Tumori, disturbi neurologici, asma: che relazione c’è con l’endometriosi?
- 5 Agosto 2025
- Fertilità
L’endometriosi è una malattia infiammatoria cronica che colpisce circa una donna su dieci nel mondo. Nonostante l’elevata diffusione, è ancora sottodiagnosticata e spesso sottovalutata. La mancanza di biomarcatori specifici e la difficoltà a riconoscerne i sintomi — spesso sovrapponibili ad altre patologie ginecologiche e gastrointestinali — porta molte pazienti a vagare per anni da uno specialista all’altro prima di ricevere una diagnosi corretta.
Un nuovo studio condotto dai ricercatori dell’Università della California, San Francisco (Ucsf), pubblicato sulla rivista Cell Reports Medicine, ha analizzato oltre 43mila cartelle cliniche elettroniche relative a pazienti con endometriosi, utilizzando strumenti computazionali avanzati per cercare pattern ricorrenti. I dati provenivano da sei centri clinici della University of California Health System e sono stati comparati con un ampio gruppo di controllo.
Dallo studio emerge un quadro estremamente più complesso e articolato rispetto alla concezione prevalente dell’endometriosi come semplice disturbo ginecologico. I ricercatori hanno individuato oltre 600 correlazioni significative tra l’endometriosi e una vasta gamma di altre condizioni di salute, tra cui tumori, patologie autoimmuni, malattie infiammatorie intestinali, emicrania, asma e perfino disturbi oculari. Questa ampiezza di correlazioni cliniche suggerisce che l’endometriosi debba essere affrontata come una condizione sistemica e non confinata unicamente all’ambito riproduttivo.
Lo studio rappresenta un punto di svolta metodologico e concettuale: per la prima volta, l’endometriosi viene osservata attraverso il filtro della medicina dei big data, con l’obiettivo non solo di comprendere meglio la patologia, ma di trasformare radicalmente le pratiche di diagnosi e cura.
La natura multisistemica dell’endometriosi
Per troppo tempo, l’endometriosi è stata trattata come un disturbo ginecologico localizzato. I nuovi dati raccolti dai ricercatori californiani smentiscono questa visione riduttiva. Le evidenze mostrano come l’endometriosi sia associata a una varietà di condizioni cliniche che interessano numerosi sistemi corporei: immunitario, gastrointestinale, neurologico, respiratorio e perfino oftalmologico.
Alcune delle correlazioni identificate confermano ipotesi già note, come il legame tra endometriosi e infertilità, disturbi autoimmuni, reflusso gastroesofageo o emicrania. Altre, però, sono nuove e potenzialmente cruciali per la comprensione della patologia: tra queste, l’associazione con alcuni tumori, patologie respiratorie come l’asma, e malattie oculari. La coesistenza ricorrente con il morbo di Crohn e altre malattie infiammatorie intestinali suggerisce anche un potenziale coinvolgimento del microbioma o una disfunzione immunitaria di fondo.
Un’ulteriore conferma della natura sistemica arriva dal riscontro con l’intera rete sanitaria dell’Università della California: le correlazioni osservate nei dati Ucsf si sono rivelate coerenti anche negli altri centri clinici, aumentando la robustezza scientifica dei risultati. Il modello di analisi utilizzato ha permesso non solo di mappare i sintomi ma anche di raggruppare pazienti con profili clinici simili, ponendo le basi per un futuro approccio personalizzato alla diagnosi e al trattamento.
L’insieme di queste osservazioni apre la strada a una ridefinizione completa dell’endometriosi: non più un problema di tessuto endometriale fuori sede, ma una disfunzione sistemica con manifestazioni multiple e complesse, che impatta l’intero organismo.
I limiti dell’attuale standard clinico
Nonostante l’evidenza crescente e la disponibilità di dati, la gestione dell’endometriosi nella pratica clinica rimane ancorata a metodi invasivi e spesso inefficaci. La diagnosi standard si basa ancora sull’intervento chirurgico — solitamente una laparoscopia esplorativa — per individuare la presenza di tessuto endometriale al di fuori dell’utero. In assenza di marcatori biologici affidabili, le donne che convivono con sintomi compatibili sono costrette ad affrontare lunghi percorsi diagnostici, spesso minimizzati o confusi con altre condizioni.
Il trattamento è centrato principalmente su due opzioni: la soppressione ormonale del ciclo mestruale e la rimozione chirurgica del tessuto ectopico. Entrambi gli approcci presentano limiti rilevanti. Le terapie ormonali, pur efficaci nel controllo dei sintomi in alcune pazienti, possono avere effetti collaterali importanti: disturbi dell’umore, osteoporosi precoce, calo della libido e sintomi menopausali anche in donne giovani. Inoltre, una parte significativa delle pazienti non risponde a questi trattamenti.
Anche l’intervento chirurgico presenta margini di insuccesso elevati. In molti casi, la malattia tende a recidivare, e l’unica soluzione proposta è un’isterectomia, ovvero la rimozione dell’utero. Tuttavia, anche questa misura estrema non garantisce l’eliminazione del dolore, e spesso viene proposta solo in età avanzata. Il risultato è una cronicizzazione della condizione e una compromissione significativa della qualità della vita.
L’impatto dei big data nella medicina di genere
Lo studio Ucsf, mettendo in luce la coesistenza di centinaia di comorbidità, evidenzia quanto l’approccio attuale — centrato esclusivamente sull’apparato riproduttivo — sia inadeguato. Ma uno degli aspetti più innovativi della ricerca californiana è l’utilizzo di strumenti di analisi computazionale applicati alla medicina di genere. Per la prima volta, è stato possibile estrarre in modo sistematico informazioni cliniche su scala ampia, a partire da dati reali raccolti nei sistemi sanitari pubblici. Non si tratta di dati generati per scopi sperimentali, ma di informazioni prodotte nella pratica quotidiana di cura.
L’impiego di algoritmi sviluppati ad hoc ha consentito di rilevare pattern nascosti e correlazioni non evidenti tra patologie. In ambito ginecologico — storicamente trascurato dalla ricerca biomedica — questa metodologia rappresenta una rivoluzione. L’obiettivo futuro è duplice: da un lato, ridurre drasticamente i tempi di diagnosi, dall’altro, costruire percorsi terapeutici su misura per gruppi specifici di pazienti.
Uno degli esempi più interessanti emersi dallo studio riguarda l’associazione tra endometriosi ed emicrania. Questa connessione apre la strada a potenziali applicazioni terapeutiche di una classe di farmaci relativamente recente: quelli che agiscono sui peptidi correlati al gene della calcitonina, noti come CGRP (Calcitonin Gene-Related Peptide). I CGRP sono molecole prodotte dal sistema nervoso che partecipano attivamente alla trasmissione del dolore e alla dilatazione dei vasi sanguigni. Sono considerati tra i principali responsabili delle crisi emicraniche, motivo per cui negli ultimi anni sono stati sviluppati farmaci specifici per inibirli.
Alcuni di questi farmaci sono già approvati per la prevenzione e il trattamento dell’emicrania e, secondo le nuove evidenze, potrebbero rivelarsi efficaci anche nel trattamento del dolore cronico legato all’endometriosi, almeno in alcuni sottogruppi di pazienti. Si tratta di un ambito ancora in fase esplorativa, ma che conferma il potenziale della ricerca basata sui big data per individuare nuovi percorsi terapeutici.
Uno degli esempi più interessanti emersi dallo studio riguarda l’associazione tra endometriosi ed emicrania. Questa connessione apre la strada a potenziali applicazioni terapeutiche di una classe di farmaci relativamente recente: quelli che agiscono sui peptidi correlati al gene della calcitonina, noti come Cgrp (Calcitonin Gene-Related Peptide). I Cgrp sono molecole prodotte dal sistema nervoso che partecipano attivamente alla trasmissione del dolore e alla dilatazione dei vasi sanguigni. Sono considerati tra i principali responsabili delle crisi emicraniche, motivo per cui negli ultimi anni sono stati sviluppati farmaci specifici per inibirli.
Alcuni di questi farmaci sono già approvati per la prevenzione e il trattamento dell’emicrania e, secondo le nuove evidenze, potrebbero rivelarsi efficaci anche nel trattamento del dolore cronico legato all’endometriosi, almeno in alcuni sottogruppi di pazienti. Si tratta di un ambito ancora in fase esplorativa, ma che conferma il potenziale della ricerca basata sui big data per individuare nuovi percorsi terapeutici.
In termini economici, l’endometriosi rappresenta un peso rilevante per i sistemi sanitari. Secondo l’Osservatorio Malattie Rare, in Italia l’endometriosi comporta un costo medio annuo per persona di quasi 10mila euro, di cui più di 6mila derivano dalla perdita di produttività lavorativa (costi indiretti) e oltre tremila riguardano le spese sanitarie dirette. Nel complesso, l’impatto economico annuale per il paese supera i 4 miliardi di euro, con 128 milioni destinati alla spesa farmaceutica.