Il mondo del lavoro sta cambiando, e anche i giovani: aziende e università devono adeguarsi
- 22/08/2023
- Giovani
Il mondo del lavoro sta cambiando in modo sempre più veloce. Tre sono le grandi forze che trainano il fenomeno: i processi organizzativi, l’ambiente e la tecnologia. Tendenze che si riflettono anche sul capitale umano e in particolare sui giovani che studiano o che stanno approcciando i primi impieghi. Questi aspetti sono al centro di una ricerca realizzata da Randstad con Fondazione Sussidiarietà per indagare come rendere più facile l’incontro tra domanda (le imprese) e offerta (l’università) in ambito professionale, presentata in occasione di un incontro tenutosi durante il Meeting di Rimini.
Il disallineamento tra esigenze delle aziende e Università
La risposta si può sintetizzare in poche parole: occorre più dialogo. La ricerca Randstad conferma infatti il mismatching italiano tra le esigenze delle imprese e i profili formativi che escono dalle università, e quindi le competenze dei ragazzi alla fine dei loro studi. Di conseguenza rende evidente la necessità di un cambio di passo.
Mario Mezzanzanica, professore di Computer Science and Engineering presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento Lavoro Fondazione per la Sussidiarietà e coordinatore della ricerca, nel suo intervento ha sottolineato come in un mondo globalizzato, in piena transizione ecologica e nel boom dell’innovazione tecnologica, la laurea ancora apra ancora la porta alle opportunità. Il 75% dei laureati infatti, ha precisato, trova lavoro entro un anno, il 90% entro 5 anni. Tuttavia, solo il 21% dei 25-34enni è laureato, dato che ci colloca tra gli ultimi Paesi Ocse.
La ricerca ha analizzato un panel di atenei distribuiti nel Nord, nel Centro e nel Sud Italia, ha identificato i profili professionali che ne escono e li ha confrontati con le richieste del mondo del lavoro. Cinque le aree valutate: Economia e Statistica, Scienze sociali, Architettura e Ingegneria, Area scientifica, Informatica e Tecnologie.
In totale sono state identificate circa 120 professioni in uscita dagli studi che trovano riscontro negli annunci. Ciò avviene in particolare nel Nord del Paese (60-70% degli annunci), di cui il 30% in Lombardia, il 20% Veneto ed Emilia Romagna per arrivare al 5% in Campania.
Le competenze cercate dalle aziende
Le aziende dunque non trovano quello che cercano. Ma cosa cercano in particolare? Soprattutto le competenze più che le professionalità.
Dalla ricerca emerge come le competenze digitali siano sempre più pervasive in tutte le professioni, anche se con diverso peso. Soprattutto acquistano via via preminenza quelle trasversali, le cosiddette ‘Soft Skill’, che rappresentano 1 su 5 delle caratteristiche richieste negli annunci: tra esse, problem solving, autonomia, creatività, capacità relazionali. La loro crescente importanza e la necessità di inserirle nel percorso formativo sono state evidenziate anche da Marco Ceresa, group chief executive officer di Randstad in Italia, nel suo intervento. Infine ci sono le competenze legate alla specifica professione.
Un altro mismatch messo in luce dall’analisi è che le aziende cercano soprattutto laureati in Economia e Statistica e in materie scientifiche; non trovandoli ‘ripiegano’ sull’umanistico per poi fare formazione internamente per colmare il gap. Inoltre, le imprese coinvolte nella ricerca sottolineano come l’università possa diventare un valido canale per trovare lavoro (oltre al web e al più classico passaparola) attraverso la costruzione di una relazione positiva con i giovani nel tempo.
I giovani vogliono un lavoro diverso
In un mondo dove ci si sposta e si cambia molto più facilmente di prima, la necessità delle aziende è anche quella di attrarre talenti, attraverso l’attenzione al benessere declinato in diversi ambiti – fisico, mentale, economico, delle relazioni, equilibrio vita-lavoro, e nello specifico:
• contesto organizzativo
• valorizzazione e sviluppo della persona
• aspetto economico
• tipologia di contratto
• flessibilità di orario
• flessibilità di luogo
I giovani quindi non rifiutano il lavoro, ma vogliono un lavoro diverso.
Cosa si può fare
Dunque cosa si può fare?
Nel corso dell’incontro sono emersi molti suggerimenti e molti temi da affrontare.
Federico Visconti, rettore dell’Università Carlo Cattaneo – LIUC, nel suo intervento ha sottolineato un’altra grande tendenza di cui occorre tenere conto, ovvero il tema demografico: 74mila laureati esportati all’estero negli ultimi 10 anni evidenziano un fenomeno di scarsa attrattività dell’Italia, che va contrastato attraverso investimenti non solo in aule e dotazioni materiali ma anche nel patrimonio intangibile. Ovvero nel modo di fare ricerca e didattica. Ad esempio organizzando corsi pensati in collaborazione tra docenti e manager, o maggiormente orientati al lavoro e alla professione.
Dando voce alle aziende, Anna Castelli, direttrice risorse umane di Beta 80 Group, ha confermato che le imprese per reclutare talenti devono allargare il bacino di ricerca per poi costruire internamente le competenze necessarie al lavoro, ad esempio attraverso le Accademie. Alla base c’è una relazione basata sulla motivazione e su caratteristiche quali il saper prendere in carico e risolvere i problemi, la propensione all’apprendimento continuo e le capacità relazionali. In poche parole, ha evidenziato Castelli, si parte dalle Soft Skill per costruire le Hard Skill. Per attrarre e mantenere i talenti, invece, occorre agire sui desideri dei giovani e sui loro bisogni.
Giorgio De Rita, segretario generale del Censis, ha infine posto l’attenzione su una serie di aspetti di cui tenere conto per affrontare i cambiamenti in atto:
• la crisi demografica, che incide significativamente sulle dinamiche dell’occupazione: De Rita ha ricordato che l’anno scorso ci sono stati 60mila bambini in meno alle elementari, tra 3 anni saranno 100mila in meno e tra 20 anni ci sarà 1/3 di 20enni in meno rispetto ad adesso.
• l’inserimento della didattica a distanza
• il diverso ruolo della didattica rispetto alla formazione
• il fatto che i giovani di oggi sono “la miglior generazione di sempre”: girano il mondo, parlano le lingue, sono più colti
• la mancanza di una mappatura delle competenze e il mismatch domanda-offerta, che portano a paradossi: la metà tra i laureati è sottoutilizzata.
• l’incoerenza fra i processi di selezione e aiuto all’ingresso nel mondo del lavoro rispetto alla formazione che i giovani hanno avuto
• il diverso concetto di miglioramento della vita personale e collettiva dei giovani rispetto alle altre generazioni.
Dunque, ha concluso De Rita, il lavoro sta cambiando e coi vecchi schemi sarà impossibile interpretare la realtà e trovare una soluzione. Occorre cambiare paradigma.
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