In Italia due under 34 su tre vivono con i propri genitori, ma non per scelta
- 22/05/2024
- Giovani
Bamboccioni o troppo “poco ricchi”? Padoa-Schioppa o Luca Medici, alias Checco Zalone?
Dagli ultimi dati Istat emerge che sempre più under 34 italiani vivono con i genitori: due su tre sono ancora sotto il tetto della propria famiglia.
Il rapporto Annuale Istat certifica il peggioramento del trend. Il 67,4% dei giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono con i propri genitori, un dato che dal 2002 al 2022 è aumentato di 8 punti percentuali. Traducendo i numeri in parole, il concetto è lampante: il lavoro non basta (l’Italia vive un ottimo momento sotto il profilo del livello occupazionale), servono stipendi più alti soprattutto per le nuove generazioni.
La correlazione tra lavoro e indipendenza emerge chiaramente dai dati Istat: nelle Regioni in cui c’è il picco di giovani che vivono con i loro genitori c’è anche un tasso di disoccupazione particolarmente alto in quella fascia di età. In Campania, in cui è stata registrata la quota maggiore di under 34 che abita con la famiglia, la percentuale è salita al 74,5%, mentre al Centro Nord è sotto la media nazionale, ad eccezione delle Marche, in cui il 74,5% dei maggiorenni sotto i 34 anni vive ancora con i genitori.
La povertà tra i giovani
A meno di eccezionali fortune, il lavoro resta l’unico modo per generare reddito e diventare autonomi. Diventa allora dirimente osservare che ai giovani italiani tra i 15 e i 24 anni viene riservata la metà dei tre milioni di contratti a tempo determinato. Esattamente l’opposto di cosa serve ai giovani per fare un progetto di vita credibile, senza il timore di essere schiacciati dai debiti.
Povertà e crisi demografica sono intrinsecamente collegate perché avere un figlio costa. E costa sempre di più, seguendo l’andamento del mercato che negli ultimi anni ha visto un diffuso aumento dei prezzi a cui, in Italia, non è corrisposto un aumento dei salari.
Dinamiche ancora più evidenti tra i giovani, costretti a fare una “nuova gavetta” dopo il percorso universitario che già li porta a entrare nel mondo del lavoro più tardi degli altri cittadini europei.
Il risultato è tanto logico, quanto sconfortante: in Italia più sei giovane, più sei povero. Lo dimostrano ampiamente i dati Istat relativi al 2023, da cui emerge che nella penisola l’incidenza di povertà assoluta più elevata si registra per i minori di 18 anni (il 14% rispetto al 9,8% della media della popolazione, 1,3 milioni di minori), seguiti dai 18-34enni e dai 35-44enni (11,9 e 11,8%).
Non che le altre fasce della popolazione vivano nell’oro: nel 2023 sono peggiorati gli indicatori di povertà assoluta, che ha colpito il 9,8% degli individui e l’8,5% delle famiglie raggiungendo “livelli mai toccati negli ultimi 10 anni”, come certifica lo stesso Istituto nazionale di statistica.
Le retribuzioni per i giovani
Nel corso del 2022, la retribuzione lorda media annua dei giovani 15-34 anni dipendenti nel settore privato si è fermata a 15.616 euro, ben al di sotto dei 22.839 euro complessivamente rilevati nel settore.
Il rapporto ‘Giovani 2024: Bilancio di una generazione‘ mette in luce un ulteriore aspetto: un po’ come “chi fa del male” per Alessandro Manzoni, i contratti a tempo determinato fanno male due volte ai giovani. Oltre a non dare alcuna garanzia sul futuro, infatti, in molti casi non coprono neanche un intero anno e generano retribuzioni più basse: chi ha contratti stabili guadagna in media 20.431 euro, mentre quelli con contratti a termine e stagionali si fermano rispettivamente a 9.038 euro e 6.433 euro.
Sul punto, bisogna osservare che chi ha contratti di un anno o meno non giova neanche di una rivalutazione del salario, finendo spesso disoccupato dopo la scadenza del primo periodo di lavoro.
Numeri che obbligano ad una riflessione, allo stesso modo dei due under 34 italiani su tre che vivono ancora con i propri genitori, mentre in media gli europei lasciano casa a 26,4 anni.
Va un po’ meglio nel settore pubblico dove i giovani lavoratori (15-34 anni) hanno raggiunto una retribuzione lorda media annua di 23.253 euro nel 2022, una volta e mezza quella del settore privato. Tuttavia, l’inflazione ha eroso il potere d’acquisto e le retribuzioni reali hanno registrato un -1,7% nel privato e al -7,5% nel pubblico.
Il rapporto dimostra come i giovani sentano questa pressione e subiscano l’incertezza sul proprio futuro. Le preoccupazioni legate all’ingresso nel mondo del lavoro dominano infatti nelle teste dei giovani, impauriti anche da persistenti rischi di ricatti, molestie o vessazioni sul posto di lavoro (rischi percepiti dal 17,5% dei giovani).
Sostegni per i giovani
Non mancano le misure per aiutare i giovani, a partire dallo sgravio contributivo per i datori di lavoro che assumano a tempo indeterminato o trasformino un contratto da determinato a indeterminato, assumendo un under 36.
La situazione, d’altronde, è ben nota da anni ai rappresentanti politici tanto che persino quell’infelice espressione “bamboccioni” fu usata nel 2007 dall’allora ministro dell’Economia Padoa-Schioppa per annunciare un contributo per garantire affitti agevolati agli under 30. Purtroppo per i giovani e per la demografia dello stivale non si è proseguiti su quella strada, se non con sparute iniziative locali come quella promossa un anno fa dal Comune di Milano per sostenere le giovani coppie in affitto.
Demografia e povertà
Poveri nel conto in banca (per chi ce l’ha), poveri di numero, dato che il numero dei giovani italiani continua a diminuire: già nel 2021, esclusa la Bulgaria, l’Italia aveva raggiunto la più bassa incidenza nella Ue di 18-34enni sulla popolazione (17,5% contro il 19,6% della media Ue27).
E meno soldi ci sono, meno figli si fanno nella logica di un effetto domino che travolgerà soprattutto i giovani, come ha recentemente osservato Fabrizia Lapecorella (Ocse): “Questo quadro preoccupante pone a carico delle nuove generazioni l’aumento della spesa e limita la possibilità delle giovani generazioni di beneficiare dell’investimento pubblico per sostenere la rivoluzione verde e digitale e affrontare rischi futuri e incerti”.
Grida di aiuto che restano inascoltate anche a causa della crisi demografica, che mette le nuove generazioni in posizione di minoranza oggettiva con gli annessi problemi, anche di salute mentale dei giovani che si riavvicina ai livelli della pandemia.
Oltre al crescente numero di italiani under 34 che vivono con i propri genitori, il rapporto Istat dimostra che, dopo la riduzione del 2021 (causa Covid), l’indice di salute mentale è sceso ulteriormente nel 2023 (da 68,2 del 2022 a 66,5). Poveri, pochi e tristi.
Con questo scenario, i numeri della fuga dei cervelli destano meno clamore: nel 2021, quasi 18 mila giovani laureati hanno deciso di lasciare il paese, +281% rispetto al 2011! Un esodo che dipende dalla instabilità lavorativa, ancora più grave nel Sud Italia, dove la disoccupazione giovanile è tre volte superiore rispetto al Nord.
Quindi, se avessero i soldi, i giovani lascerebbero casa?
La risposta arriva dal citato rapporto ‘Giovani 2024’ ed è chiara: affrancarsi dai genitori è una delle priorità dei giovani italiani, ma serve un lavoro stabile e ben retribuito.
Il confronto con il tenore di vita e gli stipendi con gli altri Paesi europei preoccupa i giovani italiani, particolarmente tentati dal trasferirsi all’estero nonostante le agevolazioni per tornare in Italia.
Più poco ricchi, che bamboccioni. Più Luca Medici, che Padoa Schioppa.
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