Il caso Giappone, niente festività per i papà
Paese che vai, festività che trovi. In Giappone, ad esempio, 16 festività (shukujitsu) non includono quelle relative ai ruoli genitoriali, ma solo una in particolare tiene conto della mamma e non del papà. Perché? Il Paese ha la fama di non avere una parità genitoriale nella cura dei figli. Fattore, questo, comune anche in Italia fino a qualche anno fa. Ma come si può invertire il trend e creare una maggiore equità nei ruoli di cura?
“Grati alle madri”
È da poco trascorsa la Festa del Papà in Giappone e il Japan Times, tra i principali quotidiani giapponesi in lingua inglese, ha scritto in merito: “Mentre queste festività “non ufficiali” sono importazioni straniere spesso mascherate da strategie di marketing abilmente camuffate per vendere cioccolatini, fiori e altri regali, gli shukujitsu sono stabiliti da una legge promulgata nel 1948. Tra i 16, quelli che riguardano la famiglia sono il Giorno del rispetto per gli anziani, il terzo lunedì di settembre, e il Giorno dei bambini, il 5 maggio. Mentre il primo è autoesplicativo, il secondo include una formulazione che riflette una forte fissazione sui ruoli di genere”.
L’articolo 2 della legge sulle festività pubbliche, infatti, stabilisce che la giornata dei bambini è un’occasione per i giapponesi di “rispettare la personalità dei bambini e impegnarsi per il loro benessere – ma soprattutto – essere grati alle loro madri“. Madri! E i papà?
La denatalità giapponese: anche una questione di parità di genere
L’aumento della denatalità in Giappone passa anche attraverso uno stereotipo molto radicato nel Paese. E cioè che gli uomini abbiano il compito di lavorare, mentre alle donne spetti il ruolo di cura della casa e della famiglia. Un sondaggio del National Center for Child Health and Developmemnt ha riscontrato che il 95,6% dei padri e partner maschili intervistati sosteneva fosse naturale per le coppie dividere equamente questi i doveri domestici e la gestione dei figli.
Sempre secondo il sondaggio, il 49,7% ha dichiarato che manca un sistema e un ambiente che rendano facile per i padri crescere i propri figli, mentre il 33,1% ha affermato che, nonostante facciano del loro meglio nelle faccende domestiche e nella cura dei bambini, non ricevono alcun riconoscimento.
All’inizio di giugno, il ministero della Salute ha pubblicato le sue ultime statistiche sul tasso di fertilità totale del Giappone. Si tratta del numero medio di nascite per donna durante i suoi anni fertili. La cifra è scivolata per l’ottavo anno consecutivo, raggiungendo un minimo storico pari a 1,20 nel 2023. Nel frattempo, anche il numero di matrimoni ogni 1.000 persone è sceso a 3,9 lo scorso anno, mentre l’età media delle madri che danno alla luce il loro primo figlio è salita a 31,0, rispetto ai 27,5 del 1995.
Numeri che si scontrano, però, con la volontà degli uomini di riprendersi il ruolo che desiderano: (anche) a casa con i propri figli.
E in Europa?
La divisione dei lavori domestici e la parità di genere professionale non sono problemi solo del Giappone. Lo stesso vale anche per molti Paesi d’Europa e per l’Italia stessa in primis. Le statistiche dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere riportano che circa il 91% delle donne con figli dedica almeno un’ora al giorno ai lavori domestici, mentre la percentuale scende al 30% tra gli uomini con figli.
L’Eige ha rilevato anche che le donne con un’occupazione altamente qualificata tendono a cercare più spesso aiuti esterni per le faccende domestiche, a differenza degli uomini che, a parità di qualifiche e titoli di studio, sembrano più restii. Qualcosa però si sta “muovendo”. Nell’ultimo decennio, Francia, Lussemburgo, Italia, Germania e Spagna hanno registrato un netto aumento della parità nei ruoli e nella cura della casa e della famiglia.
In Italia, ad esempio, è pari a 24,9 il divario, in punti percentuali, tra la quota di donne 25-49 che dedicano oltre 50 ore alla settimana alla cura dei figli (32,1%) e i coetanei uomini (7,2%). E a seguito della maternità, nel nostro Paese, è una donna su cinque a dover lasciare il mercato del lavoro per problemi di inconciliabilità tra i ruoli.
La maternità influenza il tasso di occupazione e l’Italia, in merito, ha una media molto più bassa degli altri Paesi Ue: 62,6% a fronte del 76,2% europeo nel 2022. Divari che permangono all’aumentare del numero dei figli.
“Super papà” vs “Equilibriste”
Sono state denominate “Equilibriste” da Save The Children, ma dei “super papà” neanche l’ombra. Avere un figlio cambia la vita, indipendentemente dal genere del genitore. Ma quando si parla delle mamme sembra sempre che ciò sia più impattante. La disparità di genere professionale e nella cura della casa e famiglia, quindi, si è aggiudicata negli anni il podio tra le cause della denatalità crescente in molti Paesi. Disparità di genere che non conviene neppure all’economica e al Pil: l’Ocse ci dice che colmare il gender gap sul piano occupazionale potrebbe aumentare il Pil di circa il 10% entro due decenni o poco più.
L’Ue, per coinvolgere i papà, ha lanciato un progetto che prende il nome di “4E-parent”. L’obiettivo è quello di rendere più partecipi i padri nella gestione della famiglia e nel supporto alla partner. Promuovere, inoltre, una mascolinità accudente attraverso il coinvolgimento concreto dei papà fin dalla gravidanza. La letteratura scientifica sostiene da tempo che il coinvolgimento da subito, pratico ed empatico del padre nella genitorialità ha numerosi esiti positivi sui piani psicofisico e sociale:
• Migliora lo sviluppo cognitivo, sociale e affettivo dei bambini e delle bambine
• Crea fin dall’inizio un forte legame affettivo fra padre e i figli e le figlie
• Migliora la salute psico-fisica dei bambini e delle bambine così come della madre
• Diminuisce i rischi durante la gravidanza e il parto
• Facilita l’allattamento
• Diminuisce le probabilità di violenza domestica
• Contribuisce alla parità fra uomini e donne, anche nella condivisione della cura.
“Le azioni del progetto intendono promuovere una genitorialità equa e responsabile di tutti i genitori, compresi quelli dello stesso sesso, lavorando alla decostruzione degli stereotipi di genere che rendono difficile lo sviluppo di una mascolinità accudente e di una genitorialità ampia e soddisfacente per tutte le componenti della famiglia”.
E tornando al Giappone, alcuni passi per promuovere una maggiore parità di genere sono altrettanto in atto. Il primo ministro Fumio Kishida ha promesso di favorire un aumento della percentuale di donne dirigenti nelle grandi aziende, dall’11,4% al 30% o più, entro il 2030. Mentre, contro la denatalità, ci sono progetti che vanno all’Ai con app governative per aumentare le possibilità di incontri tra le persone, sino a incentivi economici a favore delle famiglie con figli.
Nel Global Gender Report del World Economic Health del 2024, il Giappone si è classificato al 118esimo su 146 Paesi nella classifica del divario di genere. L’Italia occupa l’87esimo posto.
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