La sfida della crisi demografica e le politiche familiari per il futuro
- 22/06/2023
- Famiglia
L’Italia è da tempo afflitta da una crisi demografica persistente, caratterizzata da un forte deficit nella capacità di garantire un adeguato ricambio generazionale nella popolazione e, di conseguenza, nei processi sociali e produttivi. La fecondità italiana è crollata dai valori superiori a due figli in media per donna, che rappresentano la soglia di rimpiazzo tra le generazioni, a metà degli anni Settanta del secolo scorso, fino a scendere a meno di 1,5 figli prima della metà degli anni Ottanta, senza più riprendersi. Questa situazione ha alterato profondamente la struttura per età della popolazione, creando uno sbilanciamento sempre maggiore verso le fasce più giovani.
Nella prima metà degli anni Novanta, l’Italia è diventata il primo Paese al mondo in cui la popolazione inferiore ai 15 anni è scesa al di sotto di quella delle persone di 65 anni e oltre. Successivamente, l’Italia è diventata il Paese con la più bassa incidenza di persone sotto i 35 anni in Europa, entrando in una fase di notevole riduzione delle coorti che entrano nell’età lavorativa e riproduttiva rispetto alle altre economie avanzate.
Queste dinamiche hanno portato all’esaurimento della capacità di crescita della popolazione italiana, che dal 2014 è entrata in una fase di declino con un saldo naturale negativo che non viene più compensato neanche dall’immigrazione.
La crisi demografica come una delle principali debolezze strutturali italiane
Nelle considerazioni finali presentate il 31 maggio con la pubblicazione della Relazione annuale sul 2022, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha indicato la crisi demografica come una delle principali debolezze strutturali del Paese. In particolare, ha sottolineato come l’immigrazione rappresenti uno dei principali fattori per mitigare la riduzione della forza lavoro potenziale causata dalla persistente bassa natalità. Nonostante l’immigrazione possa svolgere un ruolo significativo nel rispondere agli squilibri demografici e alle esigenze delle imprese in molti settori, se il tasso di natalità continua a diminuire, gli ingressi migratori saranno sempre più insufficienti per colmare i crescenti squilibri strutturali tra la popolazione anziana e quella in età lavorativa.
Pertanto, non è sufficiente affrontare la sfida demografica cercando di gestire gli squilibri attraverso l’aumento dell’età pensionabile e l’aumento dell’immigrazione. È cruciale intervenire contemporaneamente sulle cause profonde della crisi demografica.
Il numero desiderato di figli in Italia si attesta intorno a due
I dati, infatti, sono eloquenti. Nel 2010, il numero medio di figli per donna in Italia era di 1,44, il che ha consentito di registrare 562.000 nascite. Secondo le previsioni più recenti dell’Istat, lo scenario mediano prevede un aumento del tasso di fecondità che consentirebbe di raggiungere 1,44 figli nel 2039, ma corrisponderebbe solo a un totale di appena 424.000 nascite. Quindi, a parità di numero medio di figli per donna, ci troveremmo con circa 140.000 nascite in meno. L’unico percorso che evita gli squilibri autoalimentati è quello rappresentato dallo scenario più ottimistico delle previsioni dell’Istat. Con tale percorso si potrebbe raggiungere circa 1,7 figli per donna nel 2039, riportando il numero di nascite intorno al mezzo milione.
Date le basse cifre di partenza e la struttura per età particolarmente compromessa, diventa necessario avvicinarsi ai Paesi europei con una maggiore fecondità. I margini ci sono: come dimostrano diverse ricerche internazionali e le indagini dell’Istat, il numero desiderato di figli in Italia si attesta intorno a due. Ciò che altre economie avanzate che crescono in modo più solido del nostro hanno compreso è che le politiche familiari devono essere considerate parte integrante delle politiche di sviluppo, strettamente connesse all’occupazione giovanile, alla partecipazione femminile al mercato del lavoro e allo sviluppo umano dall’infanzia fino a tutte le fasi della vita.
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