Mamma single e imprenditrice: “Sei mesi di psichiatra per smettere di essere multitasking”
- 23/02/2024
- Famiglia
Su 25 milioni di famiglie in Italia, il 10% è monogenitoriale. L’8,2% è rappresentato da mamme single. Giuditta Pasotto è una di queste. A 34 anni si è ritrovata a dover crescere due bambini da sola e, senza perdersi d’animo, ha fondato ‘GenGle’, la piattaforma online che fa incontrare genitori single con i loro figli nel mondo offline. Oggi conta più di 120 mila utenti e con la Facoltà di Sociologia di Firenze è diventato un caso studio: il “metodo GenGle”, come esempio di aggregatore sociale. Giuditta oggi però ha deciso di allentare la presa, vendendo la sua start up e scegliendo se stessa, la famiglia e un nuovo modo di concepire l’imprenditorialità femminile.
Quando hai capito di dover rallentare e smettere di essere a tutti i costi multitasking arrivando al burnout?
“Mi sentivo una maratoneta che però corre tutti i giorni. Ritmi pazzeschi, mondo lavorativo competitivo e ansia da prestazione. In quattro ore svolgevo la mole di lavoro di due giorni, portavo avanti tre progetti in contemporanea e in tutto ciò facevo la mamma senza perdermi una recita. Poi un problema familiare mi ha costretto a cambiare la mia routine giornaliera, così come i vari imprevisti: un’influenza di uno dei miei tre figli oppure una visita dal dentista ad esempio. Così ho capito che tutti gli obiettivi effimeri che mi ero posta potevano essere messi da parte. Ho venduto la società a Meeters e sono diventata Brand Manger.
Quando ho capito che la vita della start up GenGle e in generale quella delle persone con cui lavoravo proseguiva anche senza di me, mi sono messa in proprio, diventando una freelance, e ho abbandonato la corsa da maratoneta, come nella scena di ‘Forrest Gump’ quando dopo aver corso per tutti gli Stati Uniti il protagonista si ferma e dice ‘Sono un po’ stanchino’”.
Come mai eri arrivata a quel punto?
“Quando l’attività era cresciuta uscendo dai confini di Firenze e raggiungendo tutta l’Italia ero diventata una specie di ‘role model’. Venivo chiamata per fare incontri su come conciliare famiglia e lavoro, come diventare una donna imprenditrice. Per me era una missione: cambiare la vita delle persone, nel caso specifico, quella dei genitori single, rendergliela migliore. Oggi, invece, voglio trasmettere un messaggio diverso: ‘Se ne avete l’occasione, rallentate, valutate i pro e contro. Non si può essere un unicorno scalabile a tutti i costi’. Potessi parlare alla me di qualche anno fa mi sarei detta ‘Prendi le giuste misure’”.
Nell’ultimo anno, circa 44mila donne hanno dato le dimissioni motivando, per il 60%, l’abbandono del lavoro con il fatto di essere mamme e di non riuscire a conciliare la propria vita familiare, con quella professionale. Così si rischia di diventare dipendenti economicamente dai mariti o dai compagni. Tu hai mai sentito il peso del pregiudizio: “Come farà a mantenere i suoi figli…”?
“Direttori di banche si rivolgevano ai miei collaboratori, magari più giovani di me, solo perché uomini. Si chiedevano: perché dovrei investire sulle sue idee se in quanto mamma potrebbe concentrarsi sui suoi tre figli piuttosto che sui nostri interessi? Il peso lo senti addosso, in quanto donna, nei confronti della tua famiglia e delle tue aspirazioni.
Fare la mamma single con figli piccoli, all’epoca 4 e 2 anni, non è facile. Se avessi fatto la commessa, per dire un lavoro che richiede la presenza fisica in un negozio, non me lo sarei potuto permettere. Così ho cercato e creato il mio personale smart working. GenGle nasce proprio dalla volontà di gestire gli imprevisti. Rischiare di perdere il lavoro non era ammesso. Perciò una soluzione ibrida aiuta.
Oggi mi occupo di consulenza nell’ambito delle comunicazioni e delle start up. Anche qui, mi ero imposta un limite di clienti e ogni tanto devo richiamarmi all’ordine, quando supero le mie possibilità e limiti, fisici e mentali. Saper rinunciare è l’insegnamento che porto da quest’esperienza di vita”.
Cosa consiglieresti alle donne che si ritrovano in una condizione di dipendenza economica da parte del compagno o marito e che non hanno il coraggio o la forza di prendere in mano la propria vita “annientandosi” professionalmente per il bene dei propri figli? O, al contrario, che non sono in grado di rinunciare a qualcosa e rischiare di perdere il controllo su tutto?
Ho tre consigli:
- Accettare le fasi e concordarle con se stessi: ci sono fasi in cui si ha un bambino neonato e si è costretti a stare in “stand by”, accettalo. Pensare ‘Oggi vado a lavoro e do le dimissioni perché ho avuto un figlio’ equivale a rinunciare ai valori minimi: mantenersi e realizzarsi. Pensare, invece, che può essere un periodo e poi rimettersi in gioco è la vera sfida.
- Accettare di non fare a tutti i costi quello che aspiriamo. Quando ho venduto la start up ho avuto un mese di paura: 43 anni, 3 figli, chi mi assumerà adesso? Poi però ho sentito un senso di calma e tranquillità quando ho fatto i conti e ho accettato un downgrade. Ho imparato a trovare lì i miei punti di forza e li ho fatti miei, trasformando il mio background in un’opportunità.
- Capire bene l’obiettivo. Spesso sono i soldi. Sarebbe utile fare sempre una prima analisi: “Quanto mi serve per vivere e come faccio?”. Quando si è con l’acqua alla gola bisognerebbe dire alla propria testa di fermarsi, prendere un pezzo di carta e fare una vera analisi. Essere come un criceto sulla ruota ha senso? Chi rincorri? Perciò consiglio di crearsi dei tempi di libertà per pensare e riflettere, cambiare le proprie prospettive.
Una domanda che non ti ho fatto ma che avresti voluto?
“Forse se è possibile uscirne da soli e la risposta è no. Non aver mai paura di chiedere aiuto. Io mi sono affidata a professionisti, come uno psicologo e uno psichiatra. Ero arrivata ad odiarmi, ero diventata l’equivalente dello stereotipo taglia 40, vitino 60, ma del mondo del lavoro. Avevo dimenticato che un bel film da raccontare ha mesi e mesi di riprese, un backstage, che ci si fa il cu*o per raggiungere dei traguardi e anche quello merita di essere raccontato”.
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