Bankitalia e la parità di genere: “Progressi troppo lenti”
- 22/06/2023
- Welfare
Quando si parla di parità di genere si ragiona spesso in termini di obiettivi e di buoni propositi. Bankitalia, e nello specifico la vicedirettrice generale Alessandra Perrazzelli, lo fa ponendo anche l’accento sui risultati finora raggiunti. Il tema è che i numeri e le tendenze positive vanno lette con attenzione. Gli obiettivi e i buoni propositi sono largamente condivisi. “Promuovere la parità di genere vuol dire innanzitutto sostenere l’uguaglianza, evitare casi di discriminazione e porre rimedio ai fallimenti di un mercato che fatica a sviluppare e ad allocare in modo efficiente le capacità professionali, in particolare quelli femminili”, è la premessa che serve per indirizzare correttamente il suo indirizzo di saluto al convegno ‘Le donne, il lavoro e la crescita economica’ e arrivare alla conclusione che “la direzione verso cui si sta andando è quella giusta, ma i progressi sono troppi lenti e ampiamente incompleti”.
I numeri
La tendenza positiva del tasso di partecipazione nel 2012 in Italia il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro era pari al 53,2 per cento, 20 punti inferiore rispetto a quello maschile; nei dieci anni successivi il tasso di attività femminile è aumentato di 3,3 punti, il doppio di quello degli uomini, e nel primo trimestre del 2023 ha raggiunto il livello più alto dall’inizio delle serie storiche, il 57,3 per cento. Questa tendenza positiva va inquadrata nel complessivo miglioramento della qualità del capitale umano. Già da almeno un paio di decenni le donne sono circa il 56 per cento dei laureati ogni anno. Nel 2022 le laureate in discipline scientifiche e tecnologiche sono state circa il 20 per cento in più rispetto al 2012. Un ulteriore tangibile risultato positivo riguarda la presenza femminile negli organi di amministrazione delle società quotate, pari a circa il 43 per cento nel 2022 a fronte del 7,4 per cento nel 2011: tale aumento è principalmente attribuibile all’attuazione della legge Golfo-Mosca”.
I progressi insufficienti
In questo scenario, ha avvertito Perrazzelli, “nonostante queste tendenze positive i progressi registrati durante lo scorso decennio sono del tutto insufficienti: il tasso di partecipazione femminile – ha spiegato – si colloca ancora su un livello particolarmente basso nel confronto europeo, inferiore di quasi 13 punti percentuali rispetto alla media Ue. È ancora al di sotto di quel 60 per cento che era stato indicato come obiettivo da raggiungere entro il 2010 dall’Agenda di Lisbona e dei traguardi impliciti nell’Agenda Europa 2020 che avrebbero comportato per l’Italia un sostanziale allineamento della partecipazione femminile alla media europea. Altri paesi, come ad esempio la Spagna, che negli anni Novanta partivano da condizioni simili a quelle dell’Italia, hanno fatto registrare tendenze significativamente migliori”. La crescita della partecipazione femminile osservata durante lo scorso decennio, ha quindi continuato Perrazzelli, “è stata trainata dalle donne con almeno 50 anni, anche per effetto delle riforme pensionistiche. Tra le più giovani, di età compresa tra i 25 e i 34 anni, la fase della vita nella quale si terminano gli studi, si inizia a lavorare e si gettano le basi per costruire una famiglia, la partecipazione è rimasta stabile a circa il 66 per cento, anche in questo caso uno dei valori più bassi in Europa. Non ne ha beneficiato la natalità, che nelle economie avanzate tende ad essere positivamente correlata con la partecipazione femminile al mercato del lavoro”.
Il mercato del lavoro
I divari di genere nel mercato del lavoro italiano, sebbene inferiori rispetto al passato, continuano a collocare il nostro Paese in una posizione arretrata nel confronto con le altre principali economie europee. E’ quanto si legge nel rapporto redatto dalla Banca d’Italia sul tema, che illustra i principali risultati del progetto ‘Le donne, il lavoro e la crescita economica’ avviato nel 2020. Nel 2022 il tasso di occupazione femminile nella fascia 15-64 (al 51,1%) era inferiore di 18 punti percentuali rispetto a quello degli uomini; il divario di genere si attestava come il secondo più elevato tra i paesi dell’Ue. Le donne occupate, inoltre, hanno più di frequente impieghi di tipo temporaneo (18% delle donne occupate alle dipendenze, 16 per gli uomini) e part-time (31,7% delle lavoratrici, 7,7 dei lavoratori). Il part-time non è sempre una scelta delle donne: una lavoratrice a tempo parziale su due sarebbe disponibile a lavorare a tempo pieno (la quota più elevata osservata tra i paesi dell’Unione europea).
Il gender pay gap
Inoltre, emerge dal rapporto, le donne percepiscono mediamente retribuzioni orarie più basse (dell’11%). Questo differenziale è già ampio all’ingresso nel mercato del lavoro (16% tra i diplomati, il 13% tra i laureati). I divari si accentuano con la maternità: rispetto alle donne senza figli, nei due anni successivi alla nascita del primo figlio le madri occupate hanno una probabilità quasi doppia di non avere più un impiego e, a quindici anni dal parto, le loro retribuzioni medie sono circa la metà (considerando le madri che continuano a lavorare). Il differenziale retributivo si amplia ulteriormente più avanti nella carriera ed è maggiore tra i lavoratori con redditi più elevati (tra i dipendenti del settore privato, a 64 anni di età la differenza tra l’ultimo decile della distribuzione del salario unitario di uomini e donne è quasi il 30 per cento; per il primo decile è meno del 10). La minore quantità di lavoro femminile si traduce in redditi annui mediamente inferiori a quelli degli uomini, esponendo le famiglie italiane ad un maggiore rischio di povertà e a più elevati livelli di disuguaglianza rispetto alle altre principali economie dell’area dell’euro.
L’origine delle differenze
Nel rapporto la Banca d’Italia identifica tre principali momenti da cui queste differenze hanno origine. Innanzitutto, la scelta dei percorsi scolastici e la transizione scuola-lavoro: le ragazze tendono a prediligere indirizzi di studio associati a rendimenti inferiori nel mercato del lavoro, sia in termini di retribuzione sia di possibilità di impiego. Poi la conciliazione tra vita lavorativa e familiare, soprattutto alla nascita dei figli: la maternità è un evento che spinge ancora oggi molte madri ad abbandonare il proprio posto di lavoro o a ridurre drasticamente le ore lavorate, anche a causa di un sistema di trasferimenti e di politiche di conciliazione che possono scoraggiare la partecipazione femminile. Infine, terzo momento, quello della progressione di carriera più lenta e la sotto-rappresentazione nelle posizioni di vertice che derivano principalmente da scelte professionali meno premianti. Le donne scelgono più spesso di lavorare in imprese che offrono livelli retributivi inferiori, valutando anche altri aspetti del posto di lavoro (vicinanza al luogo di residenza, flessibilità dell’orario). Anche quando sono occupati nella stessa impresa, le donne hanno una minore probabilità di ricevere una promozione rispetto agli uomini.
Le conclusioni
“La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un freno per le prospettive di crescita dell’economia italiana, soprattutto alla luce di tendenze demografiche particolarmente negative che comporteranno una drastica riduzione della popolazione in età lavorativa nei prossimi decenni. Un aumento della partecipazione delle donne potrebbe attenuare tali prospettive in modo significativo”, evidenzia Bankitalia nel suo rapporto.
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