Pma meno invasiva per le over 40 con il ‘ciclo naturale modificato’
Niente più “bombe ormonali” per le donne over 40 che cercano una gravidanza con la procreazione medicalmente assistita (Pma). Una svolta concreta arriva dal “ciclo naturale modificato”, una tecnica che riduce l’intervento farmacologico, rispetta il ritmo naturale del corpo femminile e si dimostra efficace anche nelle pazienti non più giovanissime. A dimostrarlo è un imponente studio multicentrico internazionale, coordinato dal gruppo Ivi – uno dei principali player globali nella medicina della riproduzione – e presentato al 41esimo Congresso annuale della Società europea di riproduzione umana ed embriologia (Eshre 2025), a Parigi.
La nuova tecnica si propone come una valida alternativa al protocollo artificiale per la preparazione endometriale, con un approccio meno medicalizzato ma risultati analoghi. E soprattutto, con un minor tasso di aborti spontanei.
I risultati, ottenuti su un campione di oltre 16.500 donne tra i 40 e i 49 anni, con 26.039 trasferimenti singoli di blastocisti, indicano che il ciclo naturale modificato può eguagliare i protocolli ormonali standard in termini di tasso di gravidanza, ma con un impatto clinico ed emotivo sensibilmente inferiore.
Un protocollo più leggero
Nel trattamento Pma convenzionale, la preparazione dell’endometrio — ovvero il rivestimento dell’utero che deve accogliere l’embrione — avviene somministrando dosi significative di estrogeni e progesterone per settimane. Questo comporta un forte carico farmacologico che, soprattutto per le donne over 40, può rappresentare un ostacolo fisico e psicologico.
Il ciclo naturale modificato (mNC-ET) si basa su una logica opposta. L’ovulazione spontanea viene monitorata, e si interviene solo con una piccola iniezione di hCG, un ormone che serve a sincronizzare l’ovulazione. “In altre parole, si dà un segnale chiaro all’ovaio su quando rilasciare l’ovulo, proprio come farebbe l’organismo da solo”, spiega Mauro Cozzolino, direttore del Centro Ivi di Bologna e coautore dello studio. Una volta pianificato il momento giusto, viene somministrato progesterone in dosi ridotte per migliorare l’accoglienza dell’embrione.
Secondo Cozzolino, “nel ciclo artificiale la paziente assume estrogeni e progesterone per settimane, fino al terzo mese di gravidanza”. Con il ciclo naturale modificato, invece, “seguiamo quello che il corpo fa da solo, intervenendo il minimo indispensabile. Il trattamento è più leggero e più rispettoso”.
La tecnica si distingue sia dal ciclo naturale puro — dove non si interviene in alcun modo — sia dal ciclo artificiale completo, dove tutti gli ormoni necessari vengono somministrati dall’esterno. Il risultato è un equilibrio tra efficacia clinica e rispetto dei meccanismi naturali del corpo femminile.
Meno aborti e complicazioni
Se dal punto di vista dell’efficacia il ciclo naturale modificato tiene testa al protocollo classico (40,2% di probabilità di nascita contro 41%), il vero punto di forza emerso dallo studio è la riduzione del tasso di aborto spontaneo: 11,8% contro 17,4%.
“Questa riduzione potrebbe essere dovuta a una migliore qualità dell’endometrio e a una sincronizzazione più naturale con l’embrione”, ipotizza Cozzolino. Una differenza apparentemente contenuta, ma che ha conseguenze importanti per chi affronta un percorso già emotivamente complesso. “Ogni aborto evitato significa meno dolore, meno frustrazione, meno attesa. Ha un peso clinico, ma anche psicologico ed emotivo enorme”, sottolinea il medico.
L’intuizione alla base dello studio nasce da un’osservazione clinica: nelle pazienti che ovulano spontaneamente, è presente il corpo luteo, una struttura ovarica che produce sostanze fondamentali per l’inizio della gravidanza. “Abbiamo notato che le donne che ovulano naturalmente, anche durante un trattamento di fecondazione assistita, vanno incontro a meno complicazioni ostetriche, come ipertensione e preeclampsia”, afferma Cozzolino.
Partendo da questa evidenza, il team ha deciso di testare in modo sistematico un approccio che valorizzi la fisiologia del ciclo mestruale, anche in età avanzata. I numeri confermano che è possibile ottenere risultati paragonabili ai protocolli artificiali, con benefici aggiuntivi in termini di sicurezza e benessere.
Così il ciclo naturale cambia la Pma
Un altro vantaggio chiave del ciclo naturale modificato riguarda l’esperienza soggettiva della paziente. Secondo i ricercatori, molte donne lo vivono con “un maggiore senso di familiarità”, meno interventi, e un coinvolgimento meno traumatico. “Molte donne vivono il ciclo naturale modificato in modo più sereno, con meno farmaci, meno interventi e un maggiore senso di familiarità. E in un percorso come la Pma, sentirsi più in sintonia con il proprio corpo fa davvero la differenza”.
Dal punto di vista metodologico, lo studio ha tenuto conto dei principali fattori di distorsione. Sono state escluse pazienti con gravi patologie uterine o squilibri ormonali, e l’analisi statistica ha corretto variabili come età, qualità dell’embrione e caratteristiche del partner. Cozzolino conferma: “Anche dopo tutte le correzioni statistiche, non emerge alcun vantaggio significativo del ciclo artificiale”.
Questa evidenza apre la porta a un ripensamento del concetto di “trattamento ideale” nella Pma, anche per fasce d’età tradizionalmente considerate a rischio. “Questo rafforza l’idea che si possano personalizzare i trattamenti anche per le donne over 40, a condizione che abbiano un ciclo regolare”.
Ma non è solo una questione di efficacia individuale. Ridurre il ricorso a ormoni e stimolazioni pesanti può avere ripercussioni positive anche sui costi sanitari e sull’organizzazione dei servizi. “Nei centri Pma ci si concentra spesso solo sull’impianto. Ma se possiamo ridurre complicanze come preeclampsia e ipertensione, riduciamo anche accessi ospedalieri e costi sanitari. È una visione più ampia e più responsabile”.
Lo studio apre ora la strada a nuove ricerche, che valuteranno anche gli esiti ostetrici e neonatali a lungo termine.