Nascere in Italia è sufficiente per sentirsi italiano? Cosa ne pensano i giovani: i dati Istat
- 21/05/2024
- Giovani
L’80,3% dei giovani stranieri residenti in Italia si sente italiano, nonostante non sia riconosciuto come cittadino. Questo sentimento di appartenenza si sviluppa anche in assenza di una cittadinanza formale: lo prova, infatti, il 47% dei giovani cinesi e l’85,8% dei marocchini residenti in Italia. Il dato è emerso dall’indagine ‘Bambini e ragazzi 2023’ dell’Istat, secondo la quale la parola “cittadinanza” evoca principalmente concetti di appartenenza (29,6%), comunità (25,9%) e diritti (28,5%) tra i giovani, sia italiani che stranieri. Tuttavia, per i ragazzi italiani, “cittadinanza” fa pensare principalmente a “comunità” (30,1%), mentre per i ragazzi stranieri, è più spesso associata a “diritti” (30,2%).
Transnazionalità, appartenenze multiple e diritti. L’indagine Istat ha sottolineato quanto le leggi necessitino un adeguamento rispetto alla nuova realtà sociale; quella che da due decenni si è andata formando in un Paese, come l’Italia, il cui calo demografico non ha raggiunto picchi infinitamente bassi anche grazie all’immigrazione. E sono sempre di più coloro che hanno una doppia cittadinanza e, come riportato poco sopra, il fenomeno riguarda anche i giovanissimi.
La doppia cittadinanza
La duplice nazionalità crea un sentimento di appartenenza: in questo modo c’è chi si sente non solo italiano, ma nell’83,3% dei casi anche dell’altra cittadinanza. Il senso di appartenenza può però svilupparsi anche in assenza di una cittadinanza formale: l’80,3% dei giovanissimi stranieri residenti in Italia (con notevoli differenze tra le collettività) si sente anche italiano, sebbene non sia riconosciuto come cittadino. Per i cinesi la quota di chi si sente anche italiano supera di poco il 47%, ma si sale all’85,8% tra i marocchini e all’89,5% tra i romeni. Tra gli stranieri nati in Italia la quota di coloro che si sente italiano è, come ci si può aspettare, più alta (85,2%). La percentuale diminuisce invece tra gli immigrati quanto più alta è l’età all’arrivo in Italia, toccando il minimo del 61,7% per chi è arrivato quando aveva 11 anni o più.
Ma cosa vuol dire “cittadinanza”?
La domanda su cosa voglia dire “cittadinanza” ha dimostrato similitudini e differenze tra italiani e stranieri. Per entrambi vuol dire appartenenza (29,6%), comunità (25,9%) e diritti (28,5%). Pochi abbinano “cittadinanza” al termine “doveri” (3,7%). Le ragazze associano con più frequenza alla cittadinanza la parola “diritti”, senza che ciò alteri di fatto la graduatoria. E per quanto riguarda le differenze, è emerso che per i ragazzi italiani la parola cittadinanza fa pensare soprattutto a comunità (30,1%); per i ragazzi stranieri questa associazione è molto meno diffusa (17,4% dei casi) e la parola cittadinanza viene associata soprattutto a “diritti” (30,2% contro il 24,7% degli italiani); per entrambi – italiani e stranieri – la seconda associazione più diffusa è “cittadinanza-appartenenza” (29,7% per i primi e 29,0% per i secondi). Sembra evidente che per chi non ha la cittadinanza italiana la questione dei diritti che essa garantisce e ai quali non si ha accesso sia più sentita. Gli italiani, che hanno già la garanzia di tali diritti, valorizzano altri aspetti come il senso di comunità.
Minoranze “italiane”
Alcune nazionalità hanno una diffusione sul territorio nazionale da decenni. Non è un caso, quindi, che a farne una questione di “diritti” sono i ragazzi albanesi (36,1%) e marocchini (33,4%) appartenenti alle nazionalità che nell’ultimo decennio hanno dato luogo al maggior numero di acquisizioni di cittadinanza in Italia: queste due collettività coprono da sole il 35% delle acquisizioni di cittadinanza che si sono verificate tra il 2013 e il 2022 (oltre un milione 460mila); completamente diversa la situazione per i cinesi che non collegano “cittadinanza” a “diritti” e per i quali la parola richiama soprattutto il concetto di “appartenenza” (39,6%). Gli atteggiamenti dei ragazzi cinesi risentono del fatto che la Cina non riconosce la doppia cittadinanza e quindi, qualora acquisissero quella italiana, dovrebbero rinunciare a quella di origine.
Nascere in Italia è sufficiente?
Nascere in Italia è condizione sufficiente per acquisire la cittadinanza? Secondo il 58,9% degli intervistati, la risposta è “Sì”. Mentre per 21,7% solo dopo un periodo di residenza si può ottenere la cittadinanza. Ma è solo la cittadinanza a definire una persona “italiana” o meno? Secondo i ragazzi tra gli 11 e i 19 anni è “essere nato in Italia” a rendere un cittadino “italiano”. Per gli italiani stessi, questa scelta è più frequente: 54% contro 45,7% per gli stranieri; “rispettare le leggi e le tradizioni italiane”, con il 47,7% delle preferenze, è in generale la seconda scelta, ma risulta essere la prima per i ragazzi stranieri nati all’estero.
“Parlare la lingua italiana”, ha raccolto nell’insieme meno del 32% delle preferenze, è stata però una modalità scelta frequentemente dai ragazzi cinesi (41,4%) che probabilmente considerano la nostra lingua particolarmente difficile e per i quali può rappresentare quindi un potenziale elemento di esclusione. “Sentirsi italiano” è stato indicato invece solo dal 31% circa dei giovanissimi. I ragazzi stranieri indicano questa modalità meno frequentemente, probabilmente consapevoli che sentirsi italiani non sia sufficiente per esserlo.
“L’importanza attribuita al paese di nascita si riflette anche sul generale favore da parte dei giovanissimi per l’acquisizione di cittadinanza in base allo ius soli – spiega l’Istat -, che prevede che chi nasce in un determinato paese ne divenga immediatamente cittadino. Il 58,9% pensa che chi nasce in Italia dovrebbe subito acquisire la cittadinanza, mentre un altro 21,7% è favorevole all’acquisizione di cittadinanza per i nati in Italia solo dopo un periodo di residenza. Le ragazze sono di gran lunga più favorevoli allo ius soli con il 64,6% che sostiene l’acquisizione della cittadinanza alla nascita per i nati in Italia, contro il 53,6% dei ragazzi”. E dopo il conflitto russo-ucraino, con poco più del 50% di favorevoli, anche gli ucraini risultano più cauti verso lo ius soli. Attualmente non è prevista in Ucraina la doppia cittadinanza; era in corso di approvazione una legge che l’avrebbe introdotta, ma l’iter si è bloccato dopo lo scoppio del conflitto con la Russia.
I ragazzi con cittadinanza straniera vorrebbero diventare italiani? Il 62,3% risponde di sì, mentre il 25,6% è indeciso e il 12,1% non lo desidera. Tra i ragazzi cinesi questa intenzione interessa solo il 15% dei giovanissimi, per gli albanesi – una collettività molto incline ad acquisire in generale la cittadinanza italiana – la quota è di poco inferiore al 70%. La complessità della questione “cittadinanza” oggi si legge anche in questi dati, nell’ampia quota di indecisi tra i giovanissimi immigrati e le seconde generazioni, così come nelle sostanziali differenze tra ragazzi di diversa origine.
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