L’occupazione femminile è una questione di maternità, ma non solo
- 12/03/2024
- Famiglia
L’Italia si trova di fronte a una sfida demografica e lavorativa che non può essere ignorata. La bassa natalità e l’occupazione femminile sono problemi strutturali che richiedono un’analisi attenta e interventi mirati. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro non è semplicemente una questione legata alla maternità.
Confronto internazionale
Guardando oltre i confini nazionali, è evidente che paesi come Irlanda, Francia, Danimarca e Islanda hanno sia un tasso di fecondità più elevato (oltre 1,7 figli per donna) sia un’occupazione femminile superiore al 70%. In contrasto, in Italia, Grecia e Spagna, la fecondità media è inferiore a 1,5 figli per donna e l’occupazione femminile si attesta al di sotto del 65%. Nel 2021, il tasso di occupazione delle donne italiane tra i 20 e i 64 anni era del 53,2%, con un tasso di fecondità di 1,25 figli per donna, come evidenziato da Randstad Research, centro di ricerca sul lavoro promosso da Randstad.
Emilio Colombo, coordinatore del Comitato scientifico di Randstad Research, sottolinea che la maternità non è in sé un ostacolo all’occupazione. Al contrario, i paesi con un elevato tasso di occupazione femminile sono quelli con una maggiore fertilità, mentre un Paese come l’Italia, con un basso tasso di occupazione femminile, presenta anche una minore fecondità. “La spiegazione della scarsa occupazione femminile va dunque ricercata in altri fattori, dalla cultura all’inefficacia delle politiche di conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa”.
Dati regionali
L’analisi condotta da Randstad Research mette in luce anche come il tasso di fecondità sia correlato al livello di occupazione femminile nelle diverse regioni italiane. Sorprendentemente, non emerge una grande differenza nel numero medio di figli per donna tra regioni con un’occupazione femminile bassa o alta. Tuttavia, ci sono eccezioni, come la Provincia autonoma di Bolzano, dove l’occupazione femminile nel 2021 era del 68,5% e il tasso di fecondità raggiungeva 1,72 figli per donna. Al contrario, le regioni del Sud mostrano tassi molto bassi di occupazione femminile, probabilmente influenzati da fattori culturali che vedono ancora la donna principalmente dedicata alla cura della famiglia. Inoltre, le scarse opportunità offerte dal mercato del lavoro nel Meridione potrebbero spiegare perché le donne in queste regioni sono più riluttanti a cercare un’occupazione in linea con le proprie aspirazioni.
L’impatto del vivere in coppia sull’occupazione femminile
Un aspetto rivelatore emerso dallo studio condotto da Randstad Research riguarda l’influenza del vivere in coppia sull’occupazione delle donne. Sorprendentemente, sembra che l’appartenenza a una coppia, anche senza figli, possa influenzare negativamente il tasso di occupazione femminile. Mentre il tasso di occupazione delle donne single senza figli si attesta all’81%, scende al 76% per coloro che vivono in coppia, ma senza figli. Questo fenomeno, in controtendenza rispetto ad altri paesi europei, suggerisce una possibile suddivisione dei ruoli all’interno della coppia.
Secondo Emilio Colombo, questa formalizzazione di un’unione potrebbe implicare una distribuzione differenziata dei compiti domestici e familiari, con possibili ripercussioni sull’occupazione femminile. Ad esempio, analizzando i dati sull’occupazione delle donne coniugate e non coniugate, si osserva una disparità significativa in tutte le fasce d’età. Questa differenza è particolarmente evidente tra le giovani donne tra i 15 e i 24 anni, dove il tasso di occupazione delle donne coniugate è solo del 30,8%, rispetto all’87,9% delle non coniugate.
Il ruolo della paternità nella conciliazione famiglia-lavoro
Un’analisi più approfondita delle dinamiche familiari rivela anche il ruolo predominante del padre come unico lavoratore in molte famiglie italiane. Questo modello è presente in oltre 8 coppie su 10, con il padre che svolge il ruolo di unico sostentatore economico. Tuttavia, persino tra le coppie senza figli, è ancora più probabile che sia l’uomo a essere impiegato, con più di 6 su 10 di queste coppie in cui solo l’uomo lavora.
Per affrontare questa disparità e promuovere una migliore conciliazione tra lavoro e vita familiare, uno strumento chiave potrebbe essere il congedo di paternità. L’introduzione di un congedo obbligatorio di 10 giorni per i padri lavoratori dipendenti ha già mostrato un aumento nell’utilizzo di questo beneficio. Tuttavia, l’Italia rimane indietro rispetto ad altri paesi europei in termini di durata e retribuzione del congedo di paternità.
Verso soluzioni integrate
Affrontare la bassa occupazione femminile e la scarsa natalità richiede un approccio integrato che consideri sia le dimensioni culturali sia le sfide strutturali del mercato del lavoro. Politiche efficaci di conciliazione tra vita familiare e professionale, investimenti nell’istruzione e nella formazione delle donne, nonché la promozione di una cultura organizzativa più inclusiva possono contribuire a creare un ambiente favorevole alla partecipazione femminile al mercato del lavoro e alla crescita della natalità.
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