Pensione, dopo i 71 anni per chi inizia a lavorare oggi
- 14/12/2023
- Giovani
Pensi di goderti la pensione? Aspetta il tuo turno. Perché pare che prima dei 71 anni, chi inizia a lavorare oggi, non la vedrà.
Secondo il Rapporto ‘Pensions at a glance’ di Ocse, si tratta dell’età più alta tra i paesi analizzati, solo dopo la Danimarca. Il dato è legato all’aspettativa di vita: “Per chi entra ora nel mercato del lavoro – scrive il report – l’età pensionabile normale raggiungerebbe i 70 anni nel Paesi Bassi e Svezia, 71 anni in Estonia e Italia e anche 74 anni in Danimarca. Nel 2023, l’età pensionabile legale in Italia è di 67 anni, in forte aumento dopo le riforme attuate durante la crisi finanziaria globale. Ma l’Italia garantisce un ampio accesso al pensionamento anticipato, spesso senza una penalità”.
Al momento l’età di pensionamento si aggira intorno ai 65 anni. La media Ocse è 64,1, un dato quindi in linea o vicino agli altri Paesi. Ma per chi comincia a lavorare oggi, le cose potrebbero cambiare. A meno che le norme per l’anticipo della pensione non saranno nuovamente modificate, l’età media supererà di quattro anni la media Ocse.
In Italia
“L’Italia è uno dei nove paesi Ocse che vincolano il pensionamento legale per età alla speranza di vita – spiega l’Ocse -. In un sistema contributivo, tale collegamento non è necessario per migliorare le finanze pensionistiche, ma mira a evitare che le persone vadano in pensione troppo presto con pensioni troppo basse e per promuovere l’occupazione”.
Le possibilità di andare in pensione prima dell’età pensionabile risultano senz’altro vantaggiose. La concessione di benefici relativamente elevati a età basse nell’ambito delle quote contribuisce alla seconda più alta spesa per la pensione pubblica tra i Paesi presi in analisi (al 16,3% del Pil nel 2021).
Questo dato fa i conti con una realtà che non corrisponde alla situazione sociale, politica ed economica però. Per chi comincia a lavorare ora, intorno ai 22 anni, si prevede con l’aumento dell’aspettativa di vita che andrà in pensione a 71 anni ma che avrà un importo della pensione rispetto allo stipendio al momento del ritiro di circa l’83% a fronte del 61% medio dell’Ocse.
Nel complesso, l’aliquota media di contribuzione effettiva per le pensioni nei paesi Ocse è del 18,2% del livello salariale medio nel 2022. L’Italia ha la quota obbligatoria più alta, al 33%. Seguono la Repubblica Ceca con il 28% e la Francia con il 27,8%. “I paesi con tassi di contribuzione più elevati – si legge – spesso lo hanno fatto per prestazioni pensionistiche superiori alla media (come nel caso di Francia e Italia)”. Un livello più elevato di aliquote contributive “potrebbe danneggiare la competitività del dell’economia e una riduzione dell’occupazione totale”.
Il dato italiano più significativo è che nel 2025 la spesa per le pensioni sarà del 16,2% del Pil. Una percentuale che tra i paesi Ocse è la più alta. La media Ocse nelle previsioni per il 2025 è al 9,3% mentre per l’Ue a 27 sarà all’8,5%. Secondo le previsioni dell’Ocse la spesa in percentuale del Pil in Italia salirà fino al 17,9% nel 2035 per poi ripiegare.
Lavoro e dimissioni
Una parte del report, poi, si è concentrata su quei lavoratori che svolgono mansioni fisicamente intensive e che tendono ad avere un peggioramento della salute maggiore rispetto agli altri lavoratori.
I paesi Ocse prevedono disposizioni pensionistiche speciali per lavori pericolosi o ardui basati su approcci diversi e possono essere classificati in quattro gruppi: 15 paesi forniscono l’accesso per un gran numero di lavori considerati pericolosi o ardui; 8 paesi prevedono opzioni di prepensionamento per un numero limitato di posti di lavoro; 4 paesi coprono solo i lavori di pubblica sicurezza e protezione tradizionalmente considerati pericolosi; e 11 paesi non prevedono opzioni di prepensionamento nell’ambito delle pensioni obbligatorie per tali lavori.
La prima priorità è migliorare le condizioni di lavoro attraverso norme in materia di salute e sicurezza per limitare l’esposizione a fattori di rischio, difficoltà e rischi per la salute. Comunicare i rischi connessi al lavoro in lavori pericolosi o faticosi è essenziale per aiutare gli attori coinvolti a valutare le diverse opportunità di lavoro e chiedere di essere adeguatamente compensati. L’incapacità di svolgere un lavoro specifico fino all’età pensionabile minima applicabile a tutti i lavoratori non è sufficiente a giustificare la concessione di pensioni speciali di vecchiaia per lavori pericolosi o gravosi.
È necessario, quindi, istituire un quadro di riqualificazione e miglioramento delle competenze per fornire quelle necessarie per prolungare la carriera. Il ritiro permanente dal mercato del lavoro, talvolta in età molto precoce, è una soluzione inefficiente.
Secondo la Cisl, in Italia, le principali ragioni delle “grandi dimissioni” sono: un eccessivo stress lavoro correlato (36%), un clima aziendale tossico (34,9%), la ricerca di un miglioramento economico (29,5%) o di una migliore conciliazione tra vita e lavoro (26,2%). L’ultimo dato ha invece sottolineato una piaga tutta nazionale è l’abbandono del lavoro da parte delle donne neomamme per l’impossibilità di gestire lavoro e famiglia. Dato che deve allertare l’amministrazione attuale e futura su quella che è la necessità, invece, di implementare l’accessibilità e sostenibilità del lavoro per le donne e neomamme, la cui disparità occupazionale è ancora troppo evidente rispetto a quella maschile.
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