Che fine ha fatto la relazione annuale sull’aborto?
- 15/11/2024
- Fertilità
“Sono 46 anni che la relazione viene presentata: la relazione sull’attuazione della legge n.194 del 1978. E mai, in 46 anni, neanche negli anni ‘80 e ‘90 si è registrato ritardo simile. Cos’è successo per giustificare questo ritardo? Come è possibile che siamo nel 2024 e abbiamo i dati del 2021?”. A porre queste domande nelle aule parlamentari italiane è la deputata del Movimento 5 Stelle Gilda Sportiello. “C’è anche un rapporto Istat che riporta i dati del 2022, cosa che non fa il Governo. È un fatto tecnico o politico? L’Oms parla di aborto sicuro e tra gli ostacoli cita anche la mancanza di informazioni e non solo quelli che ci fate mancare voi non applicando la legge 194. Non ci dite che volete applicarla, perché altrimenti l’aborto farmacologico sarebbe garantito in tutte le Regioni in modo uguale”.
Le parole della deputata Sportiello sono diventate virali sui social e hanno attirato la curiosità di tutti quei cittadini interessati all’argomento. La Relazione annuale è un obbligo di legge e la scadenza per presentarla è il mese di febbraio. Non è la prima volta che c’è un ritardo, eppure siamo quasi alla fine dell’anno e dal ministero della Salute è arrivato solo un messaggio: “Sussistono oggettive difficoltà tecniche a rispettare la scadenza”.
La domanda che si pongono in tanti, oggi, è: che fine ha fatto la relazione annuale sull’aborto?
Relazione sull’aborto: “Una richiesta di legge”
Entro il mese di febbraio di oggi anno, la legge stabilisce che il Ministero della Salute debba presentare al Parlamento la “Relazione sull’attuazione della legge n.194 del 1978”. Legge che garantisce un aborto sicuro a tutte le donne e rappresenta una tutela sociale della maternità e dell’interruzione volontaria della gravidanza. Ma della Relazione, fino ad oggi, neanche l’ombra.
I dati pubblicati negli scorsi anni sono spesso lacunosi e non offrono un quadro preciso e chiaro dell’effettiva attuazione della legge nel nostro Paese. Eppure, i 22 articoli che la compongono stabiliscono i modi, i tempi e i luoghi in cui si può ricorrere all’Ivg in Italia.
Per essere chiari: l’aborto è possibile entro i 90 giorni di gestazione per motivi di salute fisica o psichica, condizioni economiche, sociali o familiari, per previsioni di anomalie o malformazioni del concepito o per le circostanze in cui è avvenuto il concepimento. Dopo i 90 giorni l’Ivg è consentita solo nei casi in cui la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna.
L’aborto deve essere, inoltre, praticato in una struttura sicura per la gestante. Bisogna quindi rivolgersi ad un medico che alla fine dell’incontro rilascia la copia di un documento che attesta lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta di aborto. Dopo sette giorni, si può accedere all’Ivg, salvo casi di necessità per salute.
La differenza tra aborto chirurgico e farmacologico
La deputata Sportiello, proseguendo nel suo intervento, ha denunciato la mancanza di informazioni di cui, secondo lei, soffrirebbe la maggioranza, sulla differenza tra aborto chirurgico e farmacologico. E bene, per aborto chirurgico si fa riferimento all’aspirazione del contenuto intrauterino, con anestesia locale o generale, a partire dalla quattordicesima settimana.
Con il termine “farmacologico”, invece, si intende l’assunzione di mifepristone, la pillola nota con il nome RU486 e, a distanza di 48 ore, della prostaglandina. Il primo, il mifepristone “causa la cessazione della vitalità dell’embrione”, mentre l’assunzione del secondo farmaco “ne determina l’espulsione”. Questa procedura avviene entro nove settimane di età gestazionale presso le strutture ambulatoriali pubbliche collegate a ospedali, i consultori o in day hospital. In alcune Regioni italiane, dal 2025, sarà possibile assumere i farmaci direttamente dalla propria abitazione. A regolare queste norme è l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) che ha modificato le linee guida sull’impiego del medicinale nel 2020.
Negli anni il ricorso all’aborto farmacologico è aumentato, passando da essere usato nel 3,3% degli interventi nel 2010 al 45,3% nel 2021, data alla quale risalgono i dati più recenti in materia.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) afferma che il sostegno degli operatori sanitari può essere autogestito dalle donne direttamente dalle proprie abitazioni. E mentre in Regioni come l’Emilia-Romagna, questo sarà realtà dal prossimo gennaio, nelle Marche, l’aborto farmacologico è utilizzato solo nel 19,6% dei casi, a differenza di regioni come la Liguria, nella quale la percentuale, sempre secondo i dati della Relazione del 2021, la percentuale è pari al 72,5% dei casi.
La mancanza di applicazione della legge n.194 del 1978
Una delle principali motivazioni per le quali deputati dell’opposizione e associazioni o enti che si occupano della materia criticano la mancata applicazione della legge, si deve anche agli obiettori di coscienza e al fatto che il Governo non garantisce un numero sufficiente di non obiettori per ogni Regione, costringendo le donne a spostarsi di chilometri per raggiungere una struttura che garantisca il loro diritto.
Con il termine “obiettori di coscienza” ci si riferisce a quei medici o operatori sanitari che possono liberamente scegliere di non effettuare gli interventi chirurgici perché “in contrato con i propri valori personali”, al netto dei casi in cui la vita della donna possa essere messa a rischio. Come stabilisce l’articolo 9 della legge 194, però, “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti”. Alle Regioni, il compito di assicurare l’aborto, “anche attraverso la mobilità del personale”.
Nel 2021, la percentuale media nazionale di obiettori di coscienza superava il 63% tra i ginecologi, il 33% tra il personale non medico e il 40,5% tra gli anestesisti. La distribuzione sul territorio nazionale, però, cambia tra l’Italia meridionale (78,5 per cento), quella insulare (76,5 per cento), e centrale (63 per cento) o settentrionale (54,7 per cento). La Sicilia detiene il numero maggiore, con l’85%, segue l’Abruzzo con l’84% e la Puglia, con l’80,6 per cento. In contrato, la provincia autonoma di Trento ha solo il 17%, la Valle d’Aosta il 25% e l’Emilia-Romagna il 45%.
Il numero di aborti nel 2021 è stato pari a 63.653, un calo del 72,9% rispetto al 1982, quando furono 234mila.
Che fine ha fatto la Relazione sull’aborto e perché è importante?
Se l’anno scorso la relazione è stata pubblicata a metà settembre e nel 2022 a giugno, nel 2021 a fine luglio, nel 2020 ad agosto, quest’anno, non è ancora stata pervenuta, nonostante il vincolo di febbraio come data ultima per legge. Per fare chiarezza, però, anche la relazione del 2017 è stata diffusa con un ritardo di dieci mesi. La Relazione riguarda l’attuazione della legge e dei suoi effetti, come stabilito dall’articolo 16.
Il diritto ad essere informati, diritto sancito dalla stessa Costituzione, prevede con la legge sull’aborto che una donna possa essere in grado di conoscere il tasso di obiettori di coscienza nella propria Regione di residenza o domicilio; quali sono i tempi utili per accedere alla pratica, ad esempio o, ancora, in quali strutture è possibile svolgere l’aborto. La mancanza della Relazione, o le sue lacune, così come il fatto che si riferisca a due anni precedenti (quella sui dati del 2021 è stata pubblicata lo scorso anno), non la rende neanche così tanto attendibile.
Se questa relazione è di competenza del Ministero della Salute, a quello della Giustizia spetta la relazione sulle violazioni della legge n.194 del 1978 e le richieste rivolte al giudice tutelare in caso di minorenni. Quest’ultima è arrivata il 4 aprile 2024, quando Carlo Nordio, ministro della Giustizia, ha trasmesso al Parlamento i dati relativi a questa fattispecie, riferiti al 2023. Questa seconda relazione, però, fornisce solo una panoramica parziale dell’andamento dell’aborto nel Paese. Il numero delle richieste al giudice tutelare, tra il 2021 e il 2023, sono aumentate rispettivamente da 348 nel 2021 a 394 nel 2022, fino alle 415 domande nel 2023.
La risposta dal Governo
In merito al ritardo sulla presentazione della ‘Relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 194’ “sussistono oggettive difficoltà tecniche a rispettare la scadenza” prevista dalla normativa. Questo perché “la raccolta, il controllo e l’elaborazione dei dati analitici sulle interruzioni volontarie di gravidanza di tutte le Regioni e province autonome, determina un procedimento comprensibilmente lungo e delicato, che impegna a fondo l’insieme del Sistema di sorveglianza, dalle strutture periferiche a quelle centrali”. Lo ha detto il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, rispondendo nell’Aula della Camera.
“La trasmissione dei dati relativi al 2023 – ha continuato Gemmato – da parte delle Regioni e delle province autonome all’Istituto superiore di sanità e all’Istat è, infatti, ancora in corso. Una volta completata la trasmissione dei dati, gli organi centrali devono procedere alla necessaria verifica della qualità dei dati e alla integrazione delle informazioni mancanti tramite i dati provenienti dalle Schede di dimissione ospedaliera”.
Il lavoro del Terzo settore
Una panoramica sulla clandestinità alla quale molte donne ancora ricorrono è stata fornita dal Terzo Rapporto sui costi dell’aborto e i suoi effetti sulla salute delle donne, elaborato dall’Osservatorio Permanente sull’Aborto, che ha aggiornato i dati fino al 2022. Dal rapporto è emerso che il costo complessivo dell’aborto legale fino al 2022 è stato di circa 7,3 miliardi di euro, con un costo annuale di 56 milioni di euro, a cui si aggiungono 15,7 milioni per l’uso della pillola post-coitale.
Così come, il crescente uso dell’aborto farmacologico, che, “sebbene riduca il costo per singolo aborto, comporta maggiori complicazioni rispetto a quello chirurgico”. Il rapporto include inoltre una rassegna di studi che confermano un possibile legame tra aborto e cancro al seno, e confuta l’idea che l’obiezione di coscienza ostacoli il diritto all’aborto, analizzando in particolare la Regione Marche.
Infine, il rapporto sostiene che la legalizzazione dell’aborto nel 1978 non ha ridotto la mortalità femminile legata agli aborti clandestini, contrariamente a quanto previsto, e non ha eliminato l’aborto clandestino, mantenendo aperta una questione di giustizia sociale.
Dall’altro lato, invece, c’è l’Associazione Luca Coscioni che ha chiesto “Dati aperti” al Ministero della Salute: “Ci servono i dati aperti e per ogni struttura ospedaliera. Solo se i dati sono aperti sono utili e ci offrono informazione e conoscenza. Solo se i dati sono aperti hanno davvero un significato e permettono alle donne di scegliere in quale ospedale andare, sapendo prima qual è la percentuale di obiettori nella struttura scelta. I dati chiusi del ministero sono una fotografia sfocata. Ecco perché abbiamo mandato una richiesta di accesso civico generalizzato alle singole ASL e ai presidi ospedalieri chiedendo i numeri specifici per struttura. Chiedendo di aprire i dati, quei dati che dovrebbero essere già aperti”.
In merito alla richiesta di “rendere disponibili i dati sull’ interruzione volontaria di gravidanza in formato aperto” Gemmato ha fatto presente la necessità di rispettare le normative in materia di protezione dei dati personali. “In ossequio a queste disposizioni il ministero della Salute, nella Relazione al Parlamento, riporta i dati richiesti solo in forma aggregata per Regione e non per singolo presidio ospedaliero”.
Ma l’associazione ha lanciato una petizione: “A 45 anni dall’approvazione della legge 194 ancora non conosciamo lo stato della sua applicazione. Il governo non fornisce dati aperti, utili e aggiornati. L’ultima relazione del Ministro della Salute riguarda il 2021. Oggi non sappiamo come e dove si possa abortire nelle singole Regioni italiane. I metodi contraccettivi non sono conosciuti e accessibili come in altri Paesi europei. Firma per la pubblicazione di dati aperti sull’applicazione della legge sulla interruzione volontaria della gravidanza e per rendere gratuiti tutti i metodi contraccettivi”.
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