Rischio autismo, scoperto legame con il peso materno prima della gravidanza?
- 14 Agosto 2025
- Fertilità
L’obesità della madre, anche molto tempo prima di restare incinta, può influenzare lo sviluppo del cervello del futuro figlio. Lo dimostra una ricerca dell’Università delle Hawaii, fatta su topi, che ha scoperto un meccanismo preciso: l’eccesso di peso modifica la “scrittura chimica” del dna negli ovociti, cioè le cellule che diventeranno uova fecondate. Queste modifiche, chiamate cambiamenti epigenetici, agiscono su geni importanti per il funzionamento dei neuroni, come Homer1. Nei maschi nati da ovociti con queste alterazioni, gli scienziati hanno osservato comportamenti simili a quelli dello spettro autistico: difficoltà di interazione sociale e gesti ripetitivi. La parte sorprendente è che la gravidanza non è coinvolta: il problema inizia molto prima, quando l’ovocita porta già con sé queste “istruzioni” modificate.
Un modello sperimentale che isola il fattore pre-concepimento
Per capire se il rischio nasce prima della gravidanza o nei nove mesi successivi, i ricercatori Alika K. Maunakea e Monika Ward hanno usato un metodo molto preciso. Hanno fatto ingrassare alcune femmine di topo con una dieta ricca di grassi. Poi hanno prelevato i loro ovociti, li hanno fecondati in laboratorio con spermatozoi di maschi sani e hanno trasferito gli embrioni in femmine surrogate in buona salute e con peso normale. Così hanno potuto eliminare ogni influenza dell’utero o dell’alimentazione durante la gravidanza. Il risultato: negli ovociti delle madri obese, il dna mostrava cambiamenti nelle zone che controllano il gene Homer1.
Nei maschi nati da questi ovociti, i test hanno rivelato meno socialità, meno vocalizzazioni e grooming compulsivo. Le femmine, invece, non mostravano comportamenti anomali. Questo indica che il sesso del nascituro può influenzare la sensibilità a questi cambiamenti e che il problema si origina già nel momento in cui l’ovocita viene fecondato.
Un gene chiave per la comunicazione tra neuroni
Il gene Homer1 aiuta le sinapsi, cioè i punti di contatto tra neuroni, a restare stabili e funzionanti. Ma negli animali dello studio è successa una cosa diversa: un particolare “interruttore” di questo gene, normalmente spento, si è acceso per via dei cambiamenti epigenetici. Questo ha portato a produrre di più la versione breve della proteina, chiamata Homer1a. A differenza della forma lunga, Homer1a tende a smontare temporaneamente le sinapsi. Se questo processo avviene troppo spesso o troppo a lungo, le reti di neuroni diventano meno stabili e comunicano peggio.
Nei maschi dello studio, l’eccesso di Homer1a è stato visto nella corteccia e nell’ippocampo, aree del cervello che regolano la memoria, le emozioni e le relazioni sociali. Questo spiega perché i comportamenti osservati ricordano quelli dello spettro autistico. I ricercatori hanno notato anche cambiamenti in un altro gene, Zswim6, già collegato a disturbi mentali. La combinazione di questi effetti mostra che l’obesità può “programmare” il cervello in anticipo, con modifiche che non si cancellano facilmente.
Prevenire prima di pensare a una gravidanza
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, più del 40% delle donne in età fertile nei Paesi ad alto reddito è in sovrappeso o obeso. Parallelamente, le diagnosi di disturbi dello spettro autistico sono in aumento. Finora, la prevenzione si è concentrata sulla gravidanza: controlli prenatali, raccomandazioni dietetiche per le gestanti, screening di rischio. Ma se il meccanismo individuato nei topi è valido anche per l’uomo, queste misure arrivano tardi. La finestra di intervento sarebbe il periodo precedente alla concezione, spesso anni prima.
Servirebbero programmi di salute metabolica pre-concezionale rivolti a tutta la popolazione in età riproduttiva, indipendentemente dalla pianificazione familiare. Ciò significa campagne di educazione alimentare, promozione di attività fisica, controlli periodici per peso e parametri metabolici. Gli autori ipotizzano anche lo sviluppo di interventi nutrizionali mirati o farmaci capaci di invertire le modifiche epigenetiche negli ovociti. La sfida è duplice: tradurre una scoperta molecolare complessa in raccomandazioni semplici e far comprendere a cittadini e decisori politici che la salute del futuro bambino può dipendere da scelte compiute molto prima di pensare a una gravidanza.
Lo Yanagimachi Institute for Biogenesis Research, intitolato al pioniere della fertilità Ryuzo Yanagimachi, lavora per capire come le primissime fasi dello sviluppo possano influenzare la salute di un individuo. Lo studio di Maunakea e Ward ne è un esempio: combinare biologia riproduttiva, epigenetica e neuroscienze per individuare momenti critici di intervento prima della fecondazione. In futuro, se sarà possibile prevenire o correggere l’overespressione di Homer1a nell’ovocita, la medicina pre-concezionale potrebbe diventare un nuovo pilastro della salute pubblica, con ricadute su autismo e altri disturbi neuroevolutivi.
Per ora, la lezione più importante è che il metabolismo materno può incidere direttamente sul patrimonio molecolare trasmesso al figlio, con effetti a lungo termine sul comportamento e sulle capacità cognitive. Una volta fissate, queste modifiche non si cancellano facilmente. Questo sposta il baricentro della prevenzione: non più solo “curare la gravidanza”, ma preparare l’organismo materno con anni di anticipo, trasformando la salute pre-concezionale in un obiettivo strategico per le politiche sanitarie.