Grembiuli verdi per tutti: la rivoluzione inclusiva della scuola pugliese
- 22/08/2024
- Giovani
Promuovere i valori dell’uguaglianza, della diversità e del rispetto reciproco. Un obiettivo che passa anche – non solo, ma anche – da simboli come il colore dei grembiuli nelle scuole. Niente più azzurro per i maschi e rosa per le femmine: saranno verdi per tutti. Lo ha stabilito l’Istituto Comprensivo di Salice Salentino e di Guagnano, in provincia di Lecce, con una delibera che ha fatto subito scattare la polemica.
Dall’anno scolastico 2024/2025, secondo quanto deciso dal Collegio dei docenti, il colore dei grembiuli verrà gradualmente uniformato tra bambini e bambine, cominciando per ora dai neoiscritti.
I motivi dietro la scelta del grembiule verde
È il dirigente scolastico Michele Serra a chiarire in una circolare ai genitori i motivi dietro questa scelta educativa: “Coltivare una mentalità più aperta e inclusiva, preparando cittadini e cittadine consapevoli e sensibili alle tematiche di genere, requisiti cruciali per la costruzione di una società più equa e rispettosa”.
La decisione è condivisa anche dal Comune di Guagnano da cui anzi è partita l’iniziativa, nello specifico dalla Commissione Pari Opportunità politiche di genere e diritti civili che sottolinea “l’importanza di superare gli stereotipi di genere fin dall’infanzia, promuovendo una cultura inclusiva dove ogni bambino si senta libero di esprimere la propria identità senza vincoli legati al colore”.
Come detto, il colore scelto, “dopo accurata riflessione” da parte dei docenti, è il verde, a quadretti. “Il verde, simbolo di speranza, rappresenta il desiderio che le future generazioni possano crescere in un mondo dove l’uguaglianza sia la norma, e dove ognuno possa sentirsi valorizzato e rispettato per ciò che è”, ha spiegato il Comune in una nota.
Colpo di scena: 100 anni fa il rosa era per i maschi e l’azzurro per le femmine
La decisione ha scatenato le polemiche: la tradizione infatti vuole che ai maschi spetti l’azzurro e alle femmine il rosa. Ma la realtà è che questa distinzione cromatica non è sempre esistita, anzi. Fino a inizio 1900, i colori non avevano un significato di genere così nettamente definito. Ecco perché, sottolineano teorici del femminismo e degli studi di genere (che sono cosa ben diversa dalla fantomatica ‘ideologia gender’), “il genere è una costruzione sociale“. Un’affermazione che messa così risulta un po’ tagliata con l’accetta ma che trova evidenze, almeno per quanto riguarda i colori, nella storia del costume e della moda.
Fino al XIX secolo, infatti, i bambini, indipendentemente dal loro sesso, indossavano abiti bianchi, facili da lavare e che sbiadivano meno. È solo con l’avvento della moda moderna, declinata anche per l’infanzia, che iniziarono a emergere delle differenze cromatiche. E qui c’è un colpo di scena: all’inizio del XX secolo, la convenzione era opposta a quella attuale: il rosa era considerato più adatto ai maschi, mentre l’azzurro era preferito per le femmine.
Il paradosso è che i motivi alla base di questo abbinamento erano dovuti anche all’epoca a stereotipi di genere: il rosa, una variante del rosso, veniva visto come un colore forte e deciso, quindi ‘roba da maschi’, mentre l’azzurro, associato alla Vergine Maria, era ritenuto più delicato e perciò femminile, come ‘dettava’ la rivista specializzata britannica Earnshaw’s Infants’ Department nel 1918.
Rosa-femmina e azzurro-maschio: una tradizione recente
Com’è allora che la situazione si è ribaltata? Il fenomeno avvenne a partire dagli anni ’40 del 1900, con la diffusione della cultura di massa, il baby boom e poi la crescita del consumismo negli anni ’50 e ’60. Tra i molti i fattori che contribuirono a questo capovolgimento ci sono il marketing, la moda e l’influenza delle immagini diffuse dai media. Anche la Seconda Guerra Mondiale giocò un ruolo, poiché il colore azzurro iniziò a essere sempre più associato agli uomini e ai soldati, quindi alla mascolinità.
Ma furono le industrie della moda e dei giocattoli a saldare la divisione cromatica, cominciando a sfruttare l’associazione tra colori e genere per promuovere i loro prodotti. Basta solo un nome per rendersene conto: Barbie.
Riviste, pubblicità e programmi televisivi dal canto loro consolidarono man mano questa dicotomia, rendendola un’aspettativa sociale condivisa.
In sostanza, per quanto ci piacciano le tradizioni, occorre essere consapevoli che si tratta di scelte arbitrarie e recenti, rafforzate dal marketing per motivi di lucro e dalla cultura popolare che ne hanno fatto un dogma di fede.
“Nessuno è mai uscito complessato per aver indossato un grembiule azzurro o rosa”, si legge tra le critiche al provvedimento deciso dalla scuola pugliese. Tralasciando ogni altra riflessione, verrebbe da dire che allo stesso modo nessuno crescerà complessato per un grembiule verde.
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