governo danese, che ha raccomandato misure per garantire pari diritti alle donne con background migratorio, anche attraverso limitazioni a simboli religiosi percepiti come restrittivi.
La scuola come spazio laico
Accanto alla questione del velo, il governo danese ha puntato l’attenzione sugli spazi di preghiera presenti in alcune scuole e università. Secondo Frederiksen, questi ambienti possono diventare strumenti di controllo o segregazione e “non appartengono” agli spazi educativi. L’idea è quella di mantenere le scuole libere da riferimenti religiosi per garantire un contesto imparziale per tutti gli studenti.
La proposta non prevede un divieto immediato, ma una revisione della prassi attuale attraverso il dialogo con le istituzioni. In molte scuole, le sale di preghiera sono state introdotte per rispondere a richieste degli studenti. Si tratta spesso di ambienti multifunzionali, non legati a una specifica fede, pensati per momenti di raccoglimento personale. Tuttavia, secondo il governo danese, la presenza di questi spazi può rafforzare dinamiche identitarie e contribuire a una divisione interna alla comunità scolastica. L’intento dichiarato è prevenire ogni forma di pressione religiosa tra pari, soprattutto in età scolastica.
Anche in questo caso, le reazioni sono contrastanti. Alcune istituzioni universitarie hanno difeso la possibilità di offrire spazi neutri di preghiera come segnale di apertura e rispetto verso la pluralità culturale. Altre si sono dette disponibili a un confronto con il governo per ridefinire le regole, ma chiedono chiarezza sul quadro normativo.
Una proposta che fa discutere anche fuori dalla Danimarca
La proposta danese ha suscitato attenzione anche fuori dai confini nazionali. In diversi Paesi europei, misure simili sono già state adottate: in Francia, il velo è vietato nelle scuole pubbliche dal 2004, e il burqa è proibito nei luoghi pubblici dal 2010. Anche Belgio, Austria e Svizzera hanno approvato restrizioni sull’abbigliamento religioso integrale. In molti casi, le leggi sono state confermate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, a condizione che siano giustificate da esigenze di ordine pubblico o tutela dei diritti fondamentali.
La proposta danese però introduce un ulteriore passaggio, portando la discussione direttamente dentro le scuole e le università. È qui che il dibattito si fa più complesso. L’ambiente educativo è infatti uno spazio in cui si intrecciano diritto all’istruzione, libertà di espressione e principi di neutralità istituzionale. Ogni intervento rischia di alterare questo equilibrio.
In Italia, la notizia ha riacceso il dibattito. Silvia Sardone, vicesegretaria ed eurodeputata della Lega (Patrioti) ha definito l’iniziativa danese “un esempio da seguire”, parlando di “lacune legislative che contribuiscono all’oppressione delle donne, anche negli ambienti scolastici.” Ma nel contesto italiano non esiste oggi una normativa nazionale che vieti il velo a scuola. Le decisioni vengono adottate localmente, e i tribunali tendono a riconoscere la libertà religiosa salvo casi particolari, ad esempio per motivi di sicurezza o identificazione.
Il caso danese, in ogni caso, pone una questione concreta: come gestire in modo equilibrato le espressioni religiose negli spazi pubblici, a partire dalle scuole? Quali strumenti legittimi ha uno Stato per evitare situazioni di discriminazione o isolamento, senza interferire con le libertà individuali? Il confronto è destinato a proseguire, e probabilmente a estendersi ad altri Paesi europei nei prossimi mesi.