Legge 104, dal 2026 più tutele e permessi (ma non per tutti)
Dal 1° gennaio 2026 la legge 104 (normativa quadro del 1992 che disciplina l’assistenza e i diritti delle persone con disabilità e di chi se ne prende cura) entrerà in una nuova fase. Con la norma 106/2025, pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso luglio, cambiano in modo significativo le regole su permessi e congedi per i lavoratori che convivono con patologie oncologiche, croniche o invalidanti. Arrivano dieci ore aggiuntive all’anno di permesso retribuito per visite e cure, viene introdotto un congedo straordinario fino a ventiquattro mesi e si semplificano le procedure di certificazione.
Non è però una riforma universale: i nuovi strumenti non valgono per tutti. Il legislatore ha tracciato confini chiari, includendo solo alcune categorie e lasciandone altre fuori. Un passo avanti, ma selettivo, che segna un confine netto tra chi avrà più diritti e chi dovrà continuare a fare i conti con i limiti di sempre.
Dieci ore all’anno in più: a chi spettano e a chi no
Dal 2026 chi è affetto da malattie oncologiche in fase attiva o in follow-up precoce, oppure da malattie croniche e invalidanti con invalidità pari o superiore al 74%, potrà usufruire di dieci ore annue di permesso retribuito in più. Queste ore si aggiungono ai tre giorni mensili già previsti dalla legge 104 e possono essere utilizzate solo per esami clinici, analisi di laboratorio, visite specialistiche e cure mediche frequenti. Per attivarle è obbligatoria la prescrizione del medico curante o di uno specialista che segua il paziente.
La misura riguarda anche i genitori con figli minori che si trovano nelle stesse condizioni cliniche. Qui si ferma la platea. Non ne beneficiano, ad esempio, i figli adulti che assistono un genitore anziano malato di tumore, né i coniugi che si prendono cura di un partner con invalidità grave. Per queste categorie, l’unico riferimento restano i tre giorni mensili già previsti dalla 104. Esemplificando: un lavoratore con diagnosi oncologica e invalidità al 78% avrà diritto alle ore extra; una dipendente con patologia cronica ma invalidità riconosciuta al 60% ne resterà esclusa; un genitore con un bambino malato oncologico potrà beneficiarne, un figlio adulto che assiste il padre anziano malato no.
Il meccanismo di erogazione resta quello tradizionale: nel settore privato il datore anticipa l’indennità, che poi recupera tramite conguaglio con l’INPS; nel pubblico l’erogazione è diretta da parte dell’amministrazione. Per chi rientra nei requisiti, le dieci ore rappresentano un margine reale: non dover più consumare ferie o permessi non retribuiti per potersi curare. Ma il limite resta evidente: non si tratta di una misura estesa a tutti i caregiver, bensì di una tutela mirata a una platea ristretta.
Congedo straordinario fino a 24 mesi, ma senza retribuzione
La seconda novità introdotta dalla legge 106/2025 è il congedo straordinario fino a ventiquattro mesi complessivi, da utilizzare in forma continuativa o frazionata. È un congedo non retribuito, durante il quale il lavoratore mantiene il posto ma non riceve stipendio né maturazione di anzianità o contributi. L’unica possibilità per non compromettere la futura pensione è riscattare il periodo tramite contributi volontari.
Il congedo può essere chiesto solo da lavoratori con invalidità pari o superiore al 74%, affetti da malattie oncologiche o invalidanti, e solo dopo aver esaurito tutti gli altri periodi di assenza giustificata previsti dal contratto. Per i lavoratori autonomi con rapporti continuativi la norma prevede la sospensione della prestazione fino a trecento giorni all’anno, contro i centocinquanta previsti finora. Anche in questo caso, nessuna indennità economica, ma la garanzia di non perdere il rapporto con il committente.
Esempi concreti aiutano a capire la portata: una lavoratrice con invalidità riconosciuta all’80% potrà chiedere fino a due anni di congedo, ma dovrà rinunciare alla retribuzione. Un impiegato con invalidità al 40% resterà escluso. Un genitore che assiste il figlio minore con malattia oncologica potrà usufruirne, ma un figlio adulto che accudisce il padre disabile dovrà accontentarsi degli strumenti già esistenti. Il congedo straordinario evita licenziamenti per superamento del “periodo di comporto”, ma non elimina le difficoltà economiche di chi si trova senza reddito per lunghi periodi.
Smart working come diritto “prioritario”
Tra le novità meno evidenziate ma cruciali c’è la priorità di accesso allo smart working. Chi usufruisce del congedo straordinario, una volta rientrato, potrà chiedere di svolgere la propria attività da remoto in via prioritaria, se compatibile con la mansione. Non si tratta di un diritto assoluto: la decisione finale resta al datore di lavoro, che può opporsi per esigenze organizzative.
La norma recepisce un principio già presente nel lavoro agile, rafforzandolo per chi ha vissuto periodi di assenza lunghi legati alla malattia. Un segnale politico chiaro, che va nella direzione di rendere la flessibilità lavorativa uno strumento di inclusione. Ma l’efficacia dipenderà dall’applicazione concreta: senza vincoli stringenti per le aziende, il rischio è che il diritto resti sulla carta.
Per un lavoratore in trattamento oncologico la possibilità di lavorare da casa può significare continuità professionale e minore stress. Per un genitore che assiste un figlio disabile, smart working può voler dire organizzare visite e terapie senza rinunciare al lavoro.
Il confine tra chi assiste e chi è assistito
Uno dei limiti più evidenti della riforma riguarda i caregiver. Coniugi, figli maggiorenni e fratelli che assistono un familiare con disabilità grave non beneficeranno delle dieci ore aggiuntive. Continueranno ad avere diritto solo ai tre giorni mensili previsti dalla 104 e, nei casi più gravi, al congedo straordinario biennale. L’unica eccezione resta quella dei genitori di minori malati, inclusi nelle nuove misure.
Le conseguenze pratiche sono rilevanti. Una moglie che assiste il marito affetto da una malattia cronica non vedrà riconosciuto alcun tempo in più. Un figlio che si prende cura di una madre ottantenne con invalidità grave continuerà ad avere a disposizione solo i tre giorni al mese, senza le ore extra. Questo lascia fuori una fetta consistente di famiglie italiane, che sostengono gran parte del lavoro di cura informale.
Sul piano procedurale, però, qualcosa cambia. Con il decreto legislativo 62/2024 è stata introdotta la valutazione multidimensionale e il progetto di vita personalizzato, strumenti che puntano a rendere più rapida e uniforme la certificazione della disabilità. La trasmissione telematica delle certificazioni attraverso il sistema Tessera Sanitaria dovrebbe ridurre tempi e burocrazia. Ma si tratta di miglioramenti sul piano delle procedure: sul piano sostanziale, i caregiver adulti non vedono ampliato il perimetro dei loro diritti.
Autonomi dentro, ma solo a metà
Un’altra novità riguarda i lavoratori autonomi con rapporti continuativi. Per la prima volta avranno diritto a sospendere l’attività fino a trecento giorni all’anno in caso di malattie oncologiche o invalidanti, contro i centocinquanta previsti in precedenza. Durante la sospensione non percepiranno alcun compenso, ma potranno riprendere il rapporto senza doverlo ricostruire da zero.
La misura non copre tutti gli autonomi: chi lavora con prestazioni discontinue o saltuarie resta fuori. Non c’è equiparazione con i dipendenti, che hanno comunque tutele retribuite. Per gli autonomi si tratta più di una protezione “conservativa” che di un vero diritto economico.
Il segnale politico però è chiaro: la malattia non può diventare motivo di esclusione dal lavoro, neppure fuori dal perimetro del lavoro dipendente. La riforma si ispira al “social model of disability”, che individua nella società e nelle barriere organizzative le vere cause di esclusione. Il riconoscimento agli autonomi va letto in questa chiave: non un allineamento totale, ma un primo passo verso una maggiore equità.
Cosa resta da chiarire
Le prime valutazioni dei sindacati non si sono fatte attendere. In un commento dello scorso 5 agosto, Cgil e Inca hanno definito la legge “un provvedimento utile ma limitato”. La critica principale riguarda la soglia del 74% di invalidità, considerata troppo alta e discriminante: molti malati oncologici con percentuali più basse restano esclusi. Le dieci ore annue aggiuntive sono giudicate un supporto concreto ma insufficiente rispetto ai tempi reali delle terapie.
Sul fronte del congedo straordinario i rilievi non mancano: positiva la garanzia di conservazione del posto, ma pesa l’assenza di copertura figurativa dei contributi e la mancata maturazione dell’anzianità di servizio. Anche lo smart working, pur riconosciuto come “priorità”, resta una facoltà condizionata alle esigenze del datore di lavoro, più una possibilità che un diritto.
Criticità sono state segnalate anche da altre sigle: Uilpa ha sottolineato l’importanza del passo avanti, ma ha evidenziato la mancanza di istruzioni chiare sulle modalità di richiesta dei congedi, con il rischio di interpretazioni difformi tra pubblico e privato. Dal mondo giuridico, l’avvocata Lilla Laperuta, esperta di Diritto del lavoro e contratti pubblici, ha richiamato il “bilanciamento” tra interesse del datore e tutela del lavoratore, sottolineando come la 106/2025 istituzionalizzi misure di rilievo ma con un perimetro ben delimitato.
Il finanziamento previsto – 20,9 milioni di euro per il 2026, in crescita fino a 25,2 milioni annui dal 2035 – mostra la volontà di rendere la misura strutturale. Ma resta il punto centrale: la legge 106/2025 non allarga i diritti a tutti.